Filippine, 90 minuti
Regia: Rico Maria Ilarde
Sceneggiatura: Rico Maria Ilarde, Rona
Lean Sales
Con un frigorifero posseduto come
protagonista del film, verrebbe quasi da etichettare a priori un lavoro in un
grottesco funzionale alla comicità, a quel tipo di ironia con cui spesso fanno
follie i giapponesi (il filone dello Sushi Typhoon) o, almeno una volta, certe
espressioni del cinema di Hong Kong nei suoi momenti più pazzi e incontenibili,
e ci si ritroverebbe giocoforza con un pregiudizio sfalsato o addirittura,
peggio, aggravato dalla nazionalità d’origine, le Fillippine, che pur
producendo una buona quantità d’horror (la saga di Shake, Rattle and Roll
ha raggiunto i quattordici episodi), vuoi per i budget risicati vuoi più che
altro per una certa indipendenza di arti e mezzi, raramente ha raggiunto
risultati da ricordare, e si troverebbe quindi, con un Rico Maria Ilarde, che
ha già un curriculum di certo rispetto nel genere, in una scomoda posizione di
inseguitrice, di copiatrice, di enorme ritardo laddove altri hanno ovviamente
già esplorato, creato e detto, se non tutto, molto di quello che si poteva
dire. Ma Pridyider di grottesco non ha alcun elemento (se non un certo
sarcasmo citazionista nella parte iniziale), anzi, il suo frigorifero
posseduto, pur con basi dozzinali e una genesi che altrove darebbe poche,
pochissime credenziali a un horror così impostato, possiede un’inaspettata
forza creativa che rimanda, per estro visivo e per dovute ma felici limitazioni
di mezzi, a certe disturbanti intuizioni del cinema di Cronenberg e Carpenter.
La bestialità che si cela all’interno
dell’enorme cassa frigorifera genera incubi gore di ottima ispirazione, e al di
là di prevedibili ma riusciti squarci di organi e tranci di carne umana, tra
viscidi tentacoli, mani intelligenti e varie mostruosità dotate di zampe e
artigli, ciò che offre la cucina della bella protagonista è un bel pastone
ghiotto di immaginario truculento e sanguinoso. L’effettistica è quindi
elemento primario e, seppur non dominante, è chiaro come il
regista/sceneggiatore punti sugli assalti luridi e violenti del frigorifero per
creare quell’impatto altrimenti del tutto assente. La pellicola è infatti poco
interessante, la vicenda è banale ed è gestita superficialmente tra le indagini
di Tina sul passato dei suoi genitori, la telefonatissima storia d’amore con
l’amico d’infanzia ritrovato e le irritanti intrusioni ironiche delle due
vicine di casa – Pridyider è di per sé un film molto povero, più di
sostanza che di relativo budget, con attori legnosi e situazioni create per
semplice necessità di far mandare avanti la storia: c’è quindi poco mordente ma
ciò non significa che il film sia oggettivamente brutto, anzi, c’è molto, molto
valore negli spunti visivi, nell’atmosfera marcissima, nelle suggestioni
sanguinolente, e naturalmente nel piatto di creatività offerto all’interno del
frigorifero infernale.
È però importante sottolineare come la
parte finale sia capace di ribaltare i tanti aspetti negativi per l’insieme di
cadaveri, scheletri, pantani, acquitrini putridi e una “battaglia” conclusiva
davvero ben gestita, il tutto abile a richiamare atmosfere lovecraftiane nei
suoi sotterranei impossibili e che conducono alla pazzia. Pellicola quindi
interessante, con tanti difetti strutturali e una certa mancanza di ritmo da
una parte della bilancia ma con una notevole estetica horror gore dall’altra,
dategli una chance, al massimo potete sempre spegnere dopo la canonica mezz’ora
di prova.
OK. Ti odio ufficialmente. Ma come minchia le conosci ste robe?
RispondiEliminaBe', hai poco da odiare, ogni tanto scopri anche tu cose sconosciute eh... Comunque, per le robe asiatiche, Asianfeast per me è una gran miniera :)
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