Deathgasm (2015)

By Simone Corà | lunedì 12 ottobre 2015 | 00:01

Death to false metal. And to demons from hell.                                                                              

Conosco il metal in seconda superiore, o giù di lì. Sono anni di esplorazione sonora, se ci sono le distorsioni va un po’ bene tutto, ma in generale ci vado piano e resto su livelli di volume bassi, in fondo son giovine e a certe asprezze devo ancora fare l’orecchio. Lo sverginamento è a cura dei soliti nomi, ma la botta vera è Erotomania dei Dream Theater: mai sentito niente del genere prima di allora, apro mente e orecchie a universi sconosciuti e meravigliosi. L’altra botta arriva qualche anno più tardi, TheLeper Affinity degli Opeth mi scaraventa contro un muro di growling e mi marchia a fuoco: il discorso è lo stesso,  il metal estremo mi insegna note e strutture impensabili, il mondo è più bello, la curiosità non è mai sazia, e insomma, godo moltissimo.
L’immagine non mi è mai interessata, borchie e toppe non hanno mai fatto parte del mio abbigliamento, anche perché, in generale, in quegli anni pensavo che l’abbigliamento fosse giusto prendere pantaloni e magliette a caso dall’armadio, senza dar troppo pensiero ai colori.
Non ho quindi mai capito molto bene i problemi nati dall’isolamento, da una certa misantropia, dalla difficoltà di adattarsi e quindi dalla costruzione di una armatura/guscio ben riconoscibile. Tutte cose che ho provato e che di sicuro hanno lasciato molti segni, ma il modello visivo del metallaro in chiodo e giubba in jeans sbracciata, quantomeno in una città piccola come Vicenza e dintorni, forse non ha avuto vero modo di attecchire e sviluppare una propria autonomia.

Capisco invece molto bene cosa prova Brodie quando si ritrova seduto accanto a Medina in una panchina al parco: imbarazzo a mille (okay, non è un’esclusiva dei metallari), incapacità di comunicazione (neanche questa, I know) ma improvviso entusiasmo e loquacità inarrestabile quando si tocca l’argomento musica. Io di solito annoiavo chiunque e mi si spegneva progressivamente la bocca, Brodie invece se la cava alla grande anche se non dà i consigli che tornano utili in queste occasioni: prestare gli album dei Cattle Decapitation o dei Pungent Stench a una ragazza è cosa che non si fa, al massimo ai miei tempi si preparava una compilation su cassetta piena di ballate e si infilava un pezzone dei Cannibal Corpse alla fine, ma in questa maniera si intuisce bene il tiro comico di Deathgasm.
L’esordio di Jason Lei Howden è infatti, prima di tutto, un film che conosce alla perfezione la materia trattata (non è una cosa così incredibile, di questi tempi partire con basi non sufficienti distruggerebbe tutto ancora prima di premere play), e con questa corazza può ridere e far ridere più o meno come gli pare: sa essere sottile come nella scena citata prima o quando il prof scopre i disegni porno parodistici di Brodie, demenziale (quando Zakk ruba il gasolio), fuori di testa (vari momenti in cui viene infranta la quarta parete), citazionista, e in generale non trova rivali quando il Black Hymn evoca il maligno e la gente inizia a vomitare sangue, ma più di tutto piace come l’equilibrio sia sempre mantenuto eccellente nonostante le continue variazioni di registro, tra intelligente e sciocco, tra brillante e demente.


Il dialogo è vivace, la serietà è bandita ma non si perde mai di vista una squisitezza narrativa che garantisce omogeneità.
I personaggi hanno lo spessore giusto e volti e corpi adeguati, con la sua timidezza testarda Brodie per me diventa nuovo eroe dell’horror e Zakk è uno dei più assurdi comprimari mai visti: brother of metal, traditore, opportunista, valoroso, egoista, buddy man, fonte di ispirazione, nemico e mille altre cose ancora.
Ottime parole anche per Kimberly Crossman e la sua Medina, da Barbie stupidina a female warrior grazie al metal, conserva una femminilità e una grinta che non tanto spesso si trovano in queste produzioni: stringe i denti, reagisce, sbudella quando può e anche se le differenze di corpi e forze con i demonj sono schiaccianti non demorde mai.  

Anche in questa occasione si passa per l’omaggio, ma come succedeva per Turbo Kid, dove degli anni Ottanta veniva rievocato lo spirito e non solo le immagini, Deathgasm recupera la follia splatter di Evil Dead II e Braindead con lo stesso piglio incosciente, squattrinato e violentissimo: Howden non vuole fare un film che ricordi quei due capolavori, vuole fare un film che sembri uscire proprio da quegli anni.
E per sottolinearlo ambienta il tutto in uno scenario indecifrabile ma dal look innegabile, dove non ci sono i telefonini ma esistono i Trivium, dove il metal è Satana e la brava gente si indigna fino all’anima, dove a scuola si viene ghettizzati senza pietà e dove la più bella è fidanzata con il più stronzo, ed è quindi chiaro il ricordo di quegli anni Ottanta schietti, un po’ ingenui ma anche pieni di fascino che qui servono da perfetto videoclip alle chitarre aggressive e alla voce al vetriolo che risuona nelle casse.


Brodie dunque è uno sfigato con un’unica passione nella vita (il metal, se non si era capito). Un giorno incontra Zakk e mette su i Deathgasm con gli unici due amici che si ritrova, due nerd con l’ovvia passione per i giochi di ruolo, ma nonostante la buona volontà la tecnica è ancora scarsa e serve qualcosa in più quantomeno per provare a suonare decentemente. Lo trova in un’antica pergamena, custode di un inno con cui evocare affamate bestialità infernali. E, be’, ovviamente le evoca.
Non serve molto altro per mettere in scena una bloodbath senza precedenti, perché se in Turbo Kid l’ultragore era perlopiù scherzoso o, quanto meno, se ne intuiva il carattere divertito, in Deathgasm il sangue scorre senza sosta e con una certa cattiveria in più in tutta la seconda parte del film, è brutale e feroce, e Howden marca con insistenza l’appartenenza comunque a un certo modo di intendere l’horror.
Dalla lunghissima e a tratti viscerale scena di vomito con cui il male si manifesta, passando per mutilazioni, decapitazioni, rettoscopie alternative, evirazioni e alleggerimento di intestini, Deathgasm possiede una visività molto forte e intensa, ma non perde mai di vista la potenza ironica che, nella media dei timbri umoristici usati, avanza fino alla fine con una personalità ben precisa.

È chiaro che si scada un po’ troppo nell’eccesso e nell’ostinazione, in particolare a un paio di morti mancano giuste motivazioni e l’impressione è quella di un macello di frattaglie giusto per fare mucchio, o certe citazioni/omaggi che sembrano più che altro momenti ricalcati che vere e proprie reinterpretazioni, ma Deathgasm è pura energia e non ha momenti di cedimento. 
Sembra proprio che, finalmente, un buon gruppo di autori, anche se agli esordi e con poca (anche se in questo caso Howden viene dagli effetti speciali e ha un curriculum mica da ridere), siano riusciti ad afferrare le dinamiche necessarie per portare questo tipo di cinema di genere verso vette inimmaginabili fino solo a qualche mese fa. È un grande momento ed è giusto cavalcarlo, spero che ci sia abbastanza carburante per arrivare distanti e non bruciarsi tutto subito nei primi chilometri. 

2 commenti: