Recensione: Martin

By Simone Corà | venerdì 23 dicembre 2011 | 08:00

Riscoperto solo pochi anni fa grazie al cut originale proposto per la prima volta in dvd, comprensivo di titolo originale, Martin arriva in Italia sul finire degli anni Settanta con un montaggio, a cura di Dario Argento, del tutto inventato che lo spoglia della brutale violenza, schizoide e improvvisa, scialacqua banalmente l’intreccio, gli appiccica le musiche dei Goblin e gli cambia il titolo con quel ridicolo Wampyr che credo tutti abbiano visto, nei disgustosi dvd Quinto Piano, nei cestoni di qualsiasi videoteca.

Comprensibile, per certi versi, la diffidenza con cui Argento rimonta Martin per offrirlo al bonario pubblico italiano senza tramortirlo troppo – basti pensare al taglio della lunga sequenza d’apertura, una tremenda scena di stupro e omicidio all’interno di un treno, particolarmente cruenta e realistica, pensando soprattutto a quegli anni in cui gli standard di sicurezza erano ben diversi rispetto agli odierni. Il realismo di Martin è infatti spietato, obliquo, feroce, senza speranza, e l’addentrarsi nella mente sbagliata del giovane protagonista, che si crede un vampiro e beve il sangue delle sue vittime come fosse una droga, è un progressivo malessere che viene accentuato, di riflesso, dal ruolo sbagliato di chi interagisce con Martin, dalla donna insoddisfatta sessualmente allo zio deciso a salvarlo dalla maledizione vampirica.

Martin infatti sfrutta il vampirismo per parlare dell’ipocrisia della gente, e adopera la malattia mentale per mostrare, quando questo gioco simbolico aveva davvero un senso, quanto non sia il mostro il vero male della società, bensì l’uomo, chi gli sta accanto, chi lo alimenta rendendolo tale. Fortissima critica sociale, dunque, d’altronde ci trovavamo nel periodo d’oro di Romero, e la sua abilità narrativa gli permetteva di creare una sceneggiatura articolata, attenta, molto ispirata nel delineare le molte ombre che gravitano attorno a Martin, e che lui stesso in qualche modo evoca, portando l’orrore nel quotidiano. Tuttavia la pellicola, pur soffrendo inevitabilmente l’età soprattutto da un punto di vista visivo (montaggio e fotografia, che “rallentano” un ritmo già di per sé dilatato in una quiete molto sinistra), risulta attuale ancora oggi per l’intelligenza nella costruzione psicologica dei personaggi, negativi e magari deviati ma credibili tanto nell’estremismo esteriore (lo zio) quanto nella sofferenza interiore.

Intenso e angoscioso, Romero lo considera il suo miglior film, in barba agli zombi che lui stesso ha creato.

USA, 1978, colore, 95 minuti
Regia: George A. Romero
Sceneggiatura: George A. Romero

[Simone & Crescizz]

10 commenti:

  1. Bellissima recensione, per un bellissimo film. Forse aveva ragione Romero e definirlo la sua opera migliore, nonostante l' affetto che mi leghi ai suoi zombi, questo è un distillato di angoscia reale.
    Grazie per averne parlato.

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  2. Caspita, è da anni che voglio rivederlo! :D Penso approfitterò delle ferie... Romero fa bene ad amare questa sua creatura. Un film angosciante che colpisce al cuore...

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  3. @ Lucia: thank you. In effetti penso anch'io, probabilmente è la sua opera più forte proprio perché così specchio della realtà e meno horror. :)

    @ mr Giobblin: bravo, bravo, riguardalo, ché io a rigustarmelo dopo una manciata d'anni me lo sono proprio goduto. :)

    @ Luigi: :D

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  4. un grande viaggio nell'angoscia,questo meraviglioso film
    Magara la sparo grossa,ma penso sia anche una delle migliori riletture sul vampirismo in ambito di denuncia sociale

    Da noi avevano fatto un buon vampiresco con forti influenze politiche e sociali che è "Hanno cambiato faccia" di Corrado Farina
    Modestamente lo consiglio!

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  5. Ciao Babordo! No, non la spari grossa, per niente, mi sa, anzi, che concordo proprio con te. Non conoscevo Hanno cambiato faccia, grazie della dritta! :)

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  6. Lo hai descritto benissimo. Il film è bello, niente da dire, ma Romero continuo a preferirlo di gran lunga quando parla di morti viventi. :)
    Il montaggio di Argento me lo evito volentieri, così come ho evitato quello di Dawn of the Dead...

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  7. Ecco, pensa, io non ho mai visto il Dawn originale, me lo riprometto a ogni occasione e poi, puntuale, mi dimentico sempre...

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