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Mostruosa nostalgia: The Boogens (1981)

By Simone Corà | venerdì 10 febbraio 2017 | 00:01

Risvegliata da uno scavo minera rio, un’antica creatura torna a mietere nuove vittime                                                         

Battiamo il ferro finché è caldo e, per il secondo appuntamento con "Mostruosa nostalgia", torniamo indietro di un paio d’anni per parlare di un film che non sembra essere granché ricordato. Anch’io non lo conoscevo e l’ho trovato per caso cercando informazioni su altri lavori, in uno di quei momenti in cui apri link e finestre a manetta e perdi la cognizione del tempo. Sono contento di esserci sbattuto contro perché è un prodotto più che discreto, a differenza di The Deadly Spawn è molto più solido e compatto nell’intreccio e nella gestione dei personaggi, mentre è meno esagerato e insistente sull’aspetto mostruoso, per quanto sia interessante il lavoro sulla creatura predatrice.    
Creato con un budget più consistente del solito (seicentomila mila dollari), e forte di una buona impressione di Stephen King, The Boogens verrà più che altro nominato per la scelta visiva utilizzata per i titoli di testa, con un fade di scatti fotografici che solo molti anni più tardi diverrà una soluzione comune di qualsiasi programma di elaborazione immagini. Ma in realtà il film del mestierante James L. Conway (sarà il suo ultimo, dopo l’81 inizia a lavorare in televisione, dove prospera tutt’ora) è un bel progettino, che sfrutta le regole dello slasher per una piacevole storia di mostri sotterranei e vendicativi.

Abbiamo infatti una premessa letteralmente sepolta nel passato (degli scavi minerari finiti in tragedia), una vendetta che aleggia nell’aria per cucire una ferita ancora aperta (i numerosi minatori morti), un avvicinamento incauto al luogo maledetto (la riapertura delle miniere svariati anni dopo) e una serie di morti conseguenti che iniziano a sconvolgere il paese.
Ci sono quindi step precisi seguiti con amore, ai quali si aggiungono altre variabili degli schemi più classici (ragazzi un po’ scemotti, coppiette innamorate, un po’ di nudo gratuito), mentre vanno un po’ a infrangersi motivazioni e colpe perché il sesso e le stupidaggini maliziose non vengono punite con la morte – il mostro non risponde ad alcun tipo di impulso se non quello della fame e delle inevitabili reazioni quando viene disturbato, pertanto uccide con un’intelligente casualità.
La sua presenza è però celata dal buio di uno scantinato e da un dedalo di grotte sotterranee, luoghi ben diversi e lontani che impediscono di plasmarne un’immagine e di indagare circa le sue intenzioni voyeuristiche. È una creatura sfuggente e attenta, se ne sta nascosta, agisce sempre protetta dalla notte, e i luoghi in cui si eclissa suppurano in una pregevole atmosfera opprimente e polverosa. Ed è splendida la scelta di svelare la bestia soltanto negli ultimi quindici minuti, in un tripudio di tentacoli, imponenti protezioni ossee e morsi voracissimi.


Il mostro si comporta da mostro, studia, osserva e rapisce la sua preda con grande astuzia, non si muove per uccidere ma attende che siano ragazzi e minatori ad avvicinarsi alla sua tana. E Conway dirige una storia davvero ben strutturata da Jim O’Malley e David Kouf, muovendo le sue pedine attraverso una serie di sfighe/coincidenze ben assestate che costruiscono un contesto sorprendentemente concreto.
Il paese semi deserto, spopolato dopo la chiusura delle miniere, i due giovani minatori con non troppa voglia di lavorare ma abbastanza maturi per fare responsabilmente ciò che richiede il loro superiore, o le relazioni con le ragazze erette su normalissimi aspetti quotidiani, sono aspetti di piacevole tridimensionalità, che smussano a dovere certi spigoli inevitabili dei dialoghi o alcune superficialità nel gestire la situazione di pericolo.
È un giusto compromesso, perché in fondo i quattro protagonisti sono deliziosi e si spartiscono bene le solite sciocchezze giovanili: le esuberanze sessuali sono contenute e giustificate dalla situazione, mentre prevalgono per fortuna un’ironia tenera e una graziosa dolcezza che favoriscono un inaspettato affetto verso di loro, aumentando il dispiacere quando escono gradualmente di scena.

La furia del mostro si manifesta con un buon lavoro di trucchi, protesi ed effettacci sanguinolenti, i suoi attacchi sono precisi, rapidi e crudeli, e anche se il sangue non abbonda, le poche scene brutali dispensano ferite profonde e carne strappata nella giusta quantità.
A colpire però non è la ferocia delle morti o una particolare costruzione delle medesime, bensì il clima soffocante e lovecraftiano evocato dai varchi nel sotterraneo, dal sistema di gallerie della miniera e dai primi timidi approcci della creatura, che si estende dal basso verso l’alto sfruttando i sempreverdi condotti di aereazione.

Un monster movie inaspettato.

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