Delirium Books, 2011
226 pagine, 16,95 € (kindle 7,17 €)
Novella tipicamente burtoniana, con un’atmosfera da impossibile fiaba del terrore, Fangboy racconta del povero Nathan, nato con dei minacciosi denti da squalo, e delle sue tragicomiche avventure pur di essere accettato dalla società. Ci troviamo in chiari contesti fiabeschi, Jeff Strand non pretende che il lettore identifichi realmente la storia, e difatti esagera di personaggio in personaggio, descrivendo personalità strampalate, comportamenti deliranti e situazioni mediamente assurde.
Ciò che più piace di questo romanzo breve è infatti l’intento comico, che fuoriesce con naturalezza e privo di forzature dalla limitata visione del mondo dello sfortunato Nathan: tra le considerazioni dei suoi genitori, il travaglio patito a scuola, la bizzarra carneficina al circo e soprattutto l’odissea patita sotto il ghiaccio, Fangboy è una lettura parecchio divertente, addirittura brillante in alcuni casi per mezzo dello stile semplice e valido di Strand, che descrive in maniera pulita contesti e personaggi, anche nei momenti più esaltati, senza ricorrere a tortuosi giri di parole o a complesse metafore come, per esempio, amano fare Pratchett o Adams.
L’intreccio è molto movimento, succedono parecchie cose con un ritmo vertiginoso perennemente supportato da un’instancabile carica ironica, che sottolinea con eleganza e rapida precisione, sfruttando l’ingenuità tipica dei bambini, ogni singolo passaggio: Nathan non ha un attimo di respiro e rischia di morire grossomodo a ogni pagina, e anche nelle parti più banali (su tutte il circo di freak, capitolo ovviamente inevitabile data la natura mostruosa del bambino) Strand sa sempre rivoltare la vicenda creando situazioni insolite e spassose (i ladri uccisi per noia, l’incendio), dipinte con dialoghi opportuni, sagaci, che si fermano nel momento giusto prima di dilagare in territori stanchi o ripetitivi.
I personaggi sono funzionali alla storia, si va dalle macchiette esasperate (Beverly e la sua mascolinità, il malvagio direttore dell’orfanotrofio) a profili particolarmente ispirati (Jameson e la sua paura di morire, il dottore che ha in cura Nathan, l’esploratore), che nel complesso alternano efficacemente le disavventure di Fangoby, in un buon equilibrio tra macabro e ironico. Peccato solo per una parte finale dove la comicità prende il sopravvento portandosi via tante buone idee soprannaturali in pagine fin troppo veloci e al servizio di una sbrigativa satira dei cliché orrorifici: lo spunto dell’apocalisse di pseudo-zombi è infatti vincente e insolito, così come lo strambo happy ending, ma viene risolto con troppa facilità (soprattutto nel caso del boss finale), senza quella vivacità irresistibile del resto del romanzo.
226 pagine, 16,95 € (kindle 7,17 €)
Novella tipicamente burtoniana, con un’atmosfera da impossibile fiaba del terrore, Fangboy racconta del povero Nathan, nato con dei minacciosi denti da squalo, e delle sue tragicomiche avventure pur di essere accettato dalla società. Ci troviamo in chiari contesti fiabeschi, Jeff Strand non pretende che il lettore identifichi realmente la storia, e difatti esagera di personaggio in personaggio, descrivendo personalità strampalate, comportamenti deliranti e situazioni mediamente assurde.
Ciò che più piace di questo romanzo breve è infatti l’intento comico, che fuoriesce con naturalezza e privo di forzature dalla limitata visione del mondo dello sfortunato Nathan: tra le considerazioni dei suoi genitori, il travaglio patito a scuola, la bizzarra carneficina al circo e soprattutto l’odissea patita sotto il ghiaccio, Fangboy è una lettura parecchio divertente, addirittura brillante in alcuni casi per mezzo dello stile semplice e valido di Strand, che descrive in maniera pulita contesti e personaggi, anche nei momenti più esaltati, senza ricorrere a tortuosi giri di parole o a complesse metafore come, per esempio, amano fare Pratchett o Adams.
L’intreccio è molto movimento, succedono parecchie cose con un ritmo vertiginoso perennemente supportato da un’instancabile carica ironica, che sottolinea con eleganza e rapida precisione, sfruttando l’ingenuità tipica dei bambini, ogni singolo passaggio: Nathan non ha un attimo di respiro e rischia di morire grossomodo a ogni pagina, e anche nelle parti più banali (su tutte il circo di freak, capitolo ovviamente inevitabile data la natura mostruosa del bambino) Strand sa sempre rivoltare la vicenda creando situazioni insolite e spassose (i ladri uccisi per noia, l’incendio), dipinte con dialoghi opportuni, sagaci, che si fermano nel momento giusto prima di dilagare in territori stanchi o ripetitivi.
I personaggi sono funzionali alla storia, si va dalle macchiette esasperate (Beverly e la sua mascolinità, il malvagio direttore dell’orfanotrofio) a profili particolarmente ispirati (Jameson e la sua paura di morire, il dottore che ha in cura Nathan, l’esploratore), che nel complesso alternano efficacemente le disavventure di Fangoby, in un buon equilibrio tra macabro e ironico. Peccato solo per una parte finale dove la comicità prende il sopravvento portandosi via tante buone idee soprannaturali in pagine fin troppo veloci e al servizio di una sbrigativa satira dei cliché orrorifici: lo spunto dell’apocalisse di pseudo-zombi è infatti vincente e insolito, così come lo strambo happy ending, ma viene risolto con troppa facilità (soprattutto nel caso del boss finale), senza quella vivacità irresistibile del resto del romanzo.
Sembra carino, vedrò di procurarmelo. Ho un debole per le fiabe "Burton-style". Hai letto altro di Strand? Io mi sono letto "How to rescue a dead princess", che mi ha convinto a metà...
RispondiEliminaCe l'ho sull'e-reader da un po' e lo inizierò prossimamente, ché i commenti che si leggono in giro sono così così. Hanno parlato un gran bene di Dweller, ma penso che il mio prossimo Strand sarà Mandibles, una cosa di formiche giganti che fa proprio per me. :)
RispondiEliminaFangboy, guarda, è sempre molto piacevole e divertente, alcuni punti poi sono davvero indovinati e notevoli, peccato solo per la parte conclusiva tiratissima in cui succedono mille cose ma è spiegata in due parole...