Un b-movie di quelli che si facevano una
volta, can’t miss it!
Se Stung
fosse uscito negli anni Ottanta si sarebbe guadagnato un bello status di cult,
o sarebbe stato comunque ricordato con un affetto nostalgico che immagino non
faccia parte del bagaglio culturale delle nuove generazioni e del loro
approccio al cinema di genere.
È uno di quei film che magari avrebbe
avuto per protagonisti un paio di adolescenti innamorati, Corey Feldman avrebbe
trainato idealmente il coraggio strampalato dell’eroe, un Jeffrey Combs avrebbe
sparso facce e smorfie in un villain da incorniciare e la storia d’amore
avrebbe un po’ sciolto il cuore e mosso certi muscoli con quelle prime
cottarelle impossibili per ragazze di una bellezza e semplicità che oggi ci
sogniamo, ed è molto probabile che, a distanza di tanti anni, tutti avrebbero un posto nel cuore per quel piccolo horroraccio divertente sulle api mutanti.
Nel 2015, invece, Stung deve alzare i gomiti per spuntare tra la massa di horror
comedy, è costretto infatti a vegetare in un limbo di semi anonimato e anche a
farsi notare non è detto che qualcuno lo prenda in simpatia, più facile invece che,
in una situazione come quella odierna, lo si prenda per sciocco e inutile
monster movie modello Asylum/Sy-fy e lo si scansi a priori un po’ schifati. Ma
non potrebbe esserci niente di più sbagliato, perché Benni Diez sarà anche un
esordiente, così come lo sceneggiatore Adam Aresty, ma hanno entrambi le idee
chiare e pur sapendo che con la CG le cose sarebbero state più facili scelgono
invece una più tradizionale e ormai dimenticata artigianalità con cui fare
quello di cui avrebbe sempre bisogno un monster movie: i mostri.
Paul e Julia lavorano in un catering e
sono alle prese con una festa privata per ricchi anziani. Lui è pazzo di lei ma
non ha il coraggio di dirglielo, e così si rende protagonista di un milione di
figure di merda tipicamente maschili mentre lei, che sotto sotto sa bene la
situazione ed è chiaro che ci sta facendo un pensierino, non aspetta altro che
lui si faccia avanti. Alla festa si beve anche se non si dovrebbe e il momento
sarebbe perfetto, lui è troppo tonto ma si sta preparando, peccato che sul più
bello arrivino i mostri, che a essere precisi sono api giganti e schiumose, e iniziano ad ammazzare gli invitati. I sopravvissuti si chiudono in casa e inizia il
survivor, spalla a spalla con un anziano carismatico (un sempre gradito Lance
Henrinksen) e un villain memorabile per tic, ambizioni e idiozia.
E il film gira molto bene, sarà tutto
schematico, lineare e prevedibile, ma in una maniera che non dà fastidio perché
caratterizzazioni ed eventi possiedono quel tocco delizioso che mette di buon umore:
da una parte quindi la semplicità ironica di una storia classica ma sempre
divertente, e dall’altra un disegno convincente dei personaggi che permette di
affezionarsi loro in pochi istanti.
Lui è un loser parecchio simpatico e con
un coraggio poco palestrato e molto fracassone, lei è un po’ freddina
all’inizio ma si scioglie con un bella energia quando la situazione precipita, la
coppia è fatta e i dialoghi si scrivono da soli, le battute sono ficcanti e il
gioco di sguardi regge piacevolmente anche se l’approccio è a tratti
eccessivamente da teenager e nel vedere un trentenne così impedito nel non
esprimere la sua palese passione fa un po' troppo sorridere.
Aresty è all’esordio assoluto e non è di
certo un campione di scrittura, ma non servono poi molti elementi per
strutturare e chiudere le scene, si spiegano velocemente i perché e si pianta l’ironia
nei dialoghi, sulla carta non pare cosa troppo difficile e per fortuna sembra
saperlo bene Diez, che riesce a impacchettare ogni segmento con il giusto
ritmo, togliendo sbavature laddove i personaggi si fissano troppo e insistendo
sulle mimiche con quello humor che, in fondo, è la vera carta vincente (esemplare
la scena del ricordo triste di Paul, distrutto all’improvviso da una cattiveria
nerissima da applausi).
Al resto ci pensano i mostri perché sono pupazzoni viscidi e soddisfacenti e si
basano su una biologia sempre divertente (mutazioni da materiale tossico, se facciamo i nostalgici facciamolo fino in fondo): queste api parassite iniettano larve nel corpo
ospite, trasformandolo in un secondo momento in bestie giganti che sembrano
mosche con zampe da ragno. Le trasformazioni ricordano fin troppo quelle de La cosa ma va bene lo stesso, gli
effetti sono buoni e il livello di gore è molto alto, e a dirla tutta di corpi
che si squartano per far fuoriuscire lunghe zampe pelose non ce ne sono mai
abbastanza.
E poi ci sono quei piccoli dettagli che fanno
quella piccola differenza, è cosa da poco ma è sempre piacevole da
sottolineare, perché idee come la testa dell’ospite che rimane attaccata al
mostro dopo la trasformazione, o la fusione involontaria che crea il villain, o
ancora le varie mutazioni che esibiscono le api killer nella parte conclusiva,
colpiscono dove serve.
Un b-movie estivo che sembra davvero
uscito da una VHS dimenticata nei vecchi scatoloni, ma che bella sorpresa!
Lo voglio recuperare assolutamente.
RispondiEliminaPare una vera ficata.
Non è così indispensabile, eh, però è caruccio e lo si guarda volentieri :)
Eliminace l'ho in rampa di lancio...torno dopo averlo visto...
RispondiEliminaHo letto e concordo :)
EliminaIo mi sono divertita il giusto. Non capisco ancora se l'operazione nostalgica sia sincera, oppure se regista e sceneggiatore, a forza di fare l'occhiolino, si sono presi una bella congiuntivite.
RispondiEliminaPerò, a parte il mio essere una malfidente brutta persona, il film funziona, va spedito dall'inizio alla fine, fa ridere e inorridire e poi ha Henriksen che da solo vale la visione.
Alla fine il discorso è lo stesso di We are still here: questi esordienti devono pur partire da qualche parte, e preferisco di gran lunga che si appoggino così tanto a film grossi di una volta per poi migliorare e personalizzarsi di film in film, piuttosto che tentare sin da subito una qualche strada più original senza avere però le capacità per reggerla. :)
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