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Into the Badlands - stagione uno (2015)

By Simone Corà | mercoledì 23 dicembre 2015 | 00:01

Banshee: ora hai un rivale nella guerra alle migliori mazzate televisive                                          

Dopo che Banshee ha sdoganato le botte in televisione, Alfred Gough e MilesMillar si sono accorti che si poteva osare qualcos’altro e hanno detto, per la gioia di tutti i piccini: adesso facciamo le arti marziali televisive, chi ci sta?
Forse pensando alla bolla d’acqua creata nel 1999 con Martial Law e il grande Sammo Hung, e appuntandosi qualcosina circa le tarantinate di RZA e del suo The Man with the Iron Fists, presentano alla AMC un progetto abbastanza delirante e fuori di testa con Daniel Wu come protagonista e Huan-Chiu Ku a coreografarne le scene di lotta, una cosa in pieno spirito Hong Kong sviluppato però da una mente creativa occidentale che di Hong Kong può cogliere solo frammenti di una sfera culturale che ovviamente non le appartiene.
Se in patria una storia del genere potrebbe essere motivata da una fiera tridimensionalità nazionale, e nessuno avrebbe niente da ridire, in America è impossibile non marchiare i suoi aspetti così tamarri per essere, appunto, tamarri, e diventa in qualche modo necessario catalogare Into the Badlands in un prodotto di, boh, chiamiamola seconda categoria, giustificabile solo per un determinato pubblico a cui piacciono i pugni, i calci volanti, le botte fortissime e una serie di considerazioni concettuali che, in altri contesti e ambiti, probabilmente sarebbe difficile perdonare.
È quindi facilissimo promettere meraviglie quando invece il DNA geografico non è tarato per giocare allo stesso gioco con gli stessi mezzi, si rischia una porcata così grossa che nemmeno la leggerezza necessaria per deglutirla potrebbe giustificare.

E a scontrarsi con la prima tragica puntata è naturale pensare che sia accaduto proprio il peggio del peggio, e ci si chiede cosa diavolo abbia permesso la AMC e come sia possibile che una rete via cavo abbia dato soldi e spazio a una simile pazzia, a un’idea così sgangherata e squilibrata, ma poi mi torna sempre in mente che è lei a produrre e spingere The Walking Dead e quindi, okay, tutto è permesso.
Primo episodio che parte con una mitragliata di ginocchiate nello stomaco e calci in faccia, la battaglia nel bosco è clamorosa per brutalità e velocità, sangue e budella scorrono copiosi tra braccia disarticolate e fratture multiple e dolorissisime, ma purtroppo è l’unica cosa che rimane di una serie di personaggi sbiaditi, dialoghi terribili e vicende senza alcuna direzione.
Poche idee e mal distribuite, lo scenario è fumoso e privo di struttura, i tre protagonisti sono circondati da attori cane che ne schiacciano ogni possibile carisma e tutto si accartoccia su didascalie sbrigative per spiegare elementi già ovvi al primo sguardo.
È la prova del 9, gli americani non possono fare le cose di botte orientali manco con un Daniel Wu che da sempre si barcamena bene tra puro idolo in patria e parti più che decorose in occidente, è la fine, limitiamoci ad aspettare il prossimo Gareth Evans e basta.

E invece arriva la seconda puntata, che non mescola le carta né rivoluziona la serie con la marcia profonda e possente con cui AMC da sempre colora i suoi prodotti, ma che riesce a riequilibrare e rinforzare tutti i difetti del pilota dandogli quella dignità clamorosamente assente.
La vicenda viene compattata, personaggi e attori trovano un senso e il brodo ammuffito del primo episodio viene incanalato di forza in una storia complessa, rocciosa e potente, che non cerca di andare controcorrente ai semi sopra le righe gettati nel pilota ma che viene proposta con serietà e rigore. In Into the Badlands non si scherza, battutine e ironia sono vietate pena decapitazione con calcio volante, si deve essere composti e inflessibili nonostante il taglio della trama sia chiaramente esagerato e inverosimile, poco inquadrato in un futuro vagamente post apocalittico dove otto baroni si fronteggiano a spadate e pistolettate per il controllo dei territori e del commercio di droga.
Qui si muove Sunny, cavaliere al soldo dello spietato barone Quinn e suo braccio destro, uomo giusto e di grande esperienza ma sempre più infastidito all’arroganza e alle manie di potere del barone per approvarne del tutto le decisioni. Eroe classico di poche parole e misurata severità, è il perno di una storia parzialmente corale dove si distinguono per un carisma disumano i due principali rivali, il folle Quinn e la feroce Vedova, a capo di una squadra di ninja in gonnella.


Gli intenti narrativi sono anche ambiziosi, ci si perde in una moltitudine di personaggi sempre meglio disegnati ed espressi, la storia si espande progressivamente su uno strato western con tocchi fantasy e sci-fi mai troppo coraggiosi ma funzionali e ben incastonati – non siamo troppo distante da una serie Syfy di media qualità, complice anche il budget risicato, con i suoi tre ambienti in croce e un bosco dove inscenare tutto il resto.
Belli infatti gli strani accenni futuristici, tutti legati a un passato dove si mescolano abbigliamenti ottocenteschi e automobili degli anni Trenta, ed efficaci i tratti fantasy, con una modalità di battaglia berserk a cui tutti danno la caccia meno che l’unico a possederla, un ragazzino di poche speranze che si trasforma in guerriero indistruttibile non appena viene ferito.
Ma ciò che più piace, pur nella semplicità di una storia volutamente limitata, è la libertà con cui vengono piazzati i colpi di scena, sempre forti, autentici e brutali, chiaramente pensati per la globalità della vicenda e non per ristabilire la mera attenzione serialità. La crescita è evidente, di episodio in episodio caratteri e incastri narrativi migliorano, sempre più minutaggio è riservato ai battibecchi verbali mentre cala, anche giustamente, lo spazio per le mazzate vere, guadagnandone entrambi. Gough e Millar non sono infatti gli ultimi arrivati, c’è molta esperienza d’azione in curriculum il mestiere nello sceneggiare, anche seriale visti i dieci anni di Smalville, è lampante.

Al resto pensa quello che è il cuore della serie, i combattimenti derivano dal wuxia pur privandosi della grazia e dell’eleganza musicale che lo contraddistingue, qui corde e salti acrobatici sono sfruttati per una semplice spettacolarizzazione, senza tuttavia negarsi vari scambi micidiali come la battaglia di spade tra Quinn e la Vedova o la final battle con dei proto monaci shaolin che si incastrano l’un l’altro modello super robot nagaiani.
Tutto è gonfiato per un piacere visivo sanguinario ed esagerato, sono mazzate che rilasciano energia quando l’accumulo di carisma di Quinn e la Vedova raggiunge livelli troppo alti e Sunny può mediare le cose solo a calci, in generale danno quella soddisfazione videoludica di quando ti prudono le dita dopo sessioni dialogiche troppo spesse.

Sono solo sei episodi, è una lunghezza giusta, permette di evitare qualsiasi lungaggine o riempitivo, ci sono tanti elementi in gioco e tutto trova corretta spiegazione, rimane una levigata superficialità che però non è dannosa ne irrita per mancanza di approfondimento perché non serve avere di più. 
Se non una seconda serie, della quale al momento non si sa nulla: AMC ha già rischiato grosso e potrebbe fare grossi disordini tra qualche mese quando rilascerà Preacher, in passato ha mostrato come non ci sia posto per le serie anticonvenzionali (Rubicon su tutte, anche se siamo su ben altri registri e livelli), spero ci sia il coraggio di scommettere ancora su un oggetto strano e sbilenco che alla televisione può fare solo bene.

6 commenti:

  1. Wow, ho già il pisellino tutto duro!
    Grande Simone, ottima segnalazione lo recupero ieri.
    Maaaaa una domanda, quanto sono wuxia i combattimenti? Perché se c'è proprio una roba che odio è la gente che "vola" durante i combattimenti

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    1. Bravo, è l'atteggiamento giusto!
      No, i combattimenti non sono wuxia, c'è qualche saltello esagerato che può ricordarli alla lontana ma si limita tutto a questo, per il resto sono ultraviolenti e molto fisici :)

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    2. Fuck yeah! Ottimo mi hai rincuorato dicendomi che il wuxia non è così presente.

      Ps: Simone ma di dove sei? Più ti leggo e più sono dell'idea che dovremmo beccarci insieme a Ford e berci una bella birra assieme!
      ;)

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    3. Vicenza.
      E per il birrozzo, perché no! :-D

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  2. Azz, siamo lontani -anche se neanche troppo- noi siamo di Milano. Dai magari in questa primavera mi organizzo con Ford e ti veniamo a trovare!

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