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Dark was the Night (2014)

By Simone Corà | lunedì 10 agosto 2015 | 00:00

Un solido horror vecchia scuola, teniamocelo stretto                                                                               

Abbiamo bisogno di Dark was the Night.
O meglio, abbiamo bisogno di un cinema del terrore che riscopra i fondamentali e sappia definirli in questi anni, li adatti per una generazione che non li ha conosciuti e possa avvicinarsi senza passare per i terribili step odierni del blockbuster horror.
Mi sembra di scrivere sempre la stessa recensione da qualche tempo a questa parte, ma a rovistare nel terrore indipendente sono queste le virgole che fanno la differenza e che spingono il midiano sulla sua strada, perché abbiamo bisogno di una semplicità esecutiva che respiri della semplicità visiva di una volta, che lasci perdere non tanto l’uso sproporzionato dell’effettistica digitale quanto la piattezza encefalogrammatica con cui vengono costruite e narrate le novità horror odierne.
Abbiamo bisogno di una linearità che rispolveri l’essenziale e lo trasformi in fattore primario, abbiamo bisogno che l’orrore torni al centro della visione e che tutto il resto lo utilizzi come perno per mettersi in moto.
Forse avremmo bisogno di una bella formazione per tirare su sceneggiatori preparati e sintonizzarli con un pubblico migliore, ma mentre si aspetta un qualche tipo di rivoluzione cinematografica che abbatta la pochezza attuale c’è Dark was the Night a riempire gli schermi.

E non perché il film di Jack Heller sovrasti la cumpa con quella potenza schiacciante di, che so, un It follows, ci sono tanti limiti che definiscono differenze di qualità e di target e in fondo va bene così, è anche giusto che questo horror rimanga entro i suoi ambienti e accontenti che, di volta in volta, si avventura qui dentro.
Dark was the Night gioca comodo in molti aspetti e la penna di Tyler Hisler non si sforza poi molto per imprimere tutti quei timbri con cui poter notificare il film ed esibirlo con soddisfazione al mondo, è come se, esaurita la forza che ne contraddistingue molti dettagli si adagiasse su quel minimo indispensabile per far girare la storia, ma la validità del secondo film di Heller (lo ricordate quel caruccio Enter Nowhere?), quando è ora di brillare, fa una luce mica da ridere, e non si tratta di un dettaglio da poco, o di quel particolare che rimane impresso all’interno di un film grossomodo mediocre, è in realtà un lavoro importante e a suo modo complesso, molto solido e intelligente e di cui è cosa buona parlarne il più possibile.


A seguire i primi passi del mistero che affligge la cittadina di Maiden Woods, non siamo molto lontani da quel piacevole sapore nostalgico di orrore incomprensibile ed enigmatico, da scoprire interrogativo dopo interrogativo, da ricostruire con scoperte e supposizioni, come ha fatto tanto basilare horror passato o che ha ben impresso negli occhi di chiunque una puntata a caso di X-Files: il perturbante agisce secondo scopi precisi, ha i suoi metodi e i suoi schemi, lascia enormi tracce sanguinose dietro di sé e l’unico modo per fermarlo è precederlo, capirne il modus operandi, sconfiggere le reticenze e accettarne la soprannaturalità.
L’orrore di Dark was the Night rapisce animali e si muove cauto nei boschi, ha fame ed è cattivo, nasce attraverso leggende locali e tradizioni ancestrali e solo una persona sembra credere alla sua esistenza. E no, non è un protagonista d’acciaio, fermamente convinto delle sue idee, pronto a sbattere contro i muri invisibili creati dall’incredulità altrui: è in questo che il film di Heller sa distinguersi, perché il suo eroe è un Kevin Durand molto diverso da come è abituato a vederlo certo pubblico, della fisicità sfottente e del sarcasmo irresistibile con cui trascina The Strain rimane giusto l’imponenza statuaria che, paradossalmente, esalta il suo sentimento, quello di un uomo annientato dalla morte del figlio e che in alcun modo riesce a superare.  
Piange, rimane in silenzio, chiede scusa in continuazione: lo stato depressivo in cui è immerso è tangibile e feroce, e per una volta possiamo avere un antieroe che, seppur ritratto nei più classici drammi famigliari post lutto (divorzio imminente, vita dedicata al lavoro, incomunicabilità, complicazioni varie nel gestire rapporti sociali con compaesani, insegnanti, ecc), soffre di un dolore plausibile e con modalità altrettanto ragionevoli (non spacca tutto, non grida, non minaccia e soprattutto non beve), è impacciato e in difficoltà per tutto il film, evitandosi meravigliosamente un ruolo da duro inossidabile, pur essendo sceriffo, anche quando i mostri entrano in scena e bisogna fare a cazzotti.
La stessa bontà psicologica è dedicata anche al suo vice, c’è una bella descrizione di un ragazzo che lascia una grande città come New York dopo un incidente al lavoro per ripartire da un paesello in montagna: anche qui non ci sono invenzioni o grosse profondità da sondare, ma tra la semplicità con cui recita Lukas Haas e la buona costruzione dialogica si respira la vita di un uomo possibile, che vuole imparare il suo lavoro, stare tranquillo, farsi degli amici e magari una famiglia, tutto molto easy e controllato ma alla stessa maniera molto vero nel ritratto comune che in fondo si vuole dipingere.


Purtroppo, con queste finezze ci si ferma bruscamente qui, il resto del cast rimane bloccato in caratteri standard e accoppiamenti abbastanza stupidini, dal prete che ricorda dell’importanza della fede alla figlia dell’allevatore che si combina matematicamente al bravo poliziotto, passando per il barista Nick Damici che spara raffiche di terribili frase fatte che fanno sanguinare le orecchie, Dark was the Night impatta contro i cliché più sciocchi del genere e non fa nulla per offrire un minimo di personalità.
Peccato, c’erano ampi spazi in cui muoversi e anche valide capacità per tentare approcci di una certa maturità, hanno invece preferito un maggior comfort e una sicurezza con cui massimizzare il guadagno empatico, ma okay, non importa, queste lacune si possono accettare anche volentieri se il sentiero soprannaturale percorso dai due protagonisti è in fondo così stabile e compatto.

Gli elementi inspiegabili che ingrassano il mistero di Maiden Woods sono calibrati bene, si parte da un fantastico antefatto vecchia scuola come non se ne vedono più e si prosegue con un’analisi sincera e convincente fatta di gigantesche orme che percorrono tutto il paese, sparizioni di bestiame sempre più ravvicinate, unghiate sugli alberi che fanno rizzare le antenne e si finisce con un’ammissione del soprannaturale dopo una progressiva intrusione mitologica che comunque non soccombe mai a facili spiegoni ma preferisce un prosieguo per fatti e prove, ragionamenti e ineluttabilità costruiti con un bel show don’t tell di dialoghi fino a uno scontro finale con molte frecce nel suo arco.
Spiace solo per una CG elementare, quando si annusavano begli interventi di trucco e pupazzoni a dare figura alla creatura è ahimè la scelta meno felice di tutta la pellicola, che si contraddistingueva anche per una ricercata fotografia tendente a un blu freddo solitario. Buona tuttavia la lotta conclusiva, una bella scena di assedio rimette sempre in pace con se stessi e fa venire le lacrime agli occhi, anche in virtù di un epilogo brutale e bastardo come pochi, furbetto nell’annunciare un probabile capitolo secondo ma in ogni caso massacrante per la pesantezza con cui sopraggiunge.


Non c’è niente di meglio in giro? Sicuramente sì, nonostante l’impegno Dark was the Night galleggia in una vasca di prodotti in fondo mediocri e privi di quello smalto sufficiente per strisciare fuori, ma pur incassando questo penso sia un film che ha ben più di un motivo di dire la sua e di affacciarsi orgoglioso per la sua offerta.

8 commenti:

  1. Ovviamente non esistono sottotitoli in italiano, quindi altro film interessantissimo da rimandare. Peccato, mi invogliava alla visione

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    1. Ah, peccato, i sub eng sono pure usciti istantanei, ma immagino srt project non tarderà molto a metterci la firma, eh :)

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  2. Già, già, lo stavo proprio per proiettare in visione...a presto :)

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  3. Risposte
    1. è uno dei momenti migliori del film, ottima gestione del mistero, bella successione di domande e facce confuse :)

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