We
wish you a merry Halloween.
Pensavo che per i film natalizi, o
quantomeno gli horror, non ci fosse più spazio.
Non mi sembra che ai più piccoli interessi
più di tanto quest’atmosfera, i tempi moderni hanno masticato e risputato ogni
meraviglia nostalgica in pratiche confezioni pop da consumare e buttare subito
dopo, si cresce con cuori glaciali e stomaci di ferro e certe magie sono state
spazzate via sotto tappeti che nessuno calpesterà mai.
O forse è solo l’impressione di un, ehm,
adulto, niente marmocchi da crescere, niente nipoti da viziare (be’, uno appena
acquisito, ma è ancora presto per blood, guts & monsters), fin troppo
sensibile alla malinconia di un’era passata.
Ma A Christmas Horror Story, che per la cronaca esce a ottobre, giusto in tempo
per Halloween (eh?), ripesca (forse dovrei iniziare a controllare di più il
lessico e sciorinare sinonimi, ho paura di verificare quante volte ho scritto
“ripescare” nelle ultime recensioni) quel bel mood natalizio, a metà tra
raccapriccio e simpatia, che, se ben giostrato, lascia un segno a forma di
sorriso ed è di solito una piacevole parentesi durante i setacci nei torrenti
alla ricerca delle gemme più nascoste.
Film a episodi, tre registi per cinque
sceneggiatori che producono cinque storie stand alone (quindi niente intrecci
fantasiosi alla Trick ’r Treat),
mescolati però in una soluzione unica che dà un bel carattere solido al
prodotto. Non so decidere se preferisco una formula standard, con venti minuti
ciascuno come accaduto nei V/H/S o,
con minutaggi molto più brevi, negli ABC’sof Death, o questa strategia più sottile, che finge di raccontare un’unica
storia nonostante i divisori delle singole tragicommedie siano belle alte: la
scelta di Grant Harvey, Steven Hoban e Brett Sullivan è infatti lodevole da una
parte per ritmo e forza narrativa ma criticabile dall’altra, manca una maggior
coesione tra le vicende nonostante qualche legame venga suggerito qua e là, e
alla fine A Christmas Horror Story
sfugge, anche se di poco, quel quid che spesso toccava anche con una certa
dignità.
Non è per forza la fine del mondo, le
cinque storie si reggono bene in piedi di sole e offrono quel sano
intrattenimento tipico da dtv, con una punta di interesse in più per la
deliziosa atmosfera evocata e soprattutto per un twist finale tra i migliori in
cui sia incappato negli ultimi tempi.
Non si cercano soggetti particolari o
personaggi memorabili, tutto è molto diretto e lineare come vorrebbe certa
tradizione horror, l’impressione in fondo è proprio quella di raccontini
dell’orrore ideali per un target abbastanza giovane (ma non troppo) che nulla
hanno a che fare con le tendenze del cinema più recente: niente torture, niente
telecamere traballanti, niente ragazzini scemi che bevono come disperati, ma
solo semplici storielle, pratiche, veloci, succulente.
Una coppia alla ricerca di un albero da
tagliare nel bosco e addobbare a casa si scontra con una maledizione che tocca
il figlio innocente.
Una famiglia in viaggio verso il parentado
alle prese con un mostro che proviene dritto dalla mitologia natalizia.
Un trio di ragazzi nel sottosuolo chiuso
della scuola all’inseguimento di una leggenda di fantasmi e vendette
ultraterrene.
Un Babbo Natale a cui tocca difendersi da
un’orda di elfi tramutati in zombi a causa di uno strano influsso malefico.
E infine uno speaker radiofonico che
racconta fatti che noi non possiamo vedere.
È poco, grezzo, chiarissimo, si saccheggia
dagli archetipi più noti con mostri, maledizioni e fantasmi, si arricchisce qua
e là con dettagli che variano quanto basta contesti e mitologie, e non si gioca
al rialzo su chissà quali sorprese o digressioni: il trio di registi, chi più
chi meno, proviene dalla tv (con qualche puntatina nel cinema) e possiede il mestiere necessario a dare vivacità, azzerare i
tempi morti, accelerare nei momenti giusti e spruzzare di sangue e viscere
quando serve.
Al resto pensano delle sceneggiature
scritte con la stessa filosofia: personaggi caratterizzati con una virgola,
vicende sviluppate con il giusto crescendo, sorprese mai troppo imprevedibili
ma sempre funzionali e inserite nel momento migliore.
Un plauso allora all’episodio sulla
famiglia spaccata a cui tocca una spietata sopravvivenza nel bosco, perché rapido
e molto suggestivo pur nell’essenzialità (ottime relazioni, perfetta crescita,
o discesa, dei personaggi, bel mostro, gran finale), anche se forse la storia
migliore è quella del Santa Slay: una battaglia senza sosta con un accumulo di
cadaveri e arti mozzati e una chiusura da incorniciare.
Ma ogni pezzo è in fondo da lodare, ci
sono aspetti che prevalgono su tutto come il bel trio di ragazzini nella ghost
story, contrassegnati da tre caratteri naturali e mai falsificati per la
finzione, la bella evoluzione finale nella battaglia tra genitori e figlio
posseduto, e un grande William Shatner dj che macina parole e alcol con un
carisma impareggiabile.
Indovinata la colonna sonora, zuccherosa
nelle quantità giuste, e valido il reparto effettistica tra mostri e sangue
(anche se digitale viene versato in quantità rispettabili): si viaggia sulle
stesse coordinate medie ma non disturba il suo non spingersi oltre, per un
prodotto come questo va bene così, si rimane soddisfatti e sarebbe sbagliato
chiedere dell’altro.
Forse l’unico dispiacere è quello della
longevità: con un Krampus (guarda
caso proprio dal regista di Trick ’r Treat)
in arrivo tra pochissimo, forse A
Christmas Horror Story si farà ricordare giusto per aver sfruttato lo
stesso mito un paio di mesi prima (a meno che qualche altro film non si sia già
servito dell’anti Babbo Natale, ora come ora non me ne viene in mente nessuno)
per poi scomparire nel fondo dei cestoni virtuali.
Hai ragione... Mi dispiace che con l'uscita di "Krampus" verrà messo da parte. Mi ha divertito
RispondiEliminaInfatti, ha uno stile anni Novanta molto piacevole e simpatico, finisce tutto presto perché in fondo c'è molto poco, ma ci si diverte :)
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