816 pagine, 16 euro
ISBN 9788876381713
Succede, a volte, di venire catturati da un particolare, un particolare che ti strega, e ti stuzzica, ti incuriosisce, ti tormenta fino a quando non puoi più farne a meno, e devi farlo tuo. Vaghi in libreria senza meta, ti imbatti in questo volume dal formato inusuale, un rettangolo che sembra un mattoncino, la cui copertina, con i caratteri in rilievo, ricalca una pagina di quotidiano. Non è niente di stupefacente, capirai che innovazione quest’immagine, eppure ogni volta che lo vedi lo afferri, lo sfogli, lo soppesi, leggi alcuni passaggi, vedi scritto “extraterrestri” nella sinossi e vai già in brodo di giuggiole, e infine c’è questo titolo che ti pianta una freccia nel cervello. Alla fine devi prenderlo, devi, anche se non sai chi diavolo sia quest’autore, anche se la trama ti si presenta come una normalissima storia di formazione, anche se è lungo 800 pagine e forse, sotto sotto, temi che ti annoierai dopo le prime 20.
E scopri di portarti a casa un capolavoro.
Daniel “Skippy” Juster e il suo amico Ruprecth Van Doren sono compagni di stanza in un college di Dublino. Timido, sportivo e appassionato di videogiochi il primo, sovrappeso, innamorato di matematica, teorie fisiche e deciso a comunicare con gli extraterrestri il secondo, i due, una sera, si sfidano a chi mangia più ciambelle. Ma ancora prima di iniziare, Skippy sembra soffocare, stramazza al suolo e muore in pochi secondi. Da questo terribile momento, prende il via un lungo flashback, un’avventura tragicomica, che parla di amori impossibili, spacciatori deliranti e gelosi, giovani professori in crisi affettive, preti dal passato oscuro e… universi paralleli.
Uso spesso il termine “capolavoro” a sproposito, mi lascio andare a esagerate esclamazioni con troppa facilità, tendo a spogliarlo del suo vero significato, ma Skippy muore, opera seconda e premiatissima del giovane Paul Murray, non può pregiarsi di altro titolo, non ne esisterebbero per sottolineare lo splendore di un’enorme storia multiforme, di questa coralità psicologica che incanta, fa riflettere, diverte, commuove e fa arrabbiare, un ritratto generazionale spaventoso, dipinto con un acume, un’intelligenza e una capacità di giudizio straordinari.
La vita, l’universo e tutto quanto, di questo motto adamsiano parla Paul Murray, raccontando le vicende di Skippy, Ruprecth e di tutti i loro amici, nemici e conoscenti, ragazzini che vivono in un college gestito da religiosi opportunisti che mal vedono gli insegnanti laici, un ambiente poco sincero che ha tetre storie sepolte negli anni che nessuno vuole più toccare. Un luogo dove i professori devono rimanere zitti, dove le novità sono squadrate con occhi sospettosi, dove si può imparare solo la fredda rigorosità dei libri di testo, mentre la vita vera scorre e scappa via sotto gli occhi di tutti, senza che si riesca a prenderla.
Un quadro buio e marcio, contornato da periferie di droga e criminalità, sesso e bullismo, che però Murray descrive con un incredibile taglio ironico, un’ironia che distrugge, annichilisce per la saggezza con cui tocca i nervi scoperti, penetra nelle ferite e le slabbra facendole sanguinare, e già nel prologo, dove viene raccontata la morte di Skippy con micidiali rasoiate sarcastiche, si possono intuire le vere capacità, le vere intuizioni dell’autore.
Su questo sfondo terribile, le avventure di Skippy e compari sono esilaranti assurdità giovanili, momenti memorabili che rimangono stampati per l’estro che dà loro vita: sequenze incontenibili come l’alcolica festa di Halloween e ciò che ne consegue (ricordate la gara-vomito di Stand by me? Ecco), le coloratissime quanto false vicissitudini sessuali di Mario, le teorie sugli universi paralleli di Ruprecht e la costruzione dell’aggeggio per passare da una dimensione all’altra, e ancora l’odissea nel college femminile alla ricerca di un fantasma e l’insuperabile, commovente, tristissimo concerto finale sono istanti che spiazzano per l’umorismo straripante di Murray e per la durissima serietà di ogni singola parola, della vera crudeltà dei dialoghi, della malinconica potenza delle personalità in gioco.
Uno stile, il suo, che continua a mutare, che a tratti si fa difficile e impenetrabile, che sconfina nel delirio puro privandosi addirittura della punteggiatura per lunghi tratti di riflessioni interiori, caratteristica che potrebbe rendere indigesti molti capitoli del romanzo, in quanto Murray affida intere spiegazioni di faccende misteriose proprio a queste inarrestabili cascate di parole, che investono il lettore, lo stordiscono, gli scuotono la testa e i sensi.
Molto, molto, molto altro è racchiuso in queste 800 pagine, e tra storie d’amore strazianti e imprevedibili (il vortice Lori-Carl-Janine-Skippy, ma anche l’atroce triangolo di cui è vittima Howard), colpi allo stomaco che piegano in due, spietatezze improvvise, non sono poche le pseudo-parentesi sci-fi e horror che si intrufolano seminando elementi inquietanti e atmosfere sinistre, e tra mostruose mitologie nordiche, colline che nascondono bizzarre creature, alieni, fantasmi e passaggi dimensionali, anche l’horror maniac che passa su questi lidi può simpaticamente rimanerne soddisfatto.
Unico punto dolente dell’edizione italiana è la mole di refusi, mancanze, errori di punteggiatura e non che costella le 800 e passa pagine, disattenzioni a volte grossolane che una semplice correzione di bozze avrebbe disintegrato facilmente.
Mi rendo conto che non bastano queste parole per catturare la potenza di un romanzo come Skippy muore, impossibile riassumere in poche righe il contenuto di quest’opera anomala ed eccezionale, e l’unico consiglio è quindi quello di provarlo, perché se davvero amate i libri, se davvero amate la lettura, non potete privarvi questo capolavoro. E poi vedremo cosa combinerà Neil Jordan, che scriverà e dirigerà l'adattamento cinematografico.
ISBN 9788876381713
Succede, a volte, di venire catturati da un particolare, un particolare che ti strega, e ti stuzzica, ti incuriosisce, ti tormenta fino a quando non puoi più farne a meno, e devi farlo tuo. Vaghi in libreria senza meta, ti imbatti in questo volume dal formato inusuale, un rettangolo che sembra un mattoncino, la cui copertina, con i caratteri in rilievo, ricalca una pagina di quotidiano. Non è niente di stupefacente, capirai che innovazione quest’immagine, eppure ogni volta che lo vedi lo afferri, lo sfogli, lo soppesi, leggi alcuni passaggi, vedi scritto “extraterrestri” nella sinossi e vai già in brodo di giuggiole, e infine c’è questo titolo che ti pianta una freccia nel cervello. Alla fine devi prenderlo, devi, anche se non sai chi diavolo sia quest’autore, anche se la trama ti si presenta come una normalissima storia di formazione, anche se è lungo 800 pagine e forse, sotto sotto, temi che ti annoierai dopo le prime 20.
E scopri di portarti a casa un capolavoro.
Daniel “Skippy” Juster e il suo amico Ruprecth Van Doren sono compagni di stanza in un college di Dublino. Timido, sportivo e appassionato di videogiochi il primo, sovrappeso, innamorato di matematica, teorie fisiche e deciso a comunicare con gli extraterrestri il secondo, i due, una sera, si sfidano a chi mangia più ciambelle. Ma ancora prima di iniziare, Skippy sembra soffocare, stramazza al suolo e muore in pochi secondi. Da questo terribile momento, prende il via un lungo flashback, un’avventura tragicomica, che parla di amori impossibili, spacciatori deliranti e gelosi, giovani professori in crisi affettive, preti dal passato oscuro e… universi paralleli.
Uso spesso il termine “capolavoro” a sproposito, mi lascio andare a esagerate esclamazioni con troppa facilità, tendo a spogliarlo del suo vero significato, ma Skippy muore, opera seconda e premiatissima del giovane Paul Murray, non può pregiarsi di altro titolo, non ne esisterebbero per sottolineare lo splendore di un’enorme storia multiforme, di questa coralità psicologica che incanta, fa riflettere, diverte, commuove e fa arrabbiare, un ritratto generazionale spaventoso, dipinto con un acume, un’intelligenza e una capacità di giudizio straordinari.
La vita, l’universo e tutto quanto, di questo motto adamsiano parla Paul Murray, raccontando le vicende di Skippy, Ruprecth e di tutti i loro amici, nemici e conoscenti, ragazzini che vivono in un college gestito da religiosi opportunisti che mal vedono gli insegnanti laici, un ambiente poco sincero che ha tetre storie sepolte negli anni che nessuno vuole più toccare. Un luogo dove i professori devono rimanere zitti, dove le novità sono squadrate con occhi sospettosi, dove si può imparare solo la fredda rigorosità dei libri di testo, mentre la vita vera scorre e scappa via sotto gli occhi di tutti, senza che si riesca a prenderla.
Un quadro buio e marcio, contornato da periferie di droga e criminalità, sesso e bullismo, che però Murray descrive con un incredibile taglio ironico, un’ironia che distrugge, annichilisce per la saggezza con cui tocca i nervi scoperti, penetra nelle ferite e le slabbra facendole sanguinare, e già nel prologo, dove viene raccontata la morte di Skippy con micidiali rasoiate sarcastiche, si possono intuire le vere capacità, le vere intuizioni dell’autore.
Su questo sfondo terribile, le avventure di Skippy e compari sono esilaranti assurdità giovanili, momenti memorabili che rimangono stampati per l’estro che dà loro vita: sequenze incontenibili come l’alcolica festa di Halloween e ciò che ne consegue (ricordate la gara-vomito di Stand by me? Ecco), le coloratissime quanto false vicissitudini sessuali di Mario, le teorie sugli universi paralleli di Ruprecht e la costruzione dell’aggeggio per passare da una dimensione all’altra, e ancora l’odissea nel college femminile alla ricerca di un fantasma e l’insuperabile, commovente, tristissimo concerto finale sono istanti che spiazzano per l’umorismo straripante di Murray e per la durissima serietà di ogni singola parola, della vera crudeltà dei dialoghi, della malinconica potenza delle personalità in gioco.
Uno stile, il suo, che continua a mutare, che a tratti si fa difficile e impenetrabile, che sconfina nel delirio puro privandosi addirittura della punteggiatura per lunghi tratti di riflessioni interiori, caratteristica che potrebbe rendere indigesti molti capitoli del romanzo, in quanto Murray affida intere spiegazioni di faccende misteriose proprio a queste inarrestabili cascate di parole, che investono il lettore, lo stordiscono, gli scuotono la testa e i sensi.
Molto, molto, molto altro è racchiuso in queste 800 pagine, e tra storie d’amore strazianti e imprevedibili (il vortice Lori-Carl-Janine-Skippy, ma anche l’atroce triangolo di cui è vittima Howard), colpi allo stomaco che piegano in due, spietatezze improvvise, non sono poche le pseudo-parentesi sci-fi e horror che si intrufolano seminando elementi inquietanti e atmosfere sinistre, e tra mostruose mitologie nordiche, colline che nascondono bizzarre creature, alieni, fantasmi e passaggi dimensionali, anche l’horror maniac che passa su questi lidi può simpaticamente rimanerne soddisfatto.
Unico punto dolente dell’edizione italiana è la mole di refusi, mancanze, errori di punteggiatura e non che costella le 800 e passa pagine, disattenzioni a volte grossolane che una semplice correzione di bozze avrebbe disintegrato facilmente.
Mi rendo conto che non bastano queste parole per catturare la potenza di un romanzo come Skippy muore, impossibile riassumere in poche righe il contenuto di quest’opera anomala ed eccezionale, e l’unico consiglio è quindi quello di provarlo, perché se davvero amate i libri, se davvero amate la lettura, non potete privarvi questo capolavoro. E poi vedremo cosa combinerà Neil Jordan, che scriverà e dirigerà l'adattamento cinematografico.
Il tuo entusiasmo mi ha quasi convinto a comprarlo! Però, come si suol dire... minchia, 800 pagine!!!
RispondiEliminaCerto che se volano via bene, non ce se ne accorgene nemmeno.
Bella segnalazione. Ringrazio ;)
decisamente interessante
RispondiEliminaforse, magari, chissà, la prossima estate...
chi può dirlo
se lo vedo in giro gli dò un'occhiata va
certo che però... per te son tutti capolavori eh, 'sti cazzi
Hai pianto alla fine, dài, dillo.
RispondiEliminaGiammai piansi!
RispondiEliminaE voialtri, lì, leggetelo, su, fate i bravi!
Non l'ho ancora letto, ma da quanto dici mi ricorda molto The Butcher Boy di McCabe - da cui guardacaso è stato tratto l'ottimo film omonimo di Neil Jordan.
RispondiEliminaUrca, mi accorgo solo ora del tuo commento. L'opera che citi la conosco solo di fama, ma è una buona occasione per recuperarla, romanzo e film. :)
RispondiEliminaMi hai fatto venir voglia di leggerlo... Io ti consiglio La Città dei Clown, di Will Elliott. Sicuramente ti piacerà.
RispondiEliminala tua recensione e' ottima e coglie davvero nel segno! L'ho appena finito e sono entusiasta, come te..mi permetto di consigliarti Infinite Jest, un libro meraviglioso che questo Skippy mi ha ricordato un po'...le cose che ti sono piaciute le ritroverai, immense...sono a caccia di altro di simile..purtroppo di David Foster Wallace (l'autore di IJ) ho gia' letto tutto quello che c' e' in italiano.. e di murray per ora anche...sigh
RispondiEliminaAh, eccolo qui il commento, me l'ero perso ;)
RispondiEliminaDi DFW non ho letto ancora nulla, anche se devo dire che Infinite Jest mi stuzzica da parecchio tempo. Prima o poi lo proverò sicuramente, ché la mia curiosità non è mai sazia e i tomazzi giganteschi in fondo non mi spaventano...