Che strana creatura è Patricio Valladares. Cileno,
classe ’82 come me, ha già un curriculum lungo un chilometro e qualcosa come
quattro film prodotti solo nel 2016. Insomma, è uno che si dà da fare.
Si è fatto un po’ il nome nel 2012 con il
putrido En las afueras de la ciudad (per gli amici Hidden in the Woods), che
impastava redneck sudamericani, incesti, mutanti, cannibali e poliziotti
cattivi che morivano male, una cosa abbastanza brutta e grossolana ma così assurdamente
sincera e schietta da non poterla non apprezzare in qualche modo, tanto che
Michael Biehn (uno che di cose putride ne capisce parecchio) ha fortemente
voluto diventarne protagonista nel remake girato dallo stesso Valladares
qualche anno dopo.
Il suo è un cinema rozzo e marcissimo, è
gratuito, eccessivo, figlio delle tematiche più sporche e bastarde possibili, messo
in piedi con pochi mezzi e in pochissimi giorni (stando a imdb gliene bastano
quindici, evidentemente non perde tempo coi dettagli).
È un autore un po’ difficile da inquadrare, è
abbastanza ostico e ben lontano da un qualche tipo di qualità che possa essere
riconosciuta come tale, sbrodola nei dialoghi, gli piace inquadrare troppo i
culi e non ha un grande senso del ritmo, ma ha un bel gusto malsano e
sgradevole e sa trovare gli spunti giusti per far girare comunque decentemente
i suoi film.
Per esempio, in un progetto abbastanza
strampalato come questo Downhill
riesce a far convivere gare di mountain bike, culti satanici, vermoni infetti,
malattie piene di bubboni che scoppiano, streghe, brutta gente permalosa del
posto, body horror e Lovecraft a manetta, e lo fa con una sfacciataggine (il
coraggio è ben altra cosa, ma ci si accontenta comunque) che nessun altro si
sognerebbe di sfoggiare in maniera così aperta.
È un pastone spudorato, a cui servirebbe una
buona mano esperta e una discreta dose di follia gelida per rimanere in piedi
fino in fondo, e anche se a Valladares mancano entrambe queste qualità possiede
comunque quell’azzardo ignorante ma autentico con cui tira su una storia di
fortuna e così esageratamente sgangherata che, nel finale, ingravida con molte
altre cose deliranti che diventa doveroso fargli un minimo di applauso.
Allora, siamo in Cile, e abbiamo due ragazzi e
una ragazza grandi appassionati di donwhill, quello spin off del mountain
biking dove si sfreccia solo in discesa. Ai tre è sempre andata bene, ma
stavolta ci scappa il morto, Joe entra in crisi e se ne torna in America
giurando che non correrà mai più. Anni dopo la fidanzata Stephanie e l’amico Pablo
riescono a incastralo e lo convincono a tornare in sella, ma in Cile gli
toccherà fare ben altro, e cioè quel groviglio scassatissimo di cui sopra.
Il film non è ancora stato distribuito ma imdb gli
assegna già un catacombale 3.9, ed è inevitabile, questa è la sorta numerica
per un film di questa taglia, non si scappa dal giudizio di un pubblico per
quanto possibile razionale (okay, possiamo aprire svariate parentesi su quest’argomento,
ma passatemi il concetto). Perché è proprio la razionalità ciò che manca a questo
regista sgarbatamente ribelle, che sembra avere un interesse morboso verso l’horror
(in una sua concezione più brutale possibile) e una fantasia curiosamente
malata ma a cui manca semplicemente la maturità per poterle contenere.
Nel momento in cui una mano più esperta riuscirà
a guidarlo e a gestirne le peripezie sanguinolente, forse assisteremo alla
nascita di un autore che potrà fare grandi cose, ma per il momento dobbiamo
accontentarci degli spunti che rendono perlomeno guardabile (e tutto sommato
anche con un certo divertimento da guilty pleasure) il suo Downhill.
Li metto in fila per comodità:
Uno. La curiosità viene per esempio sempre alimentata
dalla sequela interminabile di sorprese;
Due. È un film corto e pieno di cose, per cui in ogni
scena succede qualcosa e non ci si annoia mai.
Tre. C’è una bella mitologia fatta di organismi
letali, cadaveri dagli intestini cannibali e trasformazioni corporee.
Quattro. Tra fughe, morti e lotte disperate, ha un
meccanismo survivor sostanzialmente inarrestabile.
Per il resto è fondamentale scendere a grossi
compromessi e accettare la libertà di Valladares per quello che è, prendendo
per buone le tante, tante discutibili stupidaggini (il lato voyeuristico, per
fortuna appena accennato; la poca consistenza dei personaggi e in particolare
degli zotici attaccabrighe; i caproni malvagi abbastanza risibili) e sobbarcandosi
scelte più o meno malaugurate (il video girato nella baita, l’effettistica
poverissima, il montaggio così confuso da sembrare fatto a caso).
Perché sotto tutto questo strato di grezza ingenuità
c’è una personalità che trasuda marciume settantiano da ogni inquadratura e una
creatività un po’ squilibrata ma a suo modo efficace, che mi fa e mi farà
sempre preferire un prodotto condannabile e pur di cattivo gusto come questo
rispetto all’ennesimo The Conjuring sfornato dai grandi studios.
Donwhill è quindi un film malaticcio, sghembo e zoppo ma
con una sua precisa direzione, e questo non glielo può togliere nessuno. È una
storia che, nelle mani di un Brian Keene o di un Edward Lee, avrebbe fatto
scorrere molto sangue in un paperback da sette dollari, e forse è questo l’unico
vero accorgimento necessario prima di premere play.
E prima di un altro film, magari fissiamo un
appuntamento fra qualche anno, quando Valladares avrà davvero imparato qualcosa
e saprà incastrare a dovere le buone idee.
Bellissima recensione, mi hai incuriosito molto.
RispondiEliminaBlissard
Grazie, spero tu riesca a trovare la chiave per decifrarlo e goderti il suo spirito senza freni. :)
EliminaSono fiducioso, se ti ricordi sono uno dei pochi a cui è piaciuto, e anche abbastanza, Harvest lake :-D
EliminaAh, giusto, eri tu. Allora mi sa che hai buone chance :)
EliminaL'ho visto e confermo i complimenti per la tua recensione, veramente azzeccatissima.
RispondiEliminaCome lasci intuire anche tu, trattasi di filmaccio, con attori sotto il limite della decenza, dialoghi risibili, situazioni spesso eccessivamente forzate (credo che sia l'unico film che ho visto nel quale i personaggi, di fronte ad un individuo sconosciuto palesemente infetto, non solo cercano in tutti i modi di stargli attaccato, ma si pongono pure nella traiettoria delle secresioni che emette) e qualche scena è un po' confusa, ma mi sono divertito molto a guardarlo.
Non credo siamo a livelli del tipo "così brutto da essere bello", diciamo che ha un approccio molto rozzo e indisciplinato che in qualche modo mi piace.
EliminaPer il resto, eh, quello che dici è tutto giusto e l'esempio della scena della macchina con l'infetto dentro è palese della sgangheratezza del film. :-)
Mi avevi convinto alle streghe nude. Il tuo blog è sempre una fucina di ottimi consigli e film quantomeno curiosi da recuperare :)
RispondiEliminaDevo pur fare un po' di strategia pubblicitaria :-p
Elimina