Risvegliata da uno scavo minera rio, un’antica
creatura torna a mietere nuove vittime
Battiamo il ferro finché è caldo e, per il secondo appuntamento con "Mostruosa nostalgia", torniamo
indietro di un paio d’anni per parlare di un film che non sembra essere granché
ricordato. Anch’io non lo conoscevo e l’ho trovato per caso cercando
informazioni su altri lavori, in uno di quei momenti in cui apri link e
finestre a manetta e perdi la cognizione del tempo. Sono contento di esserci
sbattuto contro perché è un prodotto più che discreto, a differenza di The Deadly Spawn è molto più solido e
compatto nell’intreccio e nella gestione dei personaggi, mentre è meno
esagerato e insistente sull’aspetto mostruoso, per quanto sia interessante il
lavoro sulla creatura predatrice.
Creato con un budget più consistente del solito
(seicentomila mila dollari), e forte di una buona impressione di Stephen King, The Boogens verrà più che altro nominato
per la scelta visiva utilizzata per i titoli di testa, con un fade di scatti fotografici
che solo molti anni più tardi diverrà una soluzione comune di qualsiasi
programma di elaborazione immagini. Ma in realtà il film del mestierante James L. Conway (sarà il suo ultimo, dopo l’81 inizia a lavorare in televisione, dove
prospera tutt’ora) è un bel progettino, che sfrutta le regole dello slasher per
una piacevole storia di mostri sotterranei e vendicativi.
Abbiamo infatti una premessa letteralmente
sepolta nel passato (degli scavi minerari finiti in tragedia), una vendetta che
aleggia nell’aria per cucire una ferita ancora aperta (i numerosi minatori
morti), un avvicinamento incauto al luogo maledetto (la riapertura delle
miniere svariati anni dopo) e una serie di morti conseguenti che iniziano a
sconvolgere il paese.
Ci sono quindi step precisi seguiti con amore,
ai quali si aggiungono altre variabili degli schemi più classici (ragazzi un
po’ scemotti, coppiette innamorate, un po’ di nudo gratuito), mentre vanno un
po’ a infrangersi motivazioni e colpe perché il sesso e le stupidaggini
maliziose non vengono punite con la morte – il mostro non risponde ad alcun
tipo di impulso se non quello della fame e delle inevitabili reazioni quando
viene disturbato, pertanto uccide con un’intelligente casualità.
La sua presenza è però celata dal buio di uno
scantinato e da un dedalo di grotte sotterranee, luoghi ben diversi e lontani
che impediscono di plasmarne un’immagine e di indagare circa le sue intenzioni
voyeuristiche. È una creatura sfuggente e attenta, se ne sta nascosta, agisce
sempre protetta dalla notte, e i luoghi in cui si eclissa suppurano in una pregevole
atmosfera opprimente e polverosa. Ed è splendida la scelta di svelare la bestia
soltanto negli ultimi quindici minuti, in un tripudio di tentacoli, imponenti
protezioni ossee e morsi voracissimi.
Il mostro si comporta da mostro, studia, osserva
e rapisce la sua preda con grande astuzia, non si muove per uccidere ma attende
che siano ragazzi e minatori ad avvicinarsi alla sua tana. E Conway dirige una
storia davvero ben strutturata da Jim O’Malley e David Kouf, muovendo le sue pedine
attraverso una serie di sfighe/coincidenze ben assestate che costruiscono un
contesto sorprendentemente concreto.
Il paese semi deserto, spopolato dopo la
chiusura delle miniere, i due giovani minatori con non troppa voglia di
lavorare ma abbastanza maturi per fare responsabilmente ciò che richiede il
loro superiore, o le relazioni con le ragazze erette su normalissimi aspetti
quotidiani, sono aspetti di piacevole tridimensionalità, che smussano a dovere
certi spigoli inevitabili dei dialoghi o alcune superficialità nel gestire la
situazione di pericolo.
È un giusto compromesso, perché in fondo i
quattro protagonisti sono deliziosi e si spartiscono bene le solite sciocchezze
giovanili: le esuberanze sessuali sono contenute e giustificate dalla
situazione, mentre prevalgono per fortuna un’ironia tenera e una graziosa
dolcezza che favoriscono un inaspettato affetto verso di loro, aumentando il
dispiacere quando escono gradualmente di scena.
La furia del mostro si manifesta con un buon
lavoro di trucchi, protesi ed effettacci sanguinolenti, i suoi attacchi sono
precisi, rapidi e crudeli, e anche se il sangue non abbonda, le poche scene
brutali dispensano ferite profonde e carne strappata nella giusta quantità.
A colpire però non è la ferocia delle morti o
una particolare costruzione delle medesime, bensì il clima soffocante e
lovecraftiano evocato dai varchi nel sotterraneo, dal sistema di gallerie della
miniera e dai primi timidi approcci della creatura, che si estende dal basso
verso l’alto sfruttando i sempreverdi condotti di aereazione.
Un monster movie inaspettato.
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