The Swimmers (2014)

By Simone Corà | giovedì 28 maggio 2015 | 00:05

Una gran sorpresa thai, tra nuotate, omicidi e cari, vecchi fantasmi vendicativi                                      

Ho sempre inquadrato i thailandesi come gli eterni secondi del terrore, quelli che arrivano sempre dopo, un poco in affanno, magari stupendo con qualche slancio improvviso che ti strappa il miglior tifo della vita ma con il quale consumano tutte le risorse a disposizione. Non che pecchino di idee o spunti realizzativi, qualcosa nei vari Art of the Devil o nelle ultime opere di Banjong Pisanthanakun (scritto a memoria, giuro), per non parlare del Nymph di Ratanaruang, emerge con fortissima personalità, ma la truculenta, l’ironia o l’autorialità non sono le strade migliori, o meglio, non sono le più sincere per plasmare quel tipico horror psicologico che da millenni inseguono, zoppicando sotto la pressione di sceneggiature ancora troppo acerbe per superare i cugini giapponesi e certe parentesi di Corea e Hong Kong pur di agguantare quell’idea di orrore popolare e folkloristico che in fondo hanno sempre dimostrato di avere.
Per fortuna c’è chi riesce a crescere e a staccarsi da una certa mediocrità generale, l’esperienza in fondo nasce anche seminando errori, e Sokon Sukdapisit è un bell’esempio di come possa evolversi il cinema dell’orrore thai: sceneggiatore e regista di pura immondizia come Coming Soon, che pescava il peggio del j-horror sperando che nessuno se ne accorgesse, pare impossibile che per una penna così grossolana possa esistere un simile salto di qualità, quasi non fosse la stessa persona dietro a un’opera complessa e sfaccettata come The Swimmers. Certo, Sukdapisit alla creazione del thai-horror moderno in parte ha contribuito pure lui (Shutter ha dato il via a tutto e la sceneggiatura porta anche la sua firma), e magari un po’ d’orgoglio nel ripigliarsi qualche riconoscimento era anche comprensibile, ma tanta bontà non pensavo potesse arrivare in questo preciso momento di copiature e carenze di idee.

Un triangolo amoroso tra ragazzi è infatti materia estremamente delicata, nel gestire l’imprevedibilità adolescenziale c’è sempre il rischio di appiattire tutto, è un periodo che vive di spigoli e smussarli per applicarci comodamente una storia di fantasmi impedisce di sottolineare i momenti più difficili, ma Sukdapisit è così delicato e onesto nel costruire questi tre ragazzini che pare faticoso accettare la minor importanza della classica visività grezza e strambamente bombastica, qui sostituita da un crescendo narrativo sottile e d’acciaio.
La morte della ragazza, fidanzata di uno e sogno irraggiungibile dell’altro, è quella carta che regge il castello, toglietela e crolla tutto, e infatti dalla piscina che i tre frequentavano per l’allenamento quotidiano sgorgano paure, pensieri, sospetti e tradimenti che si infittiscono sino a una comprensibile quanto lucida follia: realtà e fantasia si sottraggono e vicenda, le ossessioni vengono a galla e soffocano il povero Perth, incapace di distinguere quello che gli sta attorno da quello che vomita la sua mente.


Dalla tradizione thai di fantasmi e apparizioni permane quella parte più debole e accessoria del film, Sukdapisit fa ricorso molto spesso a rapidissime scene spooky che, se da un lato si distinguono dalla massa per l’ottima costruzione, dall’altro soffrono di un accompagnamento sonoro purtroppo insopportabile: gli archi che strillano e le sottolineature solenni provengono da una visione dell’orrore vecchia di almeno dieci anni, ma se è giusto sperare che prima o poi Sukdapisit se ne accorga intanto ci si accontenta della cruenta visione complessiva, che non ruba niente all’occhio più goloso e regala ottimi momenti tra corpi impiccati, feti ripugnanti e cadaveri marci. Si potrebbe dire che, con uno scenario così fradicio d’acqua, è già molto non avere una palese Sadako con i capelli sugli occhi, ma in realtà l’architettura delle sequenze nasce da matite e righelli che conoscono le misure alla perfezione e The Swimmers ha un bel grappolo di situazioni non facili da scordare anche senza ricorrere a comodi spargimenti di sangue: la dieta a base di uova o l’assurda gravidanza sono trovate per me da incorniciare e che da sole elevano la già alta qualità del film.

E se, come vorrebbe la tradizione thai, i dialoghi lasciano a desiderare, assestandosi su scambi di parole mai così profondi come forse servirebbe, il taglio dei personaggi è talmente fino che certa stupidità adolescenziale emerge con forza giustificando clamorosamente qualche caduta più o meno involontaria. La facilità con cui Ice si lascia sedurre, il rapporto tra Perth e la nuova ragazza o le occhiate che Tan rifila all’amico sono tipici comportamenti giovani, sono leggerezza e superbia che spurgano come il male che lentamente viene evidenziato.
Ed è quell’arroganza sciocca e schiumosa a funzionare come benzina ideale per il tormento di Perth, il delirio che presto gli frigge il cervello lo scaraventa in un incubo che Sukdapisit dirige febbrile, dando quella confusione lenta e stanca tipica dei sogni eterni dovuti alla febbre. 
The Swimmers regge bene le due ore di durata con numerosi scossoni, alcuni un po’ imprecisi altri invece micidiali, colpiscono forte e lasciano un segno che spero rimanga bene in evidenza e funga da modello per il futuro horror del cinema thai.  

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