La serie b come non si era mai vista. Per
di più in tv.
C’è un gran parlare di Z Nation, ed
è sacrosanto: sto recuperando adesso la serie Asylum/SyFy ed è un’enorme,
meravigliosa ventata d’aria fresca in un panorama che la stessa combo di
produzione e rete hanno soffocato con cose di fattura tremenda di cui è
difficile anche solo parlare. Ne scriverò penso settimana prossima, è una serie
tv in perfetto stile Midian e mi spiace di aver già consumato metà episodi.
Ma prima, a giugno, quando di Z Nation si
sapeva poco e quel poco che si conosceva era ottima materia per grosse risate,
FX mandava in onda The Strain.
Una cosa come Pacific Rim dovrebbe resettare tutto, non ci sono salvezze, nessuna
redenzione, è una porcata troppo grossa e la carriera di un autore, in grado di
creare un orrore del genere e non vergognarsene, per me dovrebbe finire
lì, punto, basta, ciao. Credo di
conoscermi abbastanza bene, e di solito fatico a perdonare, Guillermo Del Toro
dovrebbe aver perso ogni credibilità e nemmeno il fattore nostalgico ha modo di
rivalutare, ma neanche in minima parte, un simile circo di minchiate. Comunque.
Una volta sbollita la rabbia e accantonata a fatica la presa per il culo,
complice soprattutto l’idea non solo di una serie tv horror, ma di una serie tv
horror su un canale via cavo come FX (leggi violenza, sesso e in generale pochi
limiti, ma senza le necessarie drammaticità e pesantezza che garantisce la HBO)
la curiosità è tornata a manifestarsi. Va bene, Del Toro ha scritto la The Strain Trilogy con Chuck Hogan e
della serie tv è soltanto produttore esecutivo e, come spesso accade ai grandi
nomi, sceneggiatore e regista del pilota, e va bene, lo showrunner è
addirittura Carlton Cuse, un altro per cui non dovrebbero esistere porte dopo Lost, eppure la prima stagione di The Strain è una botta enorme che mi ha
gasato come non succedeva dai tempi di Spartacus.
A voler farla breve, The Strain è un b-movie a puntate perché non ci sono scelte, nei
personaggi, negli eventi e in tutto l’universo vampiresco creato, che non
derivino dalla concezione più generalista del cinema di serie b così come
funzionava negli anni Ottanta e Novanta. Facciamo una lista di cosa c’è:
1. un protagonista che si sta separando
dalla moglie (con annessi problemi sulla gestione del figlio) e che ha capito
tutto quello che sta succedendo anche se nessuno gli crede;
2. una collega che si intuisce tipo al
minuto 3 che è persa di lui ma non può dirgli niente perché lui ha una famiglia
e invece lei ha la madre malata da accudire;
3. un collega che gli vuole bene ed è buono
però fa una cazzata che fa scoppiare un casino mondiale e poi si pente;
4. un vecchio che ha già confitto il male quand’era
giovane e ora deve rimboccarsi le maniche per affrontarlo di nuovo e una volta
per tutte;
5. un criminale appena uscito di prigione
che vuole bene alla mamma e adesso vuole rigare dritto ma che si trova a
lavorare per il male perché gli servono i soldi;
6. un tamarro dalla battuta facile che
vuole combattere il male perché menare i vampiri è FUNNY;
7. una hacker un po’ cyberpunk che fa dei
malanni tipo DISTRUGGERE INTERNET;
8. un metallaro modello gotico burbero e
annoiato pieno di belle figliole;
9. un bad guy dai modi raffinati e tutto
in tiro che se però si incazza diventa un mostro, letteralmente;
10. ah, be’, i vampiri;
e per finire, rullo di tamburi:
11. i nazisti!
È difficile non voler bene all’ingenuità
horror di The Strain, perché non
capita poi così spesso che i cliché siano trattati con questa cura, un amore
addirittura commovente nel rispettare precisi percorsi scolpiti in anni e anni
di cinema del terrore. Ma è un ingenuità felice e professionale, una semplicità
creata attraverso una raccolta meticolosa di spezzoni di pellicole che chiunque
conosce a memoria, eppure la noia non è sovrana e neppure l’impazienza per
qualcosa di nuovo (leggi: qui è tutto VECCHIO), perché The Strain, nella sua leggerezza soprannaturale e nella schiettezza
psicologica, rinfresca e colora l’ennesima storia di vampiri rendendola una buona storia di vampiri.
Forse non è un caso che ci sia dietro Del
Toro, proprio lui che con quel maledetto Pacific
Rim precipitava male laddove l’unica cosa che gli si chiedeva era di
scrivere bene una storia che non
poteva non essere stupida, insomma Del Toro recupera quell’onestà di Mimic
e Blade II e la spalma su 13 puntate, perché questo è quello che succede
in The Strain: dai rapporti tra i
protagonisti alle scene di lotta, la circolarità narrativa è talmente efficace
che pur sbattendo sempre contro una certa sciocchezza nell’interazione degli
elementi creati non si incastra e non rallenta mai, la sua è un’esecuzione
rudimentale ma paradossalmente di grande, grande coinvolgimento perché The Strain è tutto qua, non c’è altro, è
una piallata diretta e brutale, con personaggi che muovendosi come orsi si
fanno subito simpatici, eroi che fanno battute ficcanti a ripetizione e gente
che massacra i vampiri spargendo riuscitissime badilate di sangue.
Inutile perdersi dietro a superficialità o
incongruenze: cose come la differenziazione linguistica tra i personaggi, che
spaziano dallo yankee al messicano passando per il russo e il tedesco, che di
colpo diventa inutile nei flashback nel lager dove un crucco e un ebreo parlano
inglese; o ancora la faciloneria caratteriale di Goodweather e i momenti
assurdi in cui sceglie di andare a letto con Nora; o l’estetica dei vampiri,
così simile a quanto visto in Blade II…
Potrei continuare, la lista è lunga ma non c’è motivo per farlo quando dialoghi,
situazioni e ritmo permettono di godersi 13 puntate sempre divertenti, tese,
ben dirette e soprattutto strutturate con gusto, con un intreccio sì elementare
ma approfondito e sventrato nelle tante sottotrame che garantiscono un vario e
mutevole labirinto di eventi.
A differenza di Z Nation, che deve
fare economia e si diverte nell’episodicità autoconclusiva, qui i bubbi ci sono
e si vedono: al di là di un cast in gran forma, la serialità è costruita con
gran dispendio di personaggi, la mostruosità dei vampiri è garantita da un’ottima
effettistica che non rinuncia mai a efferatezza e svariate badilate di sangue, e
la ricerca di una storia corale è forte soprattutto attraverso la progressiva
distruzione mondiale, con una pandemia che dilaga settimanalmente e con una
credibilità di cui un prodotto del genere avrebbe potuto fottersene alla grande
e tutti lo avremmo amato lo stesso.
Enjoy.
bella bella bella, mi è piaciuta veramente tanto....
RispondiEliminaEh sì, non potevano crearla meglio
Eliminaper me, più che di serie B, è proprio di serie Z :)
RispondiEliminaMa è quello il bello, la bravura nel prendere le cose più grezze dell'horror e metterle insieme in una storia molta valida e piacevole da seguire. Che è un po' quello che ha fatto Ryan Murphy con American Horror Story ma senza tutte le trashate e le varie cagate assurde ed esagerate: qui c'è solo un purissimo b-movie in 13 puntate :)
EliminaNon so perché ma mi ricorda la recensione di Banshee. Che per altro lì ci andai a nozze. Quindi mi sa che mi tocca almeno provare con sto The strain, i libri per altro non erano malaccio.
RispondiEliminaE' vero, lo spirito è quello, pochi cazzi e molti cazzotti, ma in Banshee bisogna dire c'era un po' di profondità in più, uno studio leggermente più ampio dei personaggi, qui è solo tamarraggine e badilate sui denti :)
EliminaE' una serie molto buona e non me lo aspettavo minimamente.
RispondiEliminaAnch'io mi aspettavo poco, il tema è abusatissimo e il rischio di panzana televisiva noiosa c'era tutto, e invece grinta a mille, ironia e splatterate senza sosta, gran bel vedere :)
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