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We are still here (2015)

By Simone Corà | giovedì 25 giugno 2015 | 00:05

Tra ghost story e ultragore, con lo zampino di zio Fessenden                                                                  

Il mash up è spesso stata una soluzione essenzialmente only for fun, e la coda chilometrica di commedie horror (per lo più becere, si sa, ma è sempre meglio sottolinearlo) che si è addensata negli ultimi anni insegna (male) come nel mescolare i generi sia più facile ottenere qualcosa di decente mirando alla risata, o quanto meno pare consigliare come alla fatica sia preferibile quel tipo di semplicità dove si possono fare le cose alla buona e comunque accontentare parecchio pubblico. 
Sommare cose diverse o anche solo incastrarle a forza fino a qualche tempo fa era mestiere pioneristico, e guardare a certi prodotti, prevalentemente orientali, era bello stupirsi con quel sorriso ebete che a me veniva per cose tipo, non so, Machine Girl o Tokyo Gore Police: si trattava di una meraviglia genuina, qualcosa di molto elettrizzante seppur infantile, si lodavano le intenzioni perché nessuno prima aveva ancora osato, e non importava che poi il risultato finale fosse lacunoso o spesso anche improponibile, bastava che qualcuno lo facesse, no?

Okay, citando la Sushi Typhoon gioco comodo, e sebbene lo squadrone folle di Nishimura e Iguchi sia affondato presto perché, davvero, si ride un poco ma poi il Cinema non poteva permettere loro di continuare così senza inviare qualche sicario a fare ciò che era bene fare, non è servito da esempio all'occidente che, per una perdonabile Asylum (li conosciamo, sono fatti così, non fanno male a nessuno, se vuoi li eviti, ma in fondo anche no perché senza di loro niente Z Nation, eh) vomita news di squali nazisti con un ritardo inventivo che stupisce, questo sì, di come possano ancora attirare una qualche attenzione.
Evidentemente ci meritiamo tutta questa merda, una torre di simpaticoni che vorrebbero essere abili manipolatori ma che al massimo riescono a fare quello che a cinque anni facevo io con il pongo colorato: un orribile blocco multicolore da buttare via al più presto o da nascondere sotto il divano prima che mamma se ne accorga.


We are still here non ha niente di comico, non scherza e non prende in giro ma, nel mescolare generi con precise identità e qualche ragnatela addosso, tenta un approccio curioso e quantomeno spiazzante con il coraggio di chi sta seriamente sperimentando seguendo un'idea tutto sommato rigorosa. L'effetto è notevole, a tratti addirittura sorprendente, e anche se non si esce mai da certi limiti tipici dell'underground, la doccia è miracolosamente rinfrescante. 
Lo start è classico ma ci sono parole e addobbi che ridefiniscono con quel minimo di cura la base di partenza: una coppia che si trasferisce per superare un lutto, una haunted house con una lunga storia alle spalle e un paese non troppo disponibile alle regole del buon vicinato avrebbero scarsa longevità se non disponessero di una scrittura che ne colora e ridefinisce le caratteristiche, e infatti Ted Geoghegan pare subito puntare a un pubblico diverso, a quel tipo di horror maniac che, per esempio, Larry Fessenden coccola da tanti anni. 
Il guru newyorkese si limita a recitare, ma la sua presenza è garanzia di sicurezza e infonde quella maturità tipica delle suo produzioni: marito e moglie hanno un'età media attorno ai cinquant'anni o forse più e parlano per silenzi e sguardi tipici di una coppia che ha vissuto assieme una vita intera; la morte del figlio che li spinge a cambiare casa è vissuta e accettata con una tristezza che esprime tutta la loro credibile disperazione, più trattenuta dal punto di vista maschile e più fragile da un punto di vista femminile come è tradizione inquadrare in certe famiglie; il comportamento misterioso dei vicini è suggerito da un prolungato ma non eccessivo atteggiamento ostile e da una parentesi di mistero che per lungo tempo non viene spiegata; il nemico soprannaturale ha una funzione molto fisica e ben poco legata ai facili spaventi; e persino l'intervento dell'ormai immancabile medium trova risorse spirituali nelle convinzioni hippie della coppia di amici. 
La solidità strutturale conferisce quindi una certa validità nonostante una sorta di rapidità nel far interagire i personaggi (poche battute, molti fatti, si corre senza approfondire ed è un peccato), ci sono infatti abbastanza cemento e ben poche fratture per edificare una ghost story in apparenza piuttosto ordinaria (il passato sanguinario dei proprietari della casa e il loro ripresentarsi alla nuova famiglia), e probabilmente Geoghegan avrebbe potuto arrivare in fondo con discreti risultati anche senza spremere quello che alla fine è il miglior succo del film.

Ci sono cenni, qua e là, che potrebbero suggerire le esplosioni contenute nella seconda metà, ma l'aderenza gotica è così ben rispettata che non si presta più di tanta attenzione gustandosi quelle briciole di cattiveria: la brutalità delle morti è infatti molto, molto elevata per un film così rarefatto e sottile, e si rimane parecchio di sasso nello scontrarsi con braccia che bucano addomi e mutilazioni feroci dalle quali sgorgano fontane di sangue. Ma è solo un modo per preparare il terreno, o meglio, è la personalità di Geoghegan che fuoriesce grondante emoglobina come non potesse contenerla, e difatti la scintilla che dà il via al bombardamento anatomico è un headshot di quelli che non si dimenticano, una scarica di pallettoni dritta in fronte che distrugge ossa e cervella con una potenza che non esclude nulla alla vista e un'artigianalità che esalta il bel trucco di una volta.
Spero di non aver mai spoilerato in passato, non mi trovo a mio agio nel dover parlare di un film in un modo tale che la visione sia requisito indispensabile prima di leggere (e capirai che servono pure i requisiti per leggere Midian...), mi sembra sia scorretto. Preferisco suggerire e incuriosire e fermarmi in tempo, e credo di essere ancora in salvo anticipando le bordate di budella e corpi dilaniati che imbrattano questa gustosa parte finale: insomma, se leggessi di un film di case infestate carino sarei appena appena incuriosito ma se si accende la spia del gore andrei in fregola, e quindi scrivo basandomi su questo presupposto, anche perché la violenza insistita ed esplicita recupera quel sapore old style che già qualcuno sta adoperando di questi tempi (penso al bel vecchia scuola Almost Human) e che trovo estremamente funzionale nelle opere di chi cerca determinate atmosfere passate.


Corpi che si sciolgono, amputazioni furiose, pali conficcati negli occhi, di carne al fuoco ce n'è letteralmente tanta (e uno dei passatempi dell'evil one è proprio quello di cucinare alla griglia, comprende?), We are still here cambia faccia con una naturalezza che non è concessa a tutti gli autori giovani come Geoghegan (classe '79, prima vera regia ma svariate produzioni indie horror e collaborazioni a sceneggiature, insomma, un piccolo Fessenden in erba): la normalità di Anne e Paul rimane costante durante la carneficina, non ci sono tempi e spazi per trasformarsi in eroi e salvare la situazione, si può rimanere soltanto spettatori di quello che succede e per me è un grande, grande momento. 
Capita di rado che chi guida una storia non abbia un vero e proprio ruolo per scansare tutti gli altri e trainarli alla vittoria finale, ma qui non potrebbe succedere altrimenti, il sangue scorre e le budella vengono versate, l'orrore prevale e in una bella accezione lovecraftiana non rimane che subirlo impotenti: per Anne e Paul c'è solo la malinconia iniettata dalla morte del figlio e l'inferno da cui vengono travolti è giusto una pausa momentanea della sofferenza provata nel cercare di campare. 

I cerchi vanno chiusi e non è un caso che a inizio articolo abbia toccato certa idiozia recente, sebbene some good stuff si possa trovare ovunque è parecchio più appagante vedere come una fetta di newcomer preferisca scansare ciò che viene a galla nei dintorni e sia spinta dalla voglia di riappropriarsi di quello che l'horror è stato in passato. L'ultraviolenza di Geoghegan ha senso pur nella brutalità con cui sconquassa il film perché nasce in tempi lontani e non si avverte mai alcuna prepotenza nel suo srotolarsi di cadavere in cadavere: l'omaggio agli anni Ottanta è sincero ma mai autocompiaciuto, e dovrebbe essere scuola obbligatoria per tutti i novellini frugare nei vecchi scatoloni e ripescare polverose VHS sulle quali studiare e studiare ancora.

7 commenti:

  1. Bella, bella recensione che mi ha fatto sentire il profumo che esce dalle stanze della trattoria Geoghegan. Appena torno da Londra dove sono in vacanza me lo guardo con gran felicitâ :)

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    1. Oh, che bei ricordi lasciati a Londra, goditi la vacanza :)

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  2. bella rece per un film che merita assolutamente..

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    1. Vero, nel tuo spaccio si trovano sempre chicche imperdibili :)

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  3. Ti diro Simone: l'ho visto, ma non mi ha tanto convinto. Ineccepibile come film, tuttavia...scriverò a breve una recensione, spiegando i motivi delle mie perplessità. P.S. Londra è da visitare spesso :)

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  4. Visto e recensito. Ma questa volta non concordiamo.
    A presto!

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    1. Infatti, ho letto e risposto, è un'ottima riflessione, fa piacere che i pareri contrari nascano da queste motivazioni :)

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