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Pandemic (2016)

By Simone Corà | lunedì 6 giugno 2016 | 00:01

Press start to kill zombies                                                                                               

Pandemic è un po’ quello di cui ci si deve accontentare negli intervalli di noia durante i setacci: non propriamente brutto, di certo non bello, originalità e personalità non pervenute, ma è un qualcosa che tutto sommato funziona seguendo più o meno gli obiettivi di un mero intrattenimento horror che, spero, fossero quelli prefissati da John Suits e Dustin T. Benson.

Allora, Pandemic è un film di zombie, e in quest’unica etichetta di solito si spenge ogni interesse. Si potrebbe aprire un’enorme parentesi sui motivi che spingono molti autori a raccontare ancora storie di morti viventi, magari ne apriamo mezza, giusto per gradire.
Perché ancora una volta siamo davanti a immagini di soldati cazzuti post apocalisse, masse di morti corridori, lunghi pasti a base di intestini sfilacciati, piagnistei sui cari defunti, and on, and on, and on, il calderone di banalità e cliché è riempito fino all’orlo. Fare un film di zombie è probabilmente facile, lineare, molto veloce, la storia si scrive da sé e non servono grosse abilità narrative/visive per farla risaltare: è quindi un terreno ideale per chi ha poca esperienza, ancora meno soldi ma quel proverbiale entusiasmo che fa sgommare.
Non serve essere il Robert Kirkman di una volta, né i ragazzi della Telltale, o Dominic Mitchell, molti registi/sceneggiatori non hanno alcun interesse a lasciare qualche tipo di graffio (e spero, spero con tutto il cuore che possiedano quell’umiltà per rendersi conto della situazione), rivoluzionare è un termine sconosciuto, approfondire è un qualcosa di noioso, questa gente è giovane, nata sugli schermi ultrapompati dei blockbuster più insipidi, non hanno tempo per creare una storia che possa essere ascoltata, la devono fare in fretta e furia secondo il verbo del cinemaspettacolo per preparare la strada al film fotocopia che la seguirà subito dopo.
È cinema fatto per il proprio piacere, per dire “yeah, l’ho fatto anch’io”, è un po’ quel passo successivo, evidentemente molto più alla portata di tutti nel circuito cinematografico americano, allo scrivere un racconto perché ho il pc, la tastiera e mi piace l’horror. Difficile, difficilissimo trovare altre scuse.


E poi imdb dice che John Suits sarà sì giovinotto (un anno meno di me), ma ha già un suo (micro)perché nel cinema di genere, quindi il motivo per girare Pandemic (che è scritto, questo sì, da un totale sconosciuto alla sua primissima prova – i conti tornano sempre) è perché non fa mai male essere un po’ furbi e provare la sfangata.
Non ho ancora visto Hardcore Henry ma, sebbene non sia il primo caso di film in POV interna (c’è almeno un Maniac del 2012 con cui fare i conti, per non parlare di Hotel Inferno dei gore obssessed della Necrostorm), è già diventato piccolo cult da copiare e ricopiare: ecco spiegato perché, nel 2016, il caro vecchio hard disk può ancora sparare un film di zombie e a me addirittura vien voglia di scriverne.

In realtà Pandemic sfrutta la visuale interna con una minima variante, con anche un suo interesse: non un solo POV, ma quello di chiunque agisca all’interno della storia. Pertanto, sulla carta viene evitata qualsiasi inquadratura esterna (in realtà non è vero, non sono poche le imprecisioni e i momenti “impossibili”) per favorire un through my eyes che spazia forsennato da un personaggio all’altro.
Cosa crea in questa maniera il buon Suits? Da una parte c’è un ritmo spericolato e senza freni che annienta il respiro, si viene infatti totalmente sballottati da una situazione feroce all’altra. Dall’altra il rischio di una confusione è da mettere bene in conto a causa di un montaggio che, sincerità comanda, schianta un po’ troppo da una parte all’altra, impedendo in più di un’occasione di chi capire chi siano gli occhi attraverso cui stiamo guardando.
Ma non è un male troppo grosso, soprattutto in virtù della costruzione videoludica che ovviamente non si limita alla mera esposizione fatta di fucilate ravvicinate, attacchi rapidissimi e corpi nemici schiantati all’indietro dalla potenza disumana dei colpi. Dal briefing inziale al trasporto sull’autobus alla zona infetta, dai primi scontri all’ingresso nella scuola dove portare a termine l’extraction di un manipolo di sopravvissuti, tutto segue lo schema tipico degli fps, garantendo una buona immedesimazione fatta di training, primi movimenti nell’ambiente, colpi sparati per testare i comandi, e quindi l’entrata in azione.

Determinato il setting, quello che più funziona è proprio la natura semplice e precisa della quest: entrare in un edificio, fare il macello e salvare quelli ancora vivi. Gli zombie, il virus che li ha infettati e in generale la situazione mondiale è qualcosa che non interessa né a noi né a Suits, che è bravo a spargere due-tre informazioni inutili giusto per definire un background e limitare tutto il resto all’azione più sporca e violenta.
E quando anche la brutalità si consuma (sangue in CG, impreciso e non troppo abbondante come serviva, peccato, la violenza è molta e gli scontri sono ben realizzati), ci si accorge che, dietro alla più facile mitragliata di fuck e proiettili, c’è anche un certo lavoro descrittivo che, a schiacciare stop dopo 10 minuti come è facile fare con questi film, si sarebbe perso.
Le motivazioni di Lauren, la coppia che crea con Denise e la convivenza forzata con Theon Greyjoy sono momenti davvero inaspettati in un film di questo piccolo calibro, e fanno respirare un’aria buona che cancella le varie cagate in cui ci si scontra qua e là.


Insomma, è un film che si guarda e si dimentica, per di più non presenta alcun tipo di sfida visivo/narrativa visto l’argomento trattato, ma tra i tanti usa & getta ha quel minuscolo quid in più con cui goderselo senza troppi pensieri. 

6 commenti:

  1. Sto aspettando che qualche misericordioso metta on line i sub in ita, nell'attesa hype decisamente alto nonostante le recensioni lette in giro si assestino su un blando "6 1/2" però se c'è molta azione e anche della bella violenza io sto a posto così, mai stato un grande fautore dell'originalità a tutti i costi perché spesso porta ad aborti autoriali, imho.

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    1. No, be', non aspettarti troppo ché poi rimane con l'amaro in bocca. Pensa solo che è un film di zombie che si può ancora vedere nonostante sia uguale a mille altri, perché ha l'edificio-labirinto tipo The Raid e l'effetto videoludico e l'iper-velocità e il super-ritmo, ma rimane pur sempre un film di zombie con tutte le pecche che ormai questa tipologia si porta dietro. :)

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    2. Ecco già il fatto del palazzo/labirinto come in The raid mi fa sbavare duro, ti farò sapere.
      A proposito di palazzi, hai già visto high rise? Ne ho letto bene

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    3. E' sempre una grande ambientazione, sì.

      High Rise visto e piaciuto per nulla, per me film davvero terribile, spurga snob e intellettualismo da ogni inquadratura e dialogo, dopo 30 minuti diventa insopportabile.

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    4. Cazzo avevi ragione, una roba che boh non si capisce. Un plot potenzialmente bellissimo sprecato in deliri intellettualoidi... Visto tutto a fatica.

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    5. Sì, visto con molta fatica anch'io, più che altro perché tutta la seconda parte è persa in un'autoreferenzialità estremamente irritante

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