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Luna de miel (Honeymoon) (2015)

By Simone Corà | venerdì 20 gennaio 2017 | 00:01

Il cinema estremo made in Mexico. Quello che fa male davvero.                                                                                                   

Impossibile parlare di Luna de miel senza tirare fuori un argomento scomodo come Atroz. Entrambi messicani, entrambi dello scorso anno, entrambi focalizzati su un’espressione della violenza brutale e senza limiti, ma con un’enorme, devastante differenza che mi porta, e mi porterà sempre, a preferire il primo rispetto alla vera e propria pornografia del secondo.
Quello di Atroz è un caso contro cui è inevitabile scontrarsi con una certa puntualità: capita spesso che un esordiente qualsiasi (anche se Lex Ortega proprio esordiente non è) si sollevi dalla massa annunciando di aver creato il film più violento e disturbante ever, portandosi dietro un esercito di fan rammolliti dalla notizia (io per primo, eh). Una faccenda grossomodo identica era capitata con il pessimo A Serbian Film qualche anno fa, e prima ancora era successa con il ridicolo The Human Centipede e l’insignificante Grotesque, e ora molta critica e pubblico è di nuovo qui ad applaudire uno stupido ammasso di sequenze mal dirette, mal recitate e messe insieme alla meno peggio, dove i tormenti e le violenze fatte subire alle vittime di turno peccano sempre dell’unico fattore fondamentale: la credibilità.
Atroz è finto, sciocco e francamente noioso,  e magari Ortega dovrebbe riguardarsi due o trecento volte The Poughkeepsie Tapes prima di mettersi di nuovo gioco.

Molti registi cadono spesso nel tranello, e pensano che basti sommare scene truculente e strillarle ai quattro venti per creare dolore al voyeur di turno, ma per raggiungere il vero malessere disturbante, il più martellante e insopportabile possibile, serve ben altro. Sono necessari personaggi con cui immedesimarsi o orchi da odiare, ma sono indispensabili anche un contesto e una motivazione (anche la mancanza di motivazioni è una motivazione, se viene mostrata con un minimo di rigore) per rendere la violenza possibile, e non solo fine a se stessa. 
Luna de miel non sarà questo film epocale, non ne ha le capacità né le intenzioni, di certo non rimarrà impresso per le sue improvvise esplosioni gore o per le bastonate ustionanti che irrompono inaspettate (che comunque ci sono), ma Marco Tarditi Ortega alla sceneggiatura e Diego Cohen in cabina di regia fanno bene ciò che promettono e sono quantomeno umili nel non innalzarsi a nuovi baluardi dell’horror estremo o altre cagate simili.

La storia è molto basilare, ma è bene accennarla per capire quanto anche un solo incipit banalissimo possa comunque essere funzionale, se ben rappresentato e introdotto come in Luna de miel. Il solitario e timido Jorge è infatuato della bella Isabel, un giorno la rapisce, la mette in catene nel seminterrato di casa sua e la costringe a sposarlo in una cerimonia improvvisata. Ogni volta che Isabel si comporta male con il suo nuovo marito, Jorge la sottopone a torture bestiali.
Ci sono due personaggi e sfoggiano entrambi quel tipo di caratterizzazione che mette subito le cose in chiaro: ambiguo e terrificante lui, con quello sguardo tra l’ebete e il febbricitante che congela in un secondo, affascinante ma simpatica ed estremamente alla mano lei, una ragazza semplice che stringe il cuore vedere in una simile situazione.
Non è molto, ma abbiamo comunque tutte le informazioni sufficienti per concretizzare questa storia e renderne comprensibili la devastazione visiva e la crudeltà infernale. È quindi un poco prezioso, che sancisce una bella divisione dalla mera pornoviolenza, legittimando e sottolineando i veri intenti del film: fare male.


Ci sono almeno tre sequenze di ultracattiveria, e di queste solo una appare un tantino esagerata e sensibile più al virtuosismo gore di certe invenzioni alla Saw (ma per fortuna senza strani macchinari e trappole complicatissime). Tra gargarismi con il disinfettante e ossa disarticolate si soffre già abbastanza, anche se chiaramente il culmine del dolore è concentrato nella lunghissima scena delle dita. Provare per credere.
Si potrebbe imputare agli autori di non creare un legame abbastanza solido tra la personalità dell’aguzzino e la natura delle torture, viene infatti a mancare un filo conduttore che definisca passioni malsane e scopi vendicativi: sembra invece che a Jorge piaccia semplicemente variare il menù, trasformandosi all’improvviso in una bestia di una precisione siderale, un androide cortocircuitato che risponde solo a comandi sconvolgenti, sbandando tra cose di mad surgery ad altre di follia squinternata e schizoide.         
È chiaro che il suo funzionamento è strettamente punitivo: se la ragazza parla le lava la bocca, se reagisce le spacca le dita, e via così, ma può sembrare che vengano sfavorite le sue devianze per la mera ricerca dello shock. Per fortuna lei è una davvero tosta, non perde mai la propria direzione nonostante sia in svantaggio sin dai primi istanti, resiste e reagisce ogni qualvolta ne ha la possibilità, non demorde e controbatte pur sapendo che ciò che la accadrà dopo sarà ancora peggio.
È un’eroina coi controcazzi, un personaggio non straordinario nell’ordinarietà di partenza ma di sicuro una delle migliori survivor girl viste negli ultimi tempi.

96 minuti sono di sicuro troppi per quello che succede, con 15 minuti di meno Cohen avrebbe reso tutto molto più rapido e incisivo, ma nel complesso i momenti di stanca sono utili a diluire le fucilate repentine che strappano budella e capelli. 
Difficile lamentarsi quando il prodotto è già limitato di suo, è un po’ come infierire su qualcuno che non può difendersi, ma se siete in cerca di un po’ di estremo Midian consiglia di lasciare perdere le pretese sociali di Lex Ortega e di visitare questo lato del Messico.     

2 commenti:

  1. Questo film mi incuriosisce da un po', ma non trovo subs eng da nessuna parte :-(
    Blissard

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