Open Windows (2014)

By Simone Corà | martedì 16 dicembre 2014 | 00:05

Quel film in cui Sasha Grey doveva fare l’attrice ma poi si spoglia e…                                                       

Nacho Vigalondo non è ancora esploso come vorrebbe la tradizione, ma credo che nelle sue intenzioni ci sia comunque ancora della salda autostima che gli nega un tuffo tra le braccia sonanti di Hollywood pur essendo ormai pronto, secondo gli schemi del cinema di massa, per distruggere la propria carriera e magari pentirsi in un secondo momento ma anche no.
OpenWindows è il film grosso del regista spagnolo, di cui tutti amano quel marchingegno folle di Los Cronocrimenes (io no) mentre il ben più valido e solido Extraterrestrial pare essere stato ingiustamente tralasciato (io lo amo): dopo i corti per i progetti V/H/S Viral e The ABC’s of Death, che funzionano sempre per far girare il nome tra i più giovani, il momento è quello buono per un cast internazionale e recitazione in inglese, la miccia è accesa e la bomba è pronta.
In realtà il film è tutto spagnolo e non c’è nessuna grossa distribuzione dietro, pur coinvolgendo Elijah Wood (che tra le altre cose produce) e Sasha Grey (che, ehm, si dice fan del regista) Open Windows rimane ai blocchi di partenza per parecchi mesi e a quanto pare non colpisce più di tanto l’olfatto della gente che conta, potevano sfruttarne molti aspetti ma in fondo è meglio così, teniamoci un cinema più puro e vero finché si può.

Peccato che Open Windows, pur mostrando da un lato la progressione virtuosa di Vigalondo, dall’altro crolli sotto i colpi delle sue stesse armi, inciampando in un minutaggio esagerato e in una storia davvero poco, poco interessante quando l’energia per rialzarsi e proseguire poteva essere potente e inesauribile. Sì, è uno di quei film dove l’aspetto visivo è talmente prepotente da non lasciare spazio ad altro, e di tutti i modi in cui poteva essere venduto (come per esempio hanno fatto al S+F di Trieste portando l’ex pornostar a presentarlo) è stato eroicamente scelto solo quello forse più intimo, ovvero quello di una pellicola interamente ambientata sulla schermata di un PC, dove la camera si muove e zooma tra le finestre che di volta in volta mandano avanti l’intreccio.
L’idea è ancora abbastanza nuova per poter lavorarci un po’, ci sono già stati degli esperimenti recenti ma tutto sommato è un valido spunto di partenza, o quanto meno uno che ancora incuriosisce soprattutto conoscendo l’estro di Vigalondo. La potenza visiva è infatti squisitamente disorientante e, almeno nella prima metà, parecchio carismatica, in quanto sembra quasi di avere a che fare con un (falso, certo) piano sequenza lungo cento minuti che si piega a volontà videoludiche parecchio importanti ed efficaci (frecce lampeggianti a indicare la via corretta, una narrazione con voce fuori campo che spiega le meccaniche a mo’ di tutorial giocabile).
La regia è dinamica e labirintica, la camera si sposta continuamente giocando con le inquadrature, lo schermo si divide e si triplica senza sosta, la comparazione di più schermate mette in gioco un movimento che strizza gli occhi e obbliga a una concentrazione sofisticata nel seguire contemporaneamente più situazioni differenti. Ma alla fine purtroppo non c’è molto altro.


Questa storia di ordini e potere, hacker e attrici famose, si svela troppo presto nel suo mero pretesto per sostenere l’impalcatura visiva, e ciò non sarebbe per forza un male se ci fosse almeno una carica, una spinta che di volta in volta alimentasse il film supportando le infinite trovate visive con una narrazione altrettanto pimpante, e invece, dopo un bizzarro prologo e qualche bel colpo di assestamento, tutto si adagia su una piattezza tirata per troppi, troppi minuti: le sorprese non funzionano, i colpi di scena sono stanchi o così esagerati da richiedere una sospensione all’incredulità che non si meritano, e la scelta, voluta o incidentale, di Sasha Grey è cosa abbastanza tiepida dato che, pur con un personaggio ben scritto, non è mai in parte per garantire un qualche tipo di distacco tra finzione e realtà, l’effetto è quindi quello del ridicolo e rovina molta atmosfera. 
Rimane quindi l’inconfondibile voce di mr “Where is Jessica Hyde” e quello sguardo ingenuo di un Elijah Wood sempre controllato e timidamente perfetto, giusto specchio vouyeristico di molta generazione del 2.0.

4 commenti:

  1. uffa! ne avete tutti parlato male più o meno...mi spiace anche se uno sguardo glielo darò lo stesso...

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    1. Be', non è che sia un film così brutto, anzi, di tutti quei film che hanno un dislivello enorme tra super impatto visivo e zero storia questo funziona meglio perché la storia, a dirla tutta, è narrata anche bene e la regia la rende anche curiosa, ma alla fine il problema sta nella sua lunghezza, che stanca e porta presto ad annoiarsi. Peccato :)

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  2. Ho letto tutto il post.
    Non so che dire, parto prevenuto... ma penso che alla fine una visione ce la darò.

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    1. Perché no, la curiosità è sempre difficile da battere :)

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