USA, 13 episodi, 60 min. cad.
Creatore: Kurt Sutter
Network: FX
Kurt Sutter è fatto solo per far menare le
mani, è uno sceneggiatore rozzo e di pancia come lo sono i suoi centauri
televisivi, è abile nell’ammazzare gente e nel commentarci sotto sarcasticamente,
sarà cosa da poco ma lo sa fare bene, e se Sons of Anarchy è arrivato
alla sesta stagione, mentre tutti i progetti di Shawn Ryan crollano miseramente
dopo 10 episodi, un motivo c’è: insieme facevano faville con The Shield,
ma in solitaria non c’è mai stata storia, il carisma che scaturisce dalla penna
di Sutter ha pochi rivali televisivi, figurarsi con le creature che l’excompagno non ha mai nemmeno avuto il tempo di creare perché il network gliele
aveva già chiuse. E che fosse inutile tentare approfondimenti e psicanalisi
varie dev’essersene accorto anche lui, la stagione cinque si concludeva bene o
male all’episodio 3 e il resto erano solo criminali che pensavano e non
sparavano, e ciò era indubbiamente il male, quindi la stagione sei parte a
bomba recuperando tutta la cattiveria smarrita e mitragliandola al ritmo di un
paio di twist sbudellanti a episodio: ritmo sostenuto e pugni allo stomaco, buon
dispiegamento del cast e calci sui denti a manetta.
Sons of Anarchy non
cancella i suoi difetti, sarebbe impossibile sgrezzare una sceneggiatura che
punta ogni cosa sull’impatto carismatico dei suoi personaggi, e infatti permane
l’arrugginita costruzione delle scene e la pochezza narrativa di chi, alla
fine, vuole solo, e anche giustamente, premere il grilletto e far fuori un po’
di gente, incasinare tutto e ricominciare a sparare: è un gioco che funziona,
sicuramente lo show non è mai stato equilibrato né la qualità è stata mantenuta
più o meno costante tra le stagioni, ma i duelli a suon di occhiate e bicipiti
rappresentano egregiamente lo spirito di un’opera che ha sempre dato
esattamente questo, e che quando ha tentato una strada più introspettiva e
ambiziosa ha fatto solo danni. Non importa quindi che i dialoghi vengano creati
sempre con lo stesso schema (due personaggi riassumono la situazione fino a
quando non irrompe un terzo dicendo che è accaduto qualcosa), non importa
neanche che ci sia una concezione narrativa del dolore a tratti abbastanza
terribile (l’uso spropositato dell’I’m sorry che di fatto salva Kutter da dialoghi
profondi e pensati che non sarebbe mai in grado di scrivere), e non importa che
tutti agiscano come schiacciassero un interruttore, in fondo non c’è tempo per
imbastire una situazione diversa e con maggior spessore scenico quando Jax e
soci devono prendere a pugni la solita brutta gente che circola per Stockton.
Quest’anno FX dà il via a puntate lunghe
sessanta minuti, con il season finale di ben un’ora e mezza, e con tutto questo
tempo a disposizione Sutter doveva per forza inserirci qualche spunto di
riflessione, pazienza quindi per una manciata di episodi, nella seconda parte,
abbastanza sottotono, troppo concentrati sullo scontro tra Tara e Gemma senza
che, a conti fatti, ci sia motivo di dire più di quello che si sa già, ovvero
che si odiano, ma la caratterizzazione di personaggi è come sempre così forte e
decisa, tanto tra maschietti quanto tra le femminucce (pare strano che in una
serie dall’impronta così maschilista e muscolosa le donne abbiano una
femminilità così piena e genuina che raramente se ne vedono in tv), e la botta
di morti e di colpi di scena è così ben imbastita e così ben delineata verso un
finale di una crudeltà allucinante, che a Kurt Sutter gli si può solamente
voler bene.
Sono un po' scosso.
RispondiEliminaPur'io...
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