Regia: Shinya Tsukamoto
Sceneggiatura: Shinya Tsukamoto, Hisakatsu Kuroki
Anthony vive felice con la moglie e il figlio, ha un lavoro stressante e un padre depresso da tenere d’occhio, ma l’amore dei suoi cari è forte e confortevole. Tutto, però, è destinato a infrangersi. Un giorno, mentre passeggia con il figlioletto Tom, un’auto investe il piccolo, e sembra farlo apposta, per poi fuggire. Distrutto dalla rabbia, accecato dall’odio verso quel killer misterioso, Anthony scopre che la sua pelle diventa ferro, e che le sue mani si trasformano in fucili: è l’ora della vendetta.
Che Tetsuo non avesse bisogno di seguiti è cosa ormai inutile da ribadire, impossibile replicare con lo stesso tocco allucinato quella perla impazzita e conservarne senso, atmosfera e fascino malato. Ma l’amore per la sua prima angosciante creatura non poteva non tentare nuovamente Shinya Tsukamoto, che scrive, dirige, produce, monta, cura la fotografia, recita nella parte del villain e fa parecchie altre cose di questo terzo episodio, The Bullet Man. Ponte ideale tra la follia dell’originale e l’aspetto tamarro del secondo capitolo, Body Hammer, The Bullet Man è un prodotto estremamente suggestivo da un punto di vista stilistico, molto, molto meno da quello narrativo. L’intreccio, nella saga, è sempre stato semplice orpello per giustificare la furibonda messinscena, ma in questo terzo atto Tsukamoto cercava qualcosa di più, inabissandosi in flashback che narrano di esperimenti tragici e orrori scientifici. Ne nascono tuttavia dialoghi poverini e ricordi appena accennati, elementi che sfuggono da una certa banalità solo grazie alla cupa, nerissima ricostruzione visiva, e che si mandano giù anche volentieri nell’economia di una componente action devastante.
È proprio nelle sequenze dedicate alla furia del Bullet Man che Tsukamoto fa brillare il suo pargolo cibernetico: crea delle bordate missilistiche in cui sembra realmente che Anthony sia una montagna di ferro che ingoia la schermo, sfascia ogni cosa, sfonda pareti e mobilia e soprattutto spara tonnellate di proiettili che dipingono un’apocalisse militare che stupisce in più di un’occasione. La regia ossessiva e furente, ricchissima di primi piani e sbilenche, oscillanti inquadrature, distrugge l’orientamento dello spettatore, e tra piano sequenza e momenti in prima persona si rimane, come è giusto che sia, travolti dalla rapidissima, incontenibile follia visiva.
Perfetto e catastrofico l’accompagnamento musicale di Trent Reznor, un caos sonoro oscuro e lento, un crescendo di elettroniche distorte e senza speranza che deflagrano in una manciata di scene di notevole potenza metallica (l’incidente automobilistico e la prima sparatoria, momenti in cui The Bullet Man raggiunge il suo apice visivo).
Visione imprescindibile per i fan di Tsukamoto, difficile consigliarla agli altri, troppo sperimentale la resa estetica, troppo fuori di testa il verbo del regista giapponese. Tuttavia, se non vi infastidisce l'idea di un montaggio al limite dell’incomprensibile e di una resa visiva che sfiora la frenesia di un videoclip in più di un’occasione, è un film da provare (nessun collegamento con gli altri due, e per giunta dura poco più di un'ora effettiva). Ma se vi infastidiscono queste cose significa che non avete visto il primo Tetsuo, quindi chinatevi e chiedete scusa.
Sceneggiatura: Shinya Tsukamoto, Hisakatsu Kuroki
Anthony vive felice con la moglie e il figlio, ha un lavoro stressante e un padre depresso da tenere d’occhio, ma l’amore dei suoi cari è forte e confortevole. Tutto, però, è destinato a infrangersi. Un giorno, mentre passeggia con il figlioletto Tom, un’auto investe il piccolo, e sembra farlo apposta, per poi fuggire. Distrutto dalla rabbia, accecato dall’odio verso quel killer misterioso, Anthony scopre che la sua pelle diventa ferro, e che le sue mani si trasformano in fucili: è l’ora della vendetta.
Che Tetsuo non avesse bisogno di seguiti è cosa ormai inutile da ribadire, impossibile replicare con lo stesso tocco allucinato quella perla impazzita e conservarne senso, atmosfera e fascino malato. Ma l’amore per la sua prima angosciante creatura non poteva non tentare nuovamente Shinya Tsukamoto, che scrive, dirige, produce, monta, cura la fotografia, recita nella parte del villain e fa parecchie altre cose di questo terzo episodio, The Bullet Man. Ponte ideale tra la follia dell’originale e l’aspetto tamarro del secondo capitolo, Body Hammer, The Bullet Man è un prodotto estremamente suggestivo da un punto di vista stilistico, molto, molto meno da quello narrativo. L’intreccio, nella saga, è sempre stato semplice orpello per giustificare la furibonda messinscena, ma in questo terzo atto Tsukamoto cercava qualcosa di più, inabissandosi in flashback che narrano di esperimenti tragici e orrori scientifici. Ne nascono tuttavia dialoghi poverini e ricordi appena accennati, elementi che sfuggono da una certa banalità solo grazie alla cupa, nerissima ricostruzione visiva, e che si mandano giù anche volentieri nell’economia di una componente action devastante.
È proprio nelle sequenze dedicate alla furia del Bullet Man che Tsukamoto fa brillare il suo pargolo cibernetico: crea delle bordate missilistiche in cui sembra realmente che Anthony sia una montagna di ferro che ingoia la schermo, sfascia ogni cosa, sfonda pareti e mobilia e soprattutto spara tonnellate di proiettili che dipingono un’apocalisse militare che stupisce in più di un’occasione. La regia ossessiva e furente, ricchissima di primi piani e sbilenche, oscillanti inquadrature, distrugge l’orientamento dello spettatore, e tra piano sequenza e momenti in prima persona si rimane, come è giusto che sia, travolti dalla rapidissima, incontenibile follia visiva.
Perfetto e catastrofico l’accompagnamento musicale di Trent Reznor, un caos sonoro oscuro e lento, un crescendo di elettroniche distorte e senza speranza che deflagrano in una manciata di scene di notevole potenza metallica (l’incidente automobilistico e la prima sparatoria, momenti in cui The Bullet Man raggiunge il suo apice visivo).
Visione imprescindibile per i fan di Tsukamoto, difficile consigliarla agli altri, troppo sperimentale la resa estetica, troppo fuori di testa il verbo del regista giapponese. Tuttavia, se non vi infastidisce l'idea di un montaggio al limite dell’incomprensibile e di una resa visiva che sfiora la frenesia di un videoclip in più di un’occasione, è un film da provare (nessun collegamento con gli altri due, e per giunta dura poco più di un'ora effettiva). Ma se vi infastidiscono queste cose significa che non avete visto il primo Tetsuo, quindi chinatevi e chiedete scusa.
presente. ecco un fan! :D
RispondiEliminama è una vita che lo cerco questo film... dove lo ha preso?
devo recuperarlo ASSOLUTAMENTE.
RispondiEliminaC'è li ho tutti e tre!E li adoro svisceralmente,soprattutto il primo.Comunque "The bullet man" l'avevano dato su raitre lunedì scorso per fuori orario.
RispondiEliminaIl vampirologo che ride
@ Roby: ciao! :) come dice il vampirologo, l'hanno dato su Fuori Orario lunedì scorso. Un plauso a Enrico Ghezzi.
RispondiElimina@ Valentino: fallo al più presto, tu lo adorerai.
@ Vampirlogo: sì, il primo è qualcosa di unico, un esperimento folle e malato. L'ho visto tanto tempo fa e non so se nel vederlo adesso possa dare la stessa carica schizofrenica di allora, però è uno di quei piccoli cult che tutti dovrebbero vedere. :)
ciao Simone! :)
RispondiEliminaera ora, sono mesi e mesi e mesi... a Ghezzi farei un monumento. devo prendere l'abitudine di seguire la sua programmazione, è che cazzo, a certe ore...
UDITE UDITE! per la gioia di tutti, c'è il tv rip sul mulo! :P
Ghezzi è un grande.
RispondiEliminaPunto.
Very intereresting reading. thx
RispondiEliminapaxil