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Mostruosa nostalgia: The Deadly Spawn (1983)

By Simone Corà | lunedì 6 febbraio 2017 | 00:01

Grossi mostri carnivori from outer space in questa preziosa gemma gore                                                                          

Nell’attesa che il 2017 esprima tutta la sua potenza (si può fare meglio del 2016, dai che non è così difficile!), ho deciso di rivitalizzare il blog (ho anche acquistato il dominio, l’avete visto che stiloso e professionale?) e approfondire certe tematiche che da sempre mi riempiono la testa.
Parlare di film nuovi e sconosciuti è bello e mi tiene in forma, ma c’è tanta di quella roba negli anni pre-duemila che sarebbe un peccato non rispolverare e tirare a lucido un due-tre argomenti che si incastrano alla perfezione tra le mie manie ossessivo-compulsive e quello che ho scritto in tutti questi anni.
Si comincia così con un tema un po’ banale, un grande classico di cui non potevo fare a meno. Proviamo a fare i seri.

Il mostro, secondo il dizionario, è una creatura mitica risultante da una contaminazione innaturale di elementi diversi, e tale da suscitare l’orrore o lo stupore. Orrore (come repulsione) e stupore (come meraviglia) sono i miei cardini dell’horror. Prima ancora della paura, dell’ansia e dell’inquietudine (per carità, sono fondamentali, ma ora non mi interessa definire cos’è esattamente l’horror, per quello magari leggete Danse Macabre come ho appena fatto io, ottima lettura, forse un po’ datata, ma ancora assai godibile), esiste un immaginario fatto di forme indefinite, taglienti, sporche di sangue, rese sinistre da sorrisi sadici e ombre che si allungano. Sono incubi materiali plasmati dal buio e dall’ignoto che fungono da veicolo per il terrore.
Può essere una visione limitata, o magari monca e priva delle sfaccettature legate a una situazione perturbante, ma credo che sia anche, e soprattutto, quella condizione più primitiva, che va a solleticare gli angoli più remoti della coscienza e li manda in cortocircuito, scatenando visioni aberranti. Pur adorando il genere nella sua interezza, da sempre preferisco un horror più fisico, legato all’ingegno visivo e all’incredulità di una genesi mostruosa possibilmente complessa, raffinata, sempre differente.
Io amo i mostri, e ai mostri dedicherò nei prossimi mesi parecchi articoli, inquadrando le migliori follie anatomiche che hanno infestato il cinema horror nei suoi anni più fertili. Sarebbe naturalmente superfluo chiacchierare ancora di behemoth leggendari che hanno sparso sangue e carne umana nei vari La cosa, La mosca e Aliens, e dato che il materiale è tutto fuorché scarso trovo molto più interessante girovagare nella mostrologia meno canonica e cominciare laddove la storia spesso non ha modo di soffermarsi.
L’universo dei b-movie è molto più vasto e pericoloso di quello che può sembrare, ma si può suddividere grosso modo in tre categorie: quella dei film semplicemente brutti, quella dei film brutti ma divertenti, e quella dei film onesti. La prima preferisco evitarla, la seconda è da gustare rigorosamente in compagnia del signor Anime Asteroid Jacopo Mistè, e la terza è tutta mia.
Allora partiamo.


Siamo nel 1983 e quello che Douglas McKeown riesce a tirare fuori con 25.000 dollari di budget è ancora oggi abbastanza incredibile. Se pensate che Raimi e compagnia sanguinaria hanno partorito La casa con poco più di trecentomila dollari, già allora ritenuti un budget misero, fate un po’ il confronto. Insomma, il buon McKeown firma sceneggiatura e regia di una piccola sciocchezza assai divertente e dalla grande fantasia, ed è un peccato che The Deadly Spawn sia il suo solo e unico contributo al cinema (viene da e ritornerà al teatro), perché è un esordio con molte frecce nel suo arco che poteva essere capostipite di una discreta carriera di splatterate e carneficine mostruose.
Abbiamo a che fare con un film modesto e scricchiolante, è costruito su una base di deliziose cretinate e attori di ben poca consistenza, ma è uno di quei lavori così piacevoli e di così fresca lussuria mostruosa da non badare troppo alle scempiaggini, comunque parecchio smussate e indolori, che lo riempiono. Parliamo di grossi vermoni caduti dallo spazio e molto, molto affamati, ma che non mirano di certo a conquiste su larga scala, né aspirano anche solo al dominio del paese più vicino: si accontentano infatti di un seminterrato di una casa di campagna e iniziano a crescere. 
È chiaro che l’elemento di prestigio di The Deadly Spawn sia proprio il lavoro sulle creature, John Dods (che avrà un futuro di non troppo riconoscimento e fortuna, sempre legato a produzioni abbastanza microscopiche) crea degli squisiti incubi di gomma e cavi che ovviamente non possono sopravvivere alla prova del tempo, ma non hanno perso un grammo di impatto visivo grazie alla moltitudine di fauci, le centinaia di denti e il delirio di zampe e viscidume di cui sono ricoperte.
Sarebbe sbagliato aspettarsi meraviglie tecniche anche solo vagamente simili a quelle viste ne La cosa l’anno precedente, qui ci sono mezzi e proporzioni molto più umili e ristretti, ma anche se i mostri appaiono sempre immobili e inquadrati da davanti, sono talmente ingombranti e zeppi di bocche da reggere comunque il gioco.

Questi deadly spawn nascono dal ventre perennemente gravido di una madre aliena simile a un blob di corna, denti e zampe da insetto. I girini sono invece delle piccole bestioline che sembrano un incrocio tra una lumaca e un artiglio, i quali crescono rapidi e feroci, spargendosi in tutta l’area infestata. Il nido viene costruito cadavere su cadavere nel sotterraneo di una vecchia casa di campagna, mentre la famiglia numerosa che vi abita trascorre ignara la propria giornata.
Ed è proprio sulla quotidianità di queste persone che McKeown compone una narrazione lenta e abbastanza anomala, al di fuori di qualsiasi schema legato a un film di mostri. Mamma e papà si svegliano per fare una gita, i figli fanno colazione e si apprestano a studiare, gli zii che soggiornano da loro chiacchierano del più e del meno, un elettricista è chiamato a riparare un guasto, amici e fidanzate vengono a far visita.
The Deadly Spawn è un susseguirsi di sequenze pacate, talvolta spinte da una piacevole ironia, altre dal contrapporsi della tematica che regna sovrana, incorniciata dal duello tra la fantasia strabordante del piccolo protagonista e la ferrea disciplina scientifica del fratello maggiore. È uno scontro sciocco soltanto in apparenza, sembra impossibile eppure i dialoghi trovano un’insperata centratura e rendono gli schieramenti più attenti e profondi del previsto (in particolare, è il colloquio tra il bambino amante dei fumetti e lo psichiatra a regalare un paio di ottimi scambi), mentre il resto del chiacchiericcio si assesta su situazioni un po’ ripetitive e non sempre a fuoco, ma non per questo meno divertenti (il massacro durante il pranzo è uno di questi momenti un poco idioti, improbabile ma efficace).


In linea di massima è comunque il gore a ricompattare il film ogni volta che McKeown sbanda, e pur con mezzi scarsi non mancano amputazioni, sbranamenti, fontane di sangue e teste che esplodono. I deadly spawn sono una forza della natura e non si fermano davanti a nulla, mangiano, sciolgono, mutilano, mordono, masticano e partoriscono senza mai stancarsi, in una festa di liquami e brandelli di carne. C’è una piacevole artigianalità che dà soddisfazione e lascia più che appagati, per quanto rozza e a tratti posticcia, e sembra strano che il film sia aperto e chiuso dalle due sequenze più brutte e povere in quanto a effettistica (anche se l’epilogo, con un po’ di immaginazione, è maestoso).
In compenso piace l’ingegno profuso per affrontare i mostri, la bella colonna sonora carpenteriana e in generale la gradevole simpatia dei protagonisti.

Nel 1990 una co-produzione italo-yankee inizia i preparativi per un sequel, Metamorphosis, ma i produttori storcono il naso e preferiscono modificare la storia a opera in corso per renderla stand alone, sia mai che il pubblico più raffinato si trovi un po’ spaesato non avendo visto il primo capitolo. Il risultato, come prevedibile, è parecchio sgradevole e involuto, uno di quei prodotti che era meglio non rispolverare e tenere in cantina, quindi teniamoci stretto The Deadly Spawn, una vecchia gemma raramente replicata negli anni a venire.

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