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L'accalappiastreghe

By Simone Corà | venerdì 5 marzo 2010 | 15:30

di Walter Moers
Salani Editore, 2008
423 pagine
16,80 Euro

Eco è uno strano animale: anatomicamente simile a un gatto, in realtà è qualcosa di più, un cratto, per il fatto che conosce tutte le lingue che si parlano a Zamonia. Abbandonato e affamato dopo la morte della padrona, Eco viene salvato dal terribile Succubio Malfrosto, di professione accalappiastreghe, il quale gli propone un patto. Sfamerà Eco di ogni possibile prelibatezza e gli farà passare giorni culinari indimenticabili, a un prezzo però molto salato: la sua vita…

Se c’è una qualità che talvolta manca nelle creazioni degli scrittori fantasy, è la capacità di costruire mondi che siano governati da leggi proprie e strutturati su logiche originali, e non, come è usanza comune soprattutto nei pallidi romanzi di ultima generazione, di basare il tutto su un filtraggio ad hoc della nostra realtà.

La fantasia sconfinata del tedesco Walter Moers è invece qualcosa che va oltre ogni classificazione, e la sua Zamonia, il mondo in cui ambienta storie deliranti sempre in bilico tra horror, fantasy e ironia, è un luogo talmente bizzarro e insolito che solamente attraverso la razionalità zamonica può essere compreso.

Difficile dire se i suoi romanzi siano più adatti a un pubblico infantile o a uno adulto, tanti sono gli aspetti che li contraddistinguono e che pendono ora verso un lato della bilancia ora verso l’altro.
E anche ne L’accalappiastreghe, fatto proprio un plot generale con un gatto parlante come protagonista che, volenti o nolenti, non può che essere più appropriato per lettori piccini, bisogna riconoscere enormi spunti horror e ramificazioni narrative a dir poco eccentriche che forse solo i più grandi possono apprezzare appieno.

Da sinistre esplorazioni nel castello di Malfrosto in cui sono rinchiuse mummie orripilanti e semidivinità immortali a viaggi fanciulleschi tra api e pellestrelli; da vigneti dotati di coscienza che si cibano di sangue a semplici, ingenue pozioni d’amore; da spettri vendicativi e demoni mostruosi evocati da dimensioni oscure a visite in buffe serre zeppe di strane piante…

È un continuo altalenarsi di situazioni, ritmi e generi, e se è impossibile non lasciarsi attrarre da questo universo sbilenco, L’accalappiastreghe è azzoppato comunque da lacune più o meno gravi che saltuariamente inficiano la lettura.

Su tutte, l’eccessivo lasciarsi andare a divagazioni che nulla hanno a che vedere con la trama principale, divagazioni che spesso si riducono a infiniti elenchi di cibi assurdi che più di un sorriso iniziale non riescono a strappare. Le leggende raccontate da Malfrosto o la stessa visita nella serra della strega sono i momenti in cui la pazienza si infrange in pagine e pagine di nulla, che annoiano parola dopo parola.

A questo bisogna aggiungere uno stile non sempre brillante, sicuramente poco aiutato da una traduzione non eccelsa. A ottime sequenze descrittive si avvicendano infatti parentesi d’azione piuttosto superficiali, con un’intrusione del narratore spesso irritante, e la demenzialità globale e quell’umorismo tanto sbandierato lasciano il segno giusto una manciata di volte, per disperdersi poi in un piattume generalmente indifferente.

Walter Moers è uno scrittore interessante e per certi versi molto originale (anche solo per gli strambi disegni disseminati nell’intero romanzo), ma che con L’accalappiastreghe sembra sparare senza curarsi di una mira attentamente calibrata. Da provare, almeno una volta, perché no, ma se siete verginelli dei suoi illogici universi, meglio partire con un altro romanzo, come Rumo e i prodigi dell’oscurità, odissea bizzarra, avventurosa e scoppiettante.

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