È l’ora di far scoppiare teste!
In un’ipotetica parentesi tra The Conjuring 2 e The Wailing, terribili esempi di comicità involontaria che mostrano
come l’horror per il grande pubblico stia andando sempre più alla deriva da una
parte all’altra del mondo, ho fatto un po’ fatica ad alimentare il blog, e ho
preferito temporeggiare fino al rilascio della scorpacciata del nuovo Frighfest
e della prossima tormenta halloweeniana.
Tra le poche sensatezze (un paio di squali di
cui spero riuscirò a scrivere e mazzate nazipunk per le quali arriverò un poco
tardi) pesco giusto questo The Mind’s Eye,
che attendevo da parecchio visto le secchiate di viscere con aveva lanciato JoeBegos un paio d’anni fa con Almost Human.
E allora via, togliamo il cartello ferie e tiriamo su la saracinesca del blog.
Un bel gusto per l’orrore, quello di Begos, eh,
lo sporca di sci-fi per farne un ibrido come solo gli anni Ottanta potevano
procreare, ma il suo non è facile richiamo retrò come piace ultimamente, è
qualcosa che nasce prima dello scoppio dell’amore per gli Eighties dilagato
nella scena e che prosegue con una personalità ben definita, lontana dalle
strizzate d’occhio e dall’ironia. Begos è serissimo, anche nell’usare gli
effettacci sonori più beceri, non ci scherza su: per lui l’horror pare essersi
fermato al 1990 o giù di lì.
Ora, chiaro, Begos è uno fra i tanti, non è neanche
il più bravo o il più riconoscibile, ma di sicuro è il meno scolastico, e se la
sua scelta stilistica finisce impastata nella folla che adopera le stesse
musiche, le stesse inquadrature, gli stessi tagli, la stessa effettistica, la sua
direzione, per quanto ingenua e gonfia di difetti, pulsa bella forte e
continuerà a farlo anche nei prossimi anni, quando la moda svanirà in favore di
qualche altro tormentone a cura del prossimo Oren Peli o James Wan di turno.
C’era ieri e ci sarà domani, un po’ come Kaufman
e la Troma, ma senza ironia e scorreggioni, per la gioia di, boh, Midian e
qualcun altro, spero.
Tanto semplice era la trama di Almost Human, con un parassita alieno
che vagabondava in cerca di gente a cui far scoppiare la testa, tanto è lineare
quella di The Mind’s Eye, con un
riferimento a Scanners che parla già
da solo: guerre telecinetiche tra persone in grado di far scoppiare teste. Sì,
a Begos piacciano le teste che esplodono, se non si fosse capito.
Ma se l’esordio funzionava sopprimendo le
mancanze con la breve durata del film (appena settanta minuti), in questo
ritorno sono fin troppo evidenti le difficoltà di Begos con i tempi: non ha
novata minuti nelle gambe e già arrivare a 87 è una gran sudata. Una storia
semplice ha spesso bisogno di un’esecuzione altrettanto semplice, soprattutto
nei primi passi, eventualità che però espone gli errori anche alla vista meno
allenata, e per una buona parentesi centrale è infatti impossibile non strabuzzare
gli occhi di fronte a, ehm, chiamiamoli scivoloni.
Di ingenuità e cavolate se ne incontrano anche di
peggiori, quando abbiamo a che fare con film dal budget misero e con attori
cani, ma anche se in un’opera seconda sono brutti dettagli che non dovrebbero
apparire, non disturbano così tanto, e alla fine si dimenticano presto di
fronte all’unico, vero scopo della vita di Joe Begos: far scoppiare teste.
E non solo, folks. Vengono tagliate a metà,
decapitate, schiacciate, compresse, bruciate e molto altro ancora, in una bella
messinscena gore, abbondante e grumosa, ricca di fantasia nella creazione delle
situazioni e sempre diversa.
Le battaglie telecinetiche sono dirette con
guizzi brillanti, inquadrature, stacchi e movimenti suggeriscono bene la fatica
nel muovere gli oggetti e la velocità con cui colpiscono, offrendo degli
scontri particolareggiati e vivaci, seppur il campo sia un po’ quello di un
duello ultrasanguinoso tra jedi senza spada laser. Ma è un bel macello e va
goduto appieno, e anche se non avrà lo stesso riscontro e l’eco dei massacri
nostalgici di Turbo Kid, è lo stesso valido
e gustoso.
Non c’è molto altro, è chiaro che i fondi sono
stati spremuti per gli effetti (notevoli), lasciando il resto un po’
all’improvvisazione e al come viene viene, ma lo spirito glaciale di certo modo
di fare cinema è catturato in pieno, e nella tavolozza di colori scuri spiccano
ovviamente i blu, i rossi e i viola (oltre alla scelta vincente dello scenario
innevato) che contribuiscono all’effetto retrò (oltre agli immancabili
sintetizzatori) pur senza snaturare la modernità del film.
Piace infine che Larry Fessenden metta lo
zampino anche qui recitando una particina, il suo apporto è sempre gradito per
la naturalezza trasmessa, e beccarlo in queste piccole produzioni è ormai
garanzia.
Che non è “di qualità”, attenzione, perché la
qualità che si può ed è giusto cercare anche nell’horror di piccolo taglio è
ben altra cosa, ma l’orrore è anche questo e in ogni sua lacuna va comunque
apprezzato e lodato, perché in fondo è da qui che si parte per fare grandi
cose. Mettiamolo lì, in mezzo alle meraviglie economiche di Turbo Kid e al nuovo standard maximo
disegnato da Stranger Things: The Mind’s Eye non ha né il cuore
caldissimo del primo né la colata di straordinaria professionalità del secondo,
ma ha un suo perché, e tanto basta.
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