Death
to false metal. And to demons from hell.
Conosco il metal in seconda superiore, o
giù di lì. Sono anni di esplorazione sonora, se ci sono le distorsioni va un
po’ bene tutto, ma in generale ci vado piano e resto su livelli di volume
bassi, in fondo son giovine e a certe asprezze devo ancora fare l’orecchio. Lo
sverginamento è a cura dei soliti nomi, ma la botta vera è Erotomania dei Dream Theater: mai sentito niente del genere prima
di allora, apro mente e orecchie a universi sconosciuti e meravigliosi. L’altra
botta arriva qualche anno più tardi, TheLeper Affinity degli Opeth mi scaraventa contro un muro di growling e mi
marchia a fuoco: il discorso è lo stesso,
il metal estremo mi insegna note e strutture impensabili, il mondo è più
bello, la curiosità non è mai sazia, e insomma, godo moltissimo.
L’immagine non mi è mai interessata,
borchie e toppe non hanno mai fatto parte del mio abbigliamento, anche perché,
in generale, in quegli anni pensavo che l’abbigliamento fosse giusto prendere
pantaloni e magliette a caso dall’armadio, senza dar troppo pensiero ai colori.
Non ho quindi mai capito molto bene i
problemi nati dall’isolamento, da una certa misantropia, dalla difficoltà di
adattarsi e quindi dalla costruzione di una armatura/guscio ben riconoscibile.
Tutte cose che ho provato e che di sicuro hanno lasciato molti segni, ma il
modello visivo del metallaro in chiodo e giubba in jeans sbracciata, quantomeno
in una città piccola come Vicenza e dintorni, forse non ha avuto vero modo di
attecchire e sviluppare una propria autonomia.
Capisco invece molto bene cosa prova Brodie
quando si ritrova seduto accanto a Medina in una panchina al parco: imbarazzo a
mille (okay, non è un’esclusiva dei metallari), incapacità di comunicazione
(neanche questa, I know) ma improvviso entusiasmo e loquacità inarrestabile
quando si tocca l’argomento musica. Io di solito annoiavo chiunque e mi si
spegneva progressivamente la bocca, Brodie invece se la cava alla grande anche
se non dà i consigli che tornano utili in queste occasioni: prestare gli album
dei Cattle Decapitation o dei Pungent Stench a una ragazza è cosa che non si
fa, al massimo ai miei tempi si preparava una compilation su cassetta piena di
ballate e si infilava un pezzone dei Cannibal Corpse alla fine, ma in questa
maniera si intuisce bene il tiro comico di Deathgasm.
L’esordio di Jason Lei Howden è infatti,
prima di tutto, un film che conosce alla perfezione la materia trattata (non è
una cosa così incredibile, di questi tempi partire con basi non sufficienti
distruggerebbe tutto ancora prima di premere play), e con questa corazza può
ridere e far ridere più o meno come gli pare: sa essere sottile come nella
scena citata prima o quando il prof scopre i disegni porno parodistici di Brodie,
demenziale (quando Zakk ruba il gasolio), fuori di testa (vari momenti in cui
viene infranta la quarta parete), citazionista, e in generale non trova rivali
quando il Black Hymn evoca il maligno e la gente inizia a vomitare sangue, ma
più di tutto piace come l’equilibrio sia sempre mantenuto eccellente nonostante
le continue variazioni di registro, tra intelligente e sciocco, tra brillante e
demente.
Il dialogo è vivace, la serietà è bandita
ma non si perde mai di vista una squisitezza narrativa che garantisce omogeneità.
I personaggi hanno lo spessore giusto e
volti e corpi adeguati, con la sua timidezza testarda Brodie per me diventa
nuovo eroe dell’horror e Zakk è uno dei più assurdi comprimari mai visti:
brother of metal, traditore, opportunista, valoroso, egoista, buddy man, fonte
di ispirazione, nemico e mille altre cose ancora.
Ottime parole anche per Kimberly Crossman
e la sua Medina, da Barbie stupidina a female warrior grazie al metal, conserva
una femminilità e una grinta che non tanto spesso si trovano in queste
produzioni: stringe i denti, reagisce, sbudella quando può e anche se le
differenze di corpi e forze con i demonj sono schiaccianti non demorde mai.
Anche in questa occasione si passa per
l’omaggio, ma come succedeva per Turbo Kid, dove degli anni Ottanta veniva rievocato lo spirito e non solo le
immagini, Deathgasm recupera la
follia splatter di Evil Dead II e Braindead con lo stesso piglio
incosciente, squattrinato e violentissimo: Howden non vuole fare un film che
ricordi quei due capolavori, vuole fare un film che sembri uscire proprio da
quegli anni.
E per sottolinearlo ambienta il tutto in
uno scenario indecifrabile ma dal look innegabile, dove non ci sono i
telefonini ma esistono i Trivium, dove il metal è Satana e la brava gente si
indigna fino all’anima, dove a scuola si viene ghettizzati senza pietà e dove
la più bella è fidanzata con il più stronzo, ed è quindi chiaro il ricordo di
quegli anni Ottanta schietti, un po’ ingenui ma anche pieni di fascino che qui
servono da perfetto videoclip alle chitarre aggressive e alla voce al vetriolo
che risuona nelle casse.
Brodie dunque è uno sfigato con un’unica
passione nella vita (il metal, se non si era capito). Un giorno incontra Zakk e
mette su i Deathgasm con gli unici due amici che si ritrova, due nerd con l’ovvia
passione per i giochi di ruolo, ma nonostante la buona volontà la tecnica è
ancora scarsa e serve qualcosa in più quantomeno per provare a suonare
decentemente. Lo trova in un’antica pergamena, custode di un inno con cui
evocare affamate bestialità infernali. E, be’, ovviamente le evoca.
Non serve molto altro per mettere in scena
una bloodbath senza precedenti, perché se in Turbo Kid l’ultragore era perlopiù scherzoso o, quanto meno, se ne
intuiva il carattere divertito, in Deathgasm
il sangue scorre senza sosta e con una certa cattiveria in più in tutta la
seconda parte del film, è brutale e feroce, e Howden marca con insistenza l’appartenenza
comunque a un certo modo di intendere l’horror.
Dalla lunghissima e a tratti viscerale
scena di vomito con cui il male si manifesta, passando per mutilazioni,
decapitazioni, rettoscopie alternative, evirazioni e alleggerimento di intestini,
Deathgasm possiede una visività molto
forte e intensa, ma non perde mai di vista la potenza ironica che, nella media
dei timbri umoristici usati, avanza fino alla fine con una personalità ben
precisa.
È chiaro che si scada un po’ troppo nell’eccesso
e nell’ostinazione, in particolare a un paio di morti mancano giuste
motivazioni e l’impressione è quella di un macello di frattaglie giusto per
fare mucchio, o certe citazioni/omaggi che sembrano più che altro momenti
ricalcati che vere e proprie reinterpretazioni, ma Deathgasm è pura energia e non ha momenti di cedimento.
Sembra proprio che, finalmente, un buon
gruppo di autori, anche se agli esordi e con poca (anche se in questo caso Howden viene dagli effetti speciali e ha un curriculum mica da ridere), siano riusciti ad
afferrare le dinamiche necessarie per portare questo tipo di cinema di genere
verso vette inimmaginabili fino solo a qualche mese fa. È un grande momento ed
è giusto cavalcarlo, spero che ci sia abbastanza carburante per arrivare
distanti e non bruciarsi tutto subito nei primi chilometri.
Me lo segno per recuperarlo
RispondiEliminaMa recuperalo subito che qui siamo a livelli altissimi! :-D
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