Giappone, 124 minuti
Regia: Takashi Miike
Sceneggiatura: Tamio Hayashi
Di tutti coloro che hanno storto il naso
di fronte all’apertura di Miike degli ultimi tempi, credo non siano poi molti
quelli che, nella scelta di un cinema più commerciale e con budget più
consistenti, abbiano realmente visto il male, in fondo Miike non ha mai
smentito se stesso e ha continuato a travestirsi, a mutare, a saltare da un
genere all’altro conservando però, anche con una produzione big alle spalle, il
suo estro stravagante e personalissimo. D’altronde, capolavori drammatici come 13assassini e Death of a Samurai sono in bella, folle compagnia con
musical d’amore pregni di seventies (For Love’s Sake), coloratissime
trasposizioni di videogiochi (Ace Attorney) e violentissimi slasher (Lessonof the Evil), non dimenticando tra l’altro piccoli excursus nel low budget
(il non riuscito mix di commedia e gore Detective Story), e se è chiaro
come certa anarchia dei bei tempi sia andata perduta, è forse meglio parlare di
maturazione stilistica che lo ha portato non ad asservilirsi alle meccaniche
del cinema mainstream (come era per certi versi già accaduto con il comunque
valido The Call) ma, quasi paradossalmente, a piegare il cinema
mainstream al suo tocco. È quindi strano e un poco demoralizzante vedere come
questo Shield of Straw, action thriller che strizza ben più di un occhio
all’occidente, non abbia davvero nulla del cinema di Miike, quel gusto caratteristico
e inimitabile che s’intravedeva anche nelle opere meno valide ma non per questo
meno interessanti.
A dirla tutta sembrerebbe non esserci
nulla di sbagliato, l’intreccio presenta uno spunto piuttosto intrigante, e lo
svolgimento, nella sua mitragliata d’azione, è ben sviluppato da macchinazioni
e scene di massa di gran visività, ma ciò che più manca a Shield of Straw
è allo stesso tempo una sceneggiatura forte e credibile che dia spessore alle
vicende trattate, e ahimè una regia meno distaccata che non privi i
protagonisti della loro forza emotiva, e questo perché, alla fine, delle sorti
del giovane pedofilo e assassino Kiyomaru, così come delle vite del team che lo
trascina di qua e di là per salvarlo dal linciaggio e farlo arrivare sano e
salvo all’arresto e al successivo processo, non è che importi molto, e in una
pellicola dove il lirismo drammatico fuoriesce tra lacrime e grida credo sia
cosa piuttosto grave. Non servono quindi un tostissimo punto di partenza, con
la milionaria ricompensa data dal nonno dell’ultima vittima a chiunque ucciderà
Kiyomaru, né la potenza devastante di un’intera popolazione che si trasforma da
un momento all’altro in killer disperati: tutto si risolve in pochi minuti di
adrenalina (il dispiego degli autobus e l’assalto che ne consegue, le fasi
iniziali della fuga in treno), ben diretta e virtualmente feroce ma
fondamentalmente innocua come certo action popolano e recente vuole (zero
sangue, morale a livelli preoccupanti, buonismo eccessivo e irritante).
Non resta nulla del senso d’orrore
inscenato, Miike telefona sbrigativamente una sceneggiatura molto superficiale
che non dà vero valore ai temi in gioco (il ruolo della giustizia e cosa
significhi realmente), tralasciando riflessioni e accontentandosi di domande e
risposte che non scavano mai in profondità, o meglio, non riescono a farlo dato
che l’intento evidente è quello di limitarsi a compiacere tutti, sia chi cerca
il film d’azione sia chi il dramma facile, e scontentando tutti gli altri,
ovvero chi cerca, ancora prima di un film di Miike, semplicemente un buon film.
Ma è davvero difficile salvare qualcosa in questo finto-drammone che si crede
tipico melò asiatico ma che in realtà vuole essere il tipico action americano e
fallisce miseramente, ed è un gran peccato, perché molte situazioni, prese
singolarmente, hanno enorme fascino (ancora, l’idea che ogni persona possa di
punto in bianco diventare un assassino spietato e tentare di uccidere Kiyomaru,
oppure la stessa natura del giovane pedofilo, tra l’ingenuo strafottente e la
violenza nichilista), alle quali solo una sceneggiatura più attenta avrebbe
potuto dare giusto risalto. Ma, così com’è, Shield of Straw rimane un
lungo, interminabile polpettone di sonnolente buone maniere e noiosi giusti
valori.
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