Dall’Australia con istinto omicida, il
migliore amico dell’uomo cerca vendetta
Dovrei recuperare l’originale del 1977 per
avere una vera idea complessiva di cosa possa significare questo piccolo e
rabbioso progetto, ma alzo le mani perché di tutti i buoni propositi horror che
mi possa prefissare poi non ho grande abilità nel rispettare i tempi, e finirei
così per guardarlo in tempo per un nuovo reboot o restart o altri re- che vanno
tanto di moda.
Un po’ mi spiace perché la lacune si accumulano
invece di diminuire e mi rendo amaramente conto che certi crateri non verranno
mai colmati, ma dall’altro lato la purezza di un film come questo The Pack è molto più potente ed efficace
se nulla si sa della storia, proprio perché la base è così elementare e
schietta che si deve necessariamente concentrarsi su altro per alimentare la narrazione.
Abbiamo infatti una famiglia che abita ai
margini della foresta e un branco di cani selvaggi, al resto pensa un ambiente
ostile come i margini della civiltà australiana, ed è quindi fondamentale che
questi tre perni, con un’ovvia attenzione maggiore per il primo, siano
modellati e oliati in modo da essere indispensabili al funzionamento del
meccanismo centrale.
Evan Randall Green e Nick Robertson non
possiedono ancora curriculum sostanziosi (anzi, non ce l'hanno proprio, esordio assoluto) ma conoscono i fondamentali teorici, e
sanno quindi che l’orrore peggio con cui si possa avere a che fare è quello che
piomba improvviso nel quotidiano, distruggendo quelle certezze su cui si cerca
di costruire una vita, un orrore che non si può combattere perché alieno e
fortuito, contro il quale non si può essere preparati, un orrore che non per
forza debba rispondere a canoni soprannaturali per ovviare agli slogan peggiori
del genere. Non abbiamo bisogno di sapere che l’orrore più bastardo è quello
che può insidiarsi nella realtà, abbiamo bisogno di vederlo, e in The Pack, anche senza ricorrere a mostri
lovecraftiani o a carnografie barkeriane, si può assistere a un ottimo show di
quegli ingranaggi che disfano, paralizzano e spingono a reagire: ansia e
tensione.
Il branco di cani è espediente classico ma
valido, rispetto ai lupi affrontati da Liam Neeson in The Grey qui si abbonda su un’atmosfera più feroce e sanguigna che
inquadra il film nel nostro genere preferito, le meccaniche in fondo sono
quelle tipiche dell’isolamento e dell’assedio, e al resto pensa una buona
componente emoglobonica sottolineata dai numerosi sbranamenti canini, che non
hanno paura di niente e nessuno a mirano volentieri alla giugulare di parecchi
poveracci.
Scene di enorme agonia come il girovagare
del cane tra le stanze o l’attesa del momento opportuno per fiondarsi nel
camioncino scavalcano però altri momenti validi ma più canonici (fughe, urla,
smembramenti… same old stuff) e mostrano una direzione narrativa molto più
sottile e interessante di una grossolanità che era forse più facile aspettarsi.
Ma sarebbe sbagliato pensarla così
considerando la vera forza del film e il modo in cui viene mostrata, perché
nella lunga prima parte, intervallata ovviamente dalle incursioni bestiali del
branco fuori controllo, la semplicità con cui conosciamo la famiglia Wilson è
di quelle da ricordare a lungo: i motivi che causano i problemi che dovranno
essere risolti per poter superare quello ben più grosso dei cani randagi sono
sempre i soliti, ma è molto più avvincente del solito scoprire le difficoltà
economiche causate dalla loro scelta di vita, e i contrasti interni con i figli
che appaiono concreti e credibili con strilla e insulti che l’adolescenza
favorisce con piacere.
Con queste credenziali è quindi più
naturale soffrire le loro sofferenze ed esultare per le loro vittorie,
l’immedesimazione è totale e il gioco funziona alla grande anche se le pretese
sono poche e anche se gli input rimangono comunque di comoda consistenza.
Alla fine si potrebbe vedere The Pack come un Honeymoon molto limitato nelle ambizioni psicologiche e nello
studio dei personaggi, i procedimenti sono simili più negli intenti che nelle
dinamiche vere e proprie e c’è molta più attenzione al lato umano rispetto a
quello horror, ma quando quest’ultimo esplode a risaltare è tutto ciò che è
stato presentato prima, ed è questo l’importante.
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