Downhill (2016)

By Simone Corà | giovedì 26 gennaio 2017 | 00:01

Un delirio di biciclette, culti satanici, streghe nude e organismi lovecraftiani                                                                

Che strana creatura è Patricio Valladares. Cileno, classe ’82 come me, ha già un curriculum lungo un chilometro e qualcosa come quattro film prodotti solo nel 2016. Insomma, è uno che si dà da fare.
Si è fatto un po’ il nome nel 2012 con il putrido En las afueras de la ciudad (per gli amici Hidden in the Woods), che impastava redneck sudamericani, incesti, mutanti, cannibali e poliziotti cattivi che morivano male, una cosa abbastanza brutta e grossolana ma così assurdamente sincera e schietta da non poterla non apprezzare in qualche modo, tanto che Michael Biehn (uno che di cose putride ne capisce parecchio) ha fortemente voluto diventarne protagonista nel remake girato dallo stesso Valladares qualche anno dopo.
Il suo è un cinema rozzo e marcissimo, è gratuito, eccessivo, figlio delle tematiche più sporche e bastarde possibili, messo in piedi con pochi mezzi e in pochissimi giorni (stando a imdb gliene bastano quindici, evidentemente non perde tempo coi dettagli).
È un autore un po’ difficile da inquadrare, è abbastanza ostico e ben lontano da un qualche tipo di qualità che possa essere riconosciuta come tale, sbrodola nei dialoghi, gli piace inquadrare troppo i culi e non ha un grande senso del ritmo, ma ha un bel gusto malsano e sgradevole e sa trovare gli spunti giusti per far girare comunque decentemente i suoi film.

Per esempio, in un progetto abbastanza strampalato come questo Downhill riesce a far convivere gare di mountain bike, culti satanici, vermoni infetti, malattie piene di bubboni che scoppiano, streghe, brutta gente permalosa del posto, body horror e Lovecraft a manetta, e lo fa con una sfacciataggine (il coraggio è ben altra cosa, ma ci si accontenta comunque) che nessun altro si sognerebbe di sfoggiare in maniera così aperta.
È un pastone spudorato, a cui servirebbe una buona mano esperta e una discreta dose di follia gelida per rimanere in piedi fino in fondo, e anche se a Valladares mancano entrambe queste qualità possiede comunque quell’azzardo ignorante ma autentico con cui tira su una storia di fortuna e così esageratamente sgangherata che, nel finale, ingravida con molte altre cose deliranti che diventa doveroso fargli un minimo di applauso.
Allora, siamo in Cile, e abbiamo due ragazzi e una ragazza grandi appassionati di donwhill, quello spin off del mountain biking dove si sfreccia solo in discesa. Ai tre è sempre andata bene, ma stavolta ci scappa il morto, Joe entra in crisi e se ne torna in America giurando che non correrà mai più. Anni dopo la fidanzata Stephanie e l’amico Pablo riescono a incastralo e lo convincono a tornare in sella, ma in Cile gli toccherà fare ben altro, e cioè quel groviglio scassatissimo di cui sopra.

Il film non è ancora stato distribuito ma imdb gli assegna già un catacombale 3.9, ed è inevitabile, questa è la sorta numerica per un film di questa taglia, non si scappa dal giudizio di un pubblico per quanto possibile razionale (okay, possiamo aprire svariate parentesi su quest’argomento, ma passatemi il concetto). Perché è proprio la razionalità ciò che manca a questo regista sgarbatamente ribelle, che sembra avere un interesse morboso verso l’horror (in una sua concezione più brutale possibile) e una fantasia curiosamente malata ma a cui manca semplicemente la maturità per poterle contenere.
Nel momento in cui una mano più esperta riuscirà a guidarlo e a gestirne le peripezie sanguinolente, forse assisteremo alla nascita di un autore che potrà fare grandi cose, ma per il momento dobbiamo accontentarci degli spunti che rendono perlomeno guardabile (e tutto sommato anche con un certo divertimento da guilty pleasure) il suo Downhill.

Li metto in fila per comodità: 
Uno. La curiosità viene per esempio sempre alimentata dalla sequela interminabile di sorprese;
Due. È un film corto e pieno di cose, per cui in ogni scena succede qualcosa e non ci si annoia mai.
Tre. C’è una bella mitologia fatta di organismi letali, cadaveri dagli intestini cannibali e trasformazioni corporee.
Quattro. Tra fughe, morti e lotte disperate, ha un meccanismo survivor sostanzialmente inarrestabile.


Per il resto è fondamentale scendere a grossi compromessi e accettare la libertà di Valladares per quello che è, prendendo per buone le tante, tante discutibili stupidaggini (il lato voyeuristico, per fortuna appena accennato; la poca consistenza dei personaggi e in particolare degli zotici attaccabrighe; i caproni malvagi abbastanza risibili) e sobbarcandosi scelte più o meno malaugurate (il video girato nella baita, l’effettistica poverissima, il montaggio così confuso da sembrare fatto a caso).
Perché sotto tutto questo strato di grezza ingenuità c’è una personalità che trasuda marciume settantiano da ogni inquadratura e una creatività un po’ squilibrata ma a suo modo efficace, che mi fa e mi farà sempre preferire un prodotto condannabile e pur di cattivo gusto come questo rispetto all’ennesimo The Conjuring sfornato dai grandi studios.    
Donwhill è quindi un film malaticcio, sghembo e zoppo ma con una sua precisa direzione, e questo non glielo può togliere nessuno. È una storia che, nelle mani di un Brian Keene o di un Edward Lee, avrebbe fatto scorrere molto sangue in un paperback da sette dollari, e forse è questo l’unico vero accorgimento necessario prima di premere play. 

E prima di un altro film, magari fissiamo un appuntamento fra qualche anno, quando Valladares avrà davvero imparato qualcosa e saprà incastrare a dovere le buone idee.

8 commenti:

  1. Bellissima recensione, mi hai incuriosito molto.
    Blissard

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    1. Grazie, spero tu riesca a trovare la chiave per decifrarlo e goderti il suo spirito senza freni. :)

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    2. Sono fiducioso, se ti ricordi sono uno dei pochi a cui è piaciuto, e anche abbastanza, Harvest lake :-D

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    3. Ah, giusto, eri tu. Allora mi sa che hai buone chance :)

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  2. L'ho visto e confermo i complimenti per la tua recensione, veramente azzeccatissima.
    Come lasci intuire anche tu, trattasi di filmaccio, con attori sotto il limite della decenza, dialoghi risibili, situazioni spesso eccessivamente forzate (credo che sia l'unico film che ho visto nel quale i personaggi, di fronte ad un individuo sconosciuto palesemente infetto, non solo cercano in tutti i modi di stargli attaccato, ma si pongono pure nella traiettoria delle secresioni che emette) e qualche scena è un po' confusa, ma mi sono divertito molto a guardarlo.

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    1. Non credo siamo a livelli del tipo "così brutto da essere bello", diciamo che ha un approccio molto rozzo e indisciplinato che in qualche modo mi piace.
      Per il resto, eh, quello che dici è tutto giusto e l'esempio della scena della macchina con l'infetto dentro è palese della sgangheratezza del film. :-)

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  3. Mi avevi convinto alle streghe nude. Il tuo blog è sempre una fucina di ottimi consigli e film quantomeno curiosi da recuperare :)

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