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Recensione: Braquo

By Simone Corà | mercoledì 13 luglio 2011 | 10:00

2009, Francia, 8 episodi da 40 minuti cad
Creato da: Olivier Marchal
Network: Canal Plus TV

Dopo una carriera in polizia Olivier Marchal rinasce in televisione prima come attore e poi come sceneggiatore, e nonostante tre ottimi lungometraggi che lo rendono attualmente uno dei registi noir più neri e spietati in circolazione, continua a saltellare tra cinema e tv senza preferire un mezzo all'altro, ma anzi, mischiandoli con mestiere sopraffino. Dopo lo zampino nella mini Flics, ecco quindi Braquo, stagione unica, una lunga storia suddivisa in otto episodi che Marchal scrive e dirige quasi interamente, che potremmo sommariamente paragonare più a un The Shield piuttosto che ai magnifici 36 Quai des Orfevres e L’ultima missione, perché in fondo, nonostante le atmosfere tipicamente marchaliane, è il movimentato e inarrestabile tragedizzare a ripetizione di Shawn Ryan a spingere l’acceleratore e la penna del regista francese.

Si parla di poliziotti cattivi, dunque, agenti che rubano, picchiano e ingannano nel loro personale senso di giustizia che di fatto non li rende mai pienamente negativi, ma ne esalta e valorizza le scorrettezze pur di avere la meglio su chi cattivo forse lo è veramente. Serve a poco parlare della trama, che vede una squadra d’assalto implicata in qualsiasi cosa con la malavita organizzata (droga, furti, denaro, violenze), che incappa in un’infinita, contorta e angosciante spirale di disgrazie e avversità dopo il suicidio di uno dei suoi membri: non è infatti il rocambolesco susseguirsi degli eventi a tenere incollati allo schermo (per quanto ottimi e sapientemente gestiti), ma è il loro numero che, pur spropositato e a tratti inverosimile o, viceversa, un po’ banale (come per esempio Walter e i suoi debiti di gioco), impedisce di riprendere fiato. Ci si ritrova coinvolti da un’incessante sequenza di omicidi, rapimenti, regolamenti di conti e rivalità da rimanerne schiacciati, travolti come lo sono Eddy e la sua squadra (e come lo erano Vic Mackey e il suo team), uomini sempre più disperati, distrutti, esausti, afflitti dal caos immenso che in fondo loro stessi hanno creato.

Siamo naturalmente nei territori preferiti di Marchal, e se conoscete i già citati 36 Quais des Orfevres e L’ultima missione sapete cosa aspettarvi e quanto in basso sappia colpire il regista francese con le sue storie di corruzione, di rivalsa personale, di famiglie distrutte e di vizi che offuscano ogni cosa. Non c’è pietà, non c’è speranza, non c’è salvezza, non c’è redenzione, il male può portare solo ad altro male ed è proprio questo a cui vanno incontro Eddy e i suoi tre colleghi: chi distrugge lentamente la propria famiglia per il lavoro, chi disintegra se stesso e chi si lascia trascinare dagli eventi senza condividerli, non sono di certo nuovi i volti protagonisti di Braquo, né tantomeno i loro rivali, criminali o meno, ma la naturalezza con cui li dipinge Marchal e con cui li sgretola divorandoli dall’interno è abilità rara nella creazione di un noir.

Qua e là quindi spunta del semplice mestiere, qua e là un certo macchiettisimo nel delineare i villain, qua e là si ironizza amaramente con esagerata facilità, ma non sono sbavature problematiche: Braquo è una storia compatta e densa, per quanto vasta e ramificata, tagliata in otto parti adrenaliniche e di una complessità, dialogica e strutturale, spaventosa per la rapidità di narrazione costantemente sostenuta. Opera non molto conosciuta ma assolutamente da recuperare, e non il miglior Marchal ma, a fronte di una carriera registica esemplare, con due capolavori su tre film realizzati, un’ottima serie tv come lo è Braquo dovrebbe fare gola a molti.

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