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Il battello del delirio, di George R.R. Martin

By Simone Corà | mercoledì 21 aprile 2010 | 13:08

Gargoyle Books, 2010
393 pagine
18,00 Euro

Il capitano Abner Marsh è in crisi: il gelido inverno del 1856 ha distrutto la sua flotta mercantile, e ora, in bancarotta e disperato, poter viaggiare ancora sul Mississippi sembra impossibile. È per questo che l’offerta di un signore alquanto misterioso, Joshua York, gli suona strana: York vuole infatti rilevare la società di Marsh e, inoltre, dargli abbastanza denaro da costruire il più grande e veloce battello di tutti i tempi, il Fevre Dream. Marsh, nonostante tutto, accetta, ma gli viene imposta una condizione: non deve mai chiedere nulla a York e ai suoi amici circa i loro strani comportamenti, come il fatto di vivere soltanto di notte e bere una maleodorante bevanda rossastra…

Chi ha conosciuto George R.R. Martin, meravigliandosi di volume in volume, con l’infinita saga delle Cronache del ghiaccio e del fuoco, e ha avuto modo di venerarlo per le complesse avventure di Jon, Tyron, Jaime, Cersei e i mille altri personaggi protagonisti di una delle pietre miliari del fantasy e della letteratura in generale, potrebbe rimanere parzialmente deluso da questa sua unica parentesi horror, anche se “delusione” non è mai il termine adatto per quello che, a tutti gli effetti, è un romanzo solido e compatto come Il battello del delirio.

Scritto nel lontano 1982, pubblicato da Fanucci nel ’94 e ristampato ora, con una nuova traduzione, dall’instancabile Gargoyle Books, Il battello del delirio è un’insolita odissea vampirica che, quasi trent’anni fa, già mostrava una ricerca innovativa, particolare e molto riuscita della figura del vampiro che oggi, invece, soffocati da insulse storie d’amore e romanticherie tenebrose, nessuno sembra aver più voglia di tentare.

Perché se la breve sinossi suggerisce chiare, evidenti allusioni circa la natura di Joshua York e del suo strano comportamento, non è solo nel contesto, una sudata, umida, credibilissima immersione nelle acque del Mississippi e nelle rivalità tra battellieri, che Martin sperimenta eccellenti orrori originali, ma è nella stessa natura vampirica dei villain del romanzo che, considerando l’anno della prima pubblicazione d’oltreoceano, si riscontrano ventate d’aria fresca che non si aspettava altro che respirare.

Anticiparne qualche aspetto sminuirebbe la curiosità della lettura, dato che a queste rivelazioni corrispondono colpi di scena e snodi di trama che, soprattutto nella seconda parte, permettono interessanti svolte utili a digerire una certa struttura monolitica.

Chi apprezza Martin, infatti, sa bene quanto il suo stile raffinato, elegante e tecnicamente ineccepibile a volte si soffermi in maniera esasperante su particolari anche insignificanti, ma se nelle produzioni più recenti è agevolato da un vocabolario immenso e da una maestria musicale che solo pochi sono in grado di padroneggiare, ne Il battello del delirio certi inserti prolissi (i lunghissimi racconti di York su tutti, che si contraddicono spesso fastidiosamente per esigenze di trama) rendono altalenante un ritmo già mediamente lento, che si solleva soltanto nelle due-tre occasioni in cui umani e vampiri su prendono a cazzotti.

A questo bisogna aggiungere che, nonostante una palese atipicità in numerosi aspetti del romanzo, in molti altri, come le raffigurazioni iniziali di York e Julian e un coinvolgimento non troppo elevato, a causa di comprimari che restano sempre su uno sfondo a loro fin troppo stretto, Il battello del delirio appare un volume male invecchiato, che nell’uscire in questo periodo perde forse molto della sua carica innovativa.
Certi aspetti del vampirismo aristocratico, soprattutto per chi comincia a essere allergico a succhiasangue e affini, appesantiscono infatti un romanzo che aveva un suo enorme perché negli anni Ottanta e Novanta, ma che ora, in questo scenario orrorifico attuale, pare quasi fuori luogo.

Ultima segnalazione, ahimè, per certi inspiegabili errori che una casa editrice importante e affermata come la Gargoyle, a cui tutti noi horror maniac dovremmo sempre rendere grazie, non può proprio permettersi: passino saltuari, comprensibili refusi, passino alcune “d” eufoniche scampate alla disintegrazione, ma leggere, più volte, articoli femminili privi degli apostrofi fa male al cuore.

Per quanto ancorato a certe classiche soluzioni vampiriche, Il battello del delirio è a suo modo originale, oltre a poter contare su un'ottima, a tratti stratosferica ambientazione, e solo per questo meriterebbe un’attenta lettura. Se invece non sbavate ogni qualvolta leggete il nome George R.R. Martin in libreria (credendo, magari, che sia spuntato un nuovo capitolo delle Cronache, appuntamento per il quale si dovrà però attendere, forse, un ancora lontanissimo 2011), oppure ne avete le scatole piene dei vampiri, fate i vostri conti.

Un inchino necessario comunque alla Gargoyle per l’ottimo lavoro di riscoperta. Se ci fossero solo questi vampiri romanzati, oggigiorno, saremmo tutti più felici…

8 commenti:

  1. Nonostante il tempo passato dalla prima edizione, io l'ho trovato ottimo. Anche grazie ai robusti innesti "fanta-storici" che, alla fin fine, trasformano i presunti vampiri di questo romanzo in ben altro.
    E parliamo di anni in cui l'originalità sui succhiasangue era ancora più rara di adesso (ho detto tutto...)

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  2. Ma anche secondo me è un ottimo romanzo, è solo che, penso, esce nel periodo sbagliato.

    I vampiri di Martin sono sì originali e insoliti, ma derivano pur sempre da quella raffigurazione aristocratica e colta che ormai, parlo per me, ha stancato. Mettici poi le meyerate assortite che hanno reso insopportabili le sanguisughe odierne, e insomma, se i vampiri non sono dei mostri volgari e immondi come quelli di Vergnani, mah, faccio molta fatica a leggerli.

    Fosse uscito cinque anni fa, avrei speso parole entusiastiche. Ora dico molto bello, d'altronde Martin è garanzia di qualità, però, per dirti, l'ho già dimenticato...

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  3. Ehi, pistola, senza di me neanche lo conoscevi il vecchio Martin... :-)
    Comunque questo mi manca. Rimedierò.
    Thanx

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  4. Sull'opportunità di pubblicare ora dei "vecchi" romanzi sui vampiri ti do ragione.
    Se il valore non è più che assoluto, il rischio è quello di buttarli in un marasma la cui qualità media è bassissima.
    Questa fine l'ha fatta "Gli ultimi vampiri" di Manfredi, non un brutto libro, ma davvero fuori tempo massimo.

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  5. @ Mister Echo: hai ragione, non ti ringrazierò mai abbastanza. PErò ora basta smancerie. :)

    @ McNab: esatto, Ultimi vampiri è l'esempio perfetto. Sono libri molto buoni, scritti con cura e professionalità, ma avevano un senso e un valore che ora, con la vampiromania, ahimè non hanno più.

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  6. Scusate, ma non sono d'accordo con la questione "fuori tempo massimo". Se un libro è bello e valido non perde nulla, anche a dispetto delle mode dilaganti, anzi secondo me acquista in valore. O almeno dovrebbe.
    Personalmente, dato che ignoro i vampiri luccicanti, questi qui, chiamiamoli pure "aristocratici" li trovo ancora più che apprezzabili.
    Che mi frega di come se li immagina la Meyer?
    In my opinion.

    Ciao! ;)

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  7. Secondo me quella che Gargoyle sta portando avanti, ripubblicando vecchia roba più o meno epocale ma sempre a suo modo importante sui vampiri, è un'operazione meritoria proprio in questo momento. Da una parte sfrutta l'onda della moda per dare una spinta alle sue pubblicazioni, dall'altra diffonde un patrimonio in grado non tanto di "controbilanciare" quanto di storicizzare la piega che l'archetipo ha preso nelle sue incarnazioni recenti di maggior successo.
    Questo, Il morso sul collo, perfino Varney (che incredibilmente contava fino ad ora, se non sbaglio, solo una piccolissima collezione di excerpta) e il meraviglioso Ultimi Vampiri, sono testimonianze essenziali del modo in cui la letteratura popolare ha trattato il suo mostro preferito. Questa tendenza al recupero è uno degli aspetti forti di un editore che, come dice Simone, tutti dobbiamo ringraziare. Gargoyle pubblica ottime cose anche quando guarda al presente, ma a volte credo che stia lasciando il segno soprattutto per come valorizza il passato.

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  8. Sicuramente la Gargoyle, nell'alternare nuovi prodotti a quelli più vecchi, sta lasciando il segno nel panorama horror italiano, perché in entrambi i casi si tratta di opere mediamente buone se non addirittura ottime.

    Il discorso che fai sul sottogenere vampirico è giusto, e sarebbe sbagliato dire che la Gargoyle pubblica storie di succhiasangue solo perché ora vanno di moda, d'altronde ha sempre pubblicato cose di vampiri e la sua prima uscita era Hanno sete di McCammon.

    Purtroppo non riesco a spendere le stesse entusiastiche parole, visto che lo citi, su Ultimi vampiri, ché poi, al di là di uno stile con cui non mi trovo troppo in sintonia, il discorso più o meno è lo stesso fatto per Il battello del delirio (e qui mi riaggancio a Elgraeco).

    Penso che il fattore tempo, su alcuni prodotti, influisca pesantemente, e in alcuni casi quello che una volta si mostrava come eccellente, potrebbe, visto/letto con gli occhi di oggi, perdere quella freschezza, quello smalto, quella carica innovativa.

    Trovo sia Il battello del delirio che, citandolo ancora, Ultimi vampiri, volumi con un'importanza storica enorme, ma che attualmente, su un argomento su cui è stato detto tutto e che ormai è snaturato e fuori controllo, non hanno più quella potenza espressiva di allora.

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