Febbraio non è mai stato così freddo
Come succedeva qualche mese fa in Sensoria, dove l’intensa lentezza
narrativa avvicinava questo nuovo approccio occidentale all’horror a una
visione orientale fatta di sguardi, silenzi, storie spezzate e tenui andamenti
culminanti in finali implosivi, anche The Blackcoat’s Daughter (che ha un po’ un titolo impronunciabile che nulla
conserva della bellezza gelida dell’originale February) sceglie una strada complessa, ipnotica, quasi apatica nel
suo incedere privo di appigli, spiegazioni e chiarimenti che sbroglino e
colleghino le tante immagini dipinte.
È un film difficile e frammentario, non so
neanche se posso azzardare a dire che mi sia piaciuto del tutto, di certo mi ha
iniettato una bella dose di inquietudine artica e infernale con una serie di
visioni di gran personalità che però, forse, non evitano il crollo di qualche
parete nella struttura narrativa generale: è un mosaico cervellotico e con un
fascino molto personale che avrebbe avuto bisogno di qualche accenno morbido
per far presa, per accarezzare, per lasciare un invito e catturare appieno.
La storia è quella, un po’ impalpabile, un po’
distaccata, di due studentesse di un istituto femminile, alla vigilia della
pausa per l’incontro con le famiglie.
Kat non riceve notizie dai suoi, in viaggio
verso la scuola, e teme il peggio, Rose ha appena scoperto di essere incinta e
non sa come dirlo, o probabilmente neanche le interessa, al suo giovinotto; si
ritrovano da sole nella scuola vuota l’una a fare da balia all’altra, mentre
una terza linea narrativa racconta di Joan, che compie un viaggio a ritroso
verso la scuola in compagnia di un pastore e della sua famiglia.
Nel mezzo, chiaramente, c’è un gran fetore di
zolfo e rumori di zoccoli, Satana o chi per lui ha un bel ruolo chiave, sottile
quanto basta per evitare quella serie di apparizioni scary alle quali,
comunque, il film è non è interessato.
Quello di Osgood Perkins è infatti un approccio
sulfureo, dove il male emerge lentamente in una sequenza di visioni/incubi tremendi
(la prima occhiata nella stanza della caldaia non si può scordare facilmente),
adagiati su quella soglia tra realtà e sogno che viene rimossa, confusa e
amplificata dal continuo rimescolamento delle linee narrative e temporali, che
si attorcigliano in un sentiero tortuoso e compresso.
Forse c’è qualcosa a che fare con l’evocazione
di un demone, la cui immagine si plasma in un’ombra cornuta di grande effetto, forse
è solo un ribollire interiore che la carne non può più tenere a freno, ma in
generale The Blackcoat’s Daughter preferisce
spargere domande e suggerire riflessioni piuttosto che fornire risposte
coerenti, senza che per forza questa scelta corrisponda a una fumosità
dispettosa che non accontenterebbe nessuno.
Anzi, tutto viene disposto con molta cura, dai
frammenti del passato ai cambi di progressione non c’è immagine che appaia
fuori posto o frutto di un calcolo conosciuto solo a Perkins: spetta solo a chi
guarda la capacità di indovinare e rimettere assieme i pezzi. A voler
scandagliare il film fotogramma per fotogramma avremmo a che fare con qualcosa
di molto, molto ricco, ma credo che una certa autorialità, fredda e alienata,
abbia in qualche maniera compromesso questo collage sulla carte deliziosamente
demoniaco.
È infatti voluta la scelta di un trio di
personaggi femminili che rimane lontano, tutte e tre sono schiave delle proprie
ossessioni e dei propri malesseri, rinchiuse in una gabbia di dolore che forse
nemmeno loro comprendono, ed è un peccato che non si riesca ad andare bene a
fondo evitando un’empatia con almeno una di loro. Al contrario, viene
amplificata una certa negatività che allontana ancora di più i personaggi,
scagliandoli inermi sulla neve che ricopre ogni luogo.
È forse più una ricerca visiva, Perkins sfrutta
ogni elemento per infiltrare spifferi dolorosi, quelli che spingono a chiudersi
in sé, a cercare calore dentro se stessi, e il film purtroppo perde quella
possibilità di incendiare che offre in moltissime occasioni (su tutto, il
sorriso in bagno di Rose).
Ma è comunque prova più che buona, pur essendo
film per pochi, e per palati anche fin troppo raffinati, è oggetto anche un po’
anomalo da tenere in considerazione.
Bella segnalazione, grazie!
RispondiEliminaNon un film facile, ma sicuramente affascinante; per buona parte della durata non hai idea di cosa stia succedendo, tra silenzi rancorosi e sguardi di sbieco, poi tutto all'improvviso diventa chiaro, financo troppo prevedibile, salvo poi lasciarti spiazzato nella scena finale.
Se non altro è molto diverso dal "tipico" horror che tira in questo momento.
Blissard
sì, la sua diversità è quello che piace di più, è uno di quegli esempi che ogni tanto spuntano fuori e attirano una certa attenzione. Poi, boh, è anche troppo involuto per la storia che racconta, ma ha grandi momenti e una linea guida generale davvero niente male :)
EliminaQualcuno me lo può spiegare!? Per piacere!!!
EliminaConcordo con la tua recensione: è un film non perfetto, non per tutti ma un esordio interessante con un cast praticamente perfetto. Mi è piaciuto!
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