Regia: Uwe Boll
Sceneggiatura: Michael Roesch, PeterScheerer
Folle scienziato impegnato in ardimentosi progetti genetici, Lucas Krieger sta lavorando alla creazione di potentissimi supersoldati all’interno di un laboratorio segreto situato tra i boschi di un’isola sperduta. Ma Valerie, tenace giornalista incentivata da una fuga di notizie, vuole scoprire la verità e smascherarlo, e per questo chiede aiuto a un ex-soldato, Jack, reinventatosi marinaio e guida turistica.
Venerare Uwe Boll è tappa importante, se non fondamentale, del percorso spirituale di ogni amante di un certo, ehm, modo di fare cinema. Regista a suo modo cult, l’Ed Wood con wurstel e crauti ha conquistato il mondo con tonnellate di becera immondizia e con una certa insolenza tale che diventa dovere, per noi esimi adepti, scavare tra cumuli di rifiuti come House of the Dead, Alone in the Dark e Bloodrayne, e apprezzarne quella tragica comicità involontaria che attualmente nessuno meglio di lui, forse, è capace di creare.
Con il divertente Postal, pellicola di un umorismo cattivissimo, non troppo riuscita ma a tratti molto piacevole, il terrore che Boll stesse apprendendo i segreti della regia e avesse iniziato a percorrere la retta via, negandoci nuovi altri capolavori, era concreto e inquietante, ma con In the Name of the King prima, e con questo Far Cry ora, entrambe ovviamente trasposizioni videoludiche, il filmaker crucco è tornato ai suoi gloriosi fasti di sempre, e non possiamo che essergliene grati.
Inverosimile, posticcio, spassosamente ridicolo per larga parte della sua durata, basterebbe il breve prologo per farsi un’idea del, ehm, talento visionario di Uwe Boll, (in)capace di shakerare in una manciata di minuti le scene clou di film come Predator, Jurassic Park e La casa, dando al tutto un’atmosfera militare che rimanda, e c’era forse da chiederselo, poi?, al survival horror più famoso di tutti i tempi, Resident Evil.
Ma il saccheggio/citazione va ben oltre, dato che la trama di Far Cry, pasticciata tra la sci-fi più elementare e l’action più ironico e strafottente, prevede lunghi, spettacolari inseguimenti di motoscafi provenienti da un James Bond o un Indiana Jones qualsiasi, nonché una sana scazzottata con (terribili) virtuosismi di camera, aggravati tra l’altro da un montaggio fatto probabilmente da bambini con forbici dalle punte arrotondate e dita sporche di vinavil.
Ma il meglio, come sempre, lo si può trovare nei dialoghi, un corollario di incongruenze e assurdità senza né capo né coda, come questa:
Sceneggiatura: Michael Roesch, PeterScheerer
Folle scienziato impegnato in ardimentosi progetti genetici, Lucas Krieger sta lavorando alla creazione di potentissimi supersoldati all’interno di un laboratorio segreto situato tra i boschi di un’isola sperduta. Ma Valerie, tenace giornalista incentivata da una fuga di notizie, vuole scoprire la verità e smascherarlo, e per questo chiede aiuto a un ex-soldato, Jack, reinventatosi marinaio e guida turistica.
Venerare Uwe Boll è tappa importante, se non fondamentale, del percorso spirituale di ogni amante di un certo, ehm, modo di fare cinema. Regista a suo modo cult, l’Ed Wood con wurstel e crauti ha conquistato il mondo con tonnellate di becera immondizia e con una certa insolenza tale che diventa dovere, per noi esimi adepti, scavare tra cumuli di rifiuti come House of the Dead, Alone in the Dark e Bloodrayne, e apprezzarne quella tragica comicità involontaria che attualmente nessuno meglio di lui, forse, è capace di creare.
Con il divertente Postal, pellicola di un umorismo cattivissimo, non troppo riuscita ma a tratti molto piacevole, il terrore che Boll stesse apprendendo i segreti della regia e avesse iniziato a percorrere la retta via, negandoci nuovi altri capolavori, era concreto e inquietante, ma con In the Name of the King prima, e con questo Far Cry ora, entrambe ovviamente trasposizioni videoludiche, il filmaker crucco è tornato ai suoi gloriosi fasti di sempre, e non possiamo che essergliene grati.
Inverosimile, posticcio, spassosamente ridicolo per larga parte della sua durata, basterebbe il breve prologo per farsi un’idea del, ehm, talento visionario di Uwe Boll, (in)capace di shakerare in una manciata di minuti le scene clou di film come Predator, Jurassic Park e La casa, dando al tutto un’atmosfera militare che rimanda, e c’era forse da chiederselo, poi?, al survival horror più famoso di tutti i tempi, Resident Evil.
Ma il saccheggio/citazione va ben oltre, dato che la trama di Far Cry, pasticciata tra la sci-fi più elementare e l’action più ironico e strafottente, prevede lunghi, spettacolari inseguimenti di motoscafi provenienti da un James Bond o un Indiana Jones qualsiasi, nonché una sana scazzottata con (terribili) virtuosismi di camera, aggravati tra l’altro da un montaggio fatto probabilmente da bambini con forbici dalle punte arrotondate e dita sporche di vinavil.
Ma il meglio, come sempre, lo si può trovare nei dialoghi, un corollario di incongruenze e assurdità senza né capo né coda, come questa:
«Con i miei compagni dell’esercito lo facevamo sempre», dice Jack, bagnato fradicio dopo un tuffo imprevisto in mare, addicendo allo strofinare i corpi umani nudi per ottenere un po’ di calore come se fosse una pratica divertente da fare in compagnia.O ancora, presentando il personaggio a inizio film:
«Vogliamo vedere le balene!» dicono i turisti sulla sua barca.E poi ci sono i comportamenti dei protagonisti, vero fiore all’occhiello delle produzioni targate Boll, con Jack e Valerie che si aggirano tranquillamente nell’isola militare, passeggiando all’aria aperta dopo essere fuggiti da un lunghissimo inseguimento; oppure Jack che si infiltra tra i militari cattivi passando davanti a decine e decine di loro, e che solo di colpo, per necessità di trama, il generale si accorge di lui; o ancora, quando Jack e Valerie, infreddoliti e con i vestiti zuppi d’acqua per il bagno inatteso, non solo non sbuffano nubi di vapore ghiacciato, ma per colpa di un chiaro imbarazzo che non può essere vinto, figuriamoci, dalla voglia di vivere, si infilano sotto le coperte (di un letto abbandonato in una catapecchia, tra l’altro) con la biancheria indosso, senza nemmeno cercare di asciugarsi! Puro culto.
«A volte ci sono, a volte no», risponde un Jack annoiato.
Se non fosse per il fatto che si trovano chiaramente in un lago, potrebbe avere anche ragione.
Queste non sono che chicche delle valanghe di situazioni accidentalmente comiche e per questo meritevoli di grandi, enormi applausi, e scovarle non può che essere puro, intenso piacere per tutti coloro, me compreso, naturalmente, che sanno farsi piacere, eccome, un certo tipo di cinema.
Finale aperto, con la parte action che si tronca di colpo e che sfuma in un epilogo di chiare intenzioni simpatiche, ma che fallisce anche solo nel mettere insieme due-battute-due. Speriamo in un sequel, che domande.
Uwe Boll be my guide.
Davide:
RispondiEliminahai dimenticato di citare il personaggio di Emilio e i suoi IMBARAZZANTI siparietti con Jack!!
Puro TRASH!
Verissimo, personaggio ridicolo e sequenze deliranti, come quella in cui si strozza con il panino...
RispondiEliminaTra l'altro, poi, sparisce per dieci minuti buoni durante la super scazzottata finale con i super soldati, e riappare incolume soltanto alla fine.
Meraviglioso.
Io sono dell'idea che questi film li deve pur fare qualcuno... altrimenti si rischia di dimenticarsi la differenza tra capolavoro, film medio e escremento assoluto.
RispondiEliminaE, tuttavia, quando il trash è persistente può, in rari casi, sfiorare vette irraggiungibili persino dai capolavori! Insomma, è un fenomeno strano quello del trash, qualcuno forse, che tu sappia, ha scritto un saggio?
Dici giusto, poi, certo, il trash in generale bisogna anche essere in grado di guardarlo con il preciso scopo di riderci sopra, altrimenti sarebbe una tortura insopportabile.
RispondiEliminaLibri sull'argomento, sì, ce ne sono sicuramente, ricordo che McNab qualche tempo fa ne ha recensito uno dedicato al trash fantastico italiano. Se cerchi sul suo blog lo trovi facilmente. :)
Prima o poi ne scriverò uno anch'io.