Thailandia, 115 minuti
Regia: Banjong Pisanthanakun
Sceneggiatura: Banjong Pisanthanakun, Chantavit
Dhanasevi, Nontra Kumwong
Non ho un gran rapporto con il cinema
thailandese di genere, a dire il vero ne conosco gran poco ma, oh, è un gran poco
che il più delle volte, tra fiacche pretese di occidentalizzazione, sincere
povertà tecniche, inutili e gratuitissimi sfoggi di violenza disumana come
unica arma, e matrici folkloristiche ripetitive e narrativamente innocue, mi ha
spesso annoiato a morte. Salvo davvero poche cose, su tutto il cinema di Pan-Ek
Ratanaurang, che il genere comunque lo tocca solo di sfuggita (l’enigmatico Nymph
e il nerissimo Headshot) preferendo una visione molto più
trasversale, dolceamara e di spiccata personalità (il capolavoro Last Life
in the Universe), e i lavori del buon Banjong Pisanthanakun, che tutti
conoscono nonostante sia impossibile pronunciarne e ricordarne il nome, perché
tutti abbiamo visto Shutter, suo felice esordio in quell’ondata di
fantasmi orientali che una decina di anni fa apriva le nostre porte all’horror
asiatico. Pellicola che, come molte di quello specifico quanto primitivo
filone, funzionava benissimo all’epoca ma è bene o male inguardabile oggigiorno
nonostante sia così recente (anche se bisogna ricordare un finale visivamente
notevole): troppi schemi, troppa rigidità, troppi meccanismi già rodati dall’orrore
nipponico che Thailandia, Corea, Indonesia e certo stanco Hong Kong tentavano
di ricalcare, e poi ovviamente una scarsità di mezzi che ne impedisce un’almeno
discreta conservazione. Ma Pisanthanakun, che scriverà e dirigerà ogni cosa in
compagnia di Parkpoom Wongpoom fino al 2009, mostrava già piccoli spiragli di
personalità che sarebbero poi esplosi del tutto nei notevoli segmenti per i due
Phobia e nel piccolo contributo per l’orribile ABC’s of Death,
ovvero uno forte senso dell’umorismo capace di unire invenzioni, equivoci e slapstick
senza mai risultare sciocchino e ingenuo come capita invece in certi siparietti
dei suoi connazionali, e senza mai dimenticare, né usandola solo come mezzo
parodistico, una buona componente scary & gore Da lì il passo è breve, Pisanthanakun scioglie
la coppia con Wongpoom e dirige un’interessante commedia romantica, Hello
Stranger, dove chiaramente fuoriesce la sua anima più solare, per poi
ritornare, a tre anni di distanza, con ciò che evidentemente gli piace più
fare, ovvero le commedie horror. Cosa che, tra l’altro, deve pure piacere al
pubblico, visto che Pee Mak diventa in poco tempo il più grande successo
thai ai botteghini.
Pisanthanakun continua infatti quella
strada intrapresa con In the Middle e In the End, i rispettivi mediometraggi
per il progetto Phobia (non è un caso che ne condivida il cast), e chi
la ha visti sa già cosa aspettarsi: ironia sfrenata, spesso folle e al limite
del demenziale, ma mai delirante o priva di controllo, bensì tenuta a bada da
un’ottima capacità di scrittura, agilissima nello stendere dialoghi lunghi e bizzarramente
elaborati e cucirli su situazioni spesso idiote ma che si integrano comunque
perfettamente nello scenario creato. La trama non è niente di che, e
rifacendosi a una famosa ghost story thai diventa semplice accessorio, tuttavia
mai banale o privo di sorprese, di una galleria di personaggi incontenibili e
di una serie di gag terremotanti che trascinano il film. Poco spazio per un
aspetto in qualche modo horror, pur non mancando momenti gore e saltuari sbalzi
sulla poltrona (telecomandati ma non fastidiosi), il bello di Pee Mak è
trovare ancora una volta un regista sincero e che sa cosa ottenere per
accontentare pubblico e critica senza per forza ricorrere a tranelli
parodistici e facile ironia pecorona – l’epicità del discorso militare per
caricare i compagni, la fuga in barca e il gioco del mimo sono momenti
irresistibili, ritmati con un’insistenza e una dilatazione temporale inammissibile
nel cinema occidentale. Dilatazione che, sì, diventa unico grosso difetto della
pellicola, quasi due ore di durata non sono poche e si poteva salvare la
qualità generale tagliando qua e là (la sequenza del luna park, la più stanca
del film), ma si perdona ogni cosa prima di tutto per un cast divertentissimo e
chiaramente a suo agio in ruoli urlati e strampalati, e poi per una lunga,
intensa conclusione che rivela una struttura generale ben più complessa rispetto
alla media (non solo thai, ovviamente) e che sa commuovere con naturalezza e
genuinità senza premere su chissà quali leve strappalacrime.
Intanto, bentornato.
RispondiEliminaA me i thai-movie non dispiacciono perché per quei 7/8 che ho visto hanno una matrice di base "cazzona" che mi piace un sacco.
Questo lo recupero con tuo aiuto in pv, thx!
Spero, diciamo così, di aver sempre beccato quelli sbagliati, ma in generale il loro, almeno per quanto ho visto io nell'horror, mi sembra un approccio non ben definito tra influssi orientali e tentazioni occidentali, il tutto impastato con un bel po' di violenza abbastanza inutile, e ne nasce una roba che non è né l'una né l'altra.
EliminaComunque, di bello di recente ho visto Countdown, mentre una cosina proprio interessante, però indonesiana, è Modus Anomali (che devo sempre recensire...) :)