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The Bird People in China

By Simone Corà | giovedì 18 febbraio 2010 | 08:00

1998, Giappone, colore, 119 minuti
Regia: Takashi Miike
Sceneggiatura: Masa Nakamura (da un romanzo di Makoto Shiina)

Wada lavora per conto di una società mineraria, ed è incaricato di raggiungere uno sperduto villaggio cinese dove è stato rilevato un enorme giacimento di giada. Una volta in Cina, però, scopre di essere seguito da mr. Ujiie, un killer della yakuza, incaricato a sua volta di trovare quella vena al fine di estinguere un debito che i superiori di Wada hanno nei confronti della mafia giapponese. Tra mille disavventure, riescono a raggiungere la meta prefissata, e lì vengono a conoscenza di una leggenda legata a misteriosi uomini volanti…

Ci sono film che stupiscono, che riescono a toccare i giusti tasti emozionali per mezzo di una poesia ben lontana da certe melense, retoriche atmosfere, e che dovrebbero essere vivisezionati in ogni manuale di cinema per rimanere impressi nella storia.

E se alla guida di The Bird People in China, che naturalmente rientra in questa schiera di pellicole da salvaguardare, troviamo il genio sregolato di un Takashi Miike che, per una volta, abbandona le usuali, sadiche carneficine e la sua consueta pazzia visionaria, una sorta di meraviglia, di incredula sorpresa non può che perdurare ben oltre che le due ore del film.

A metà strada tra commedia e avventura, con un lieve tocco favolistico nella seconda parte, The Bird People in China vive di un equilibrio che rasenta la perfezione: intelligentemente simmetrica nel bilanciare risate, e si tratta di risate a voce alta (l’incontro/scontro tra Wada e Ujiie, il viaggio in furgone, l’improvviso mal di pancia dello yakuza), e un’avvincente componente misterioso/esplorativa (il villaggio, la leggenda degli uomini volanti), la pellicola di Miike non cade mai in facili tranelli cinematografici, e niente viene sacrificato sull’altare del semplice dinamismo avventuroso.

Anzi, l’azione, nella seconda metà, viene drasticamente azzerata, cosa che comporta la trasformazione del film in un mistico viaggio interiore, alla scoperta dei propri limiti e dei propri desideri, delle necessità basilari e di quelle futili, in un profondo simbolismo atto a distruggere la folle, adrenalinica velocità sociale del mondo odierno.

Metafora e favola, come vuole l’antica tradizione, si fondono così e ben descrivono, senza sterili patetismi e vuote moralità, il cambiamento psicologico/caratteriale dei protagonisti, ben distante dal classico dualismo cattivo/buono tipico di storie apparentemente innocue come questa.
L’introiezione di Wada e soprattutto lo sconvolgimento emotivo di Ujiie non sono inni superficiali al distacco dalla stupida materialità moderna in favore di un etico arricchimento interiore, ma sono lunghi, realistici viaggi nell’inconscio, viaggi che salpano tanto dall’istinto quanto dalla razionalità, e che, proprio per i lunghi silenzi di cui il film si riempirà man mano che la storia si avvia alla sua conclusione, paiono sempre credibili specchi della realtà.

Pellicola intensa, lontana da certi stereotipi a cui la divertente prima metà potrebbe far pensare, The Bird People in China, al di là della sua unicità e del lirismo che sprigiona, è probabilmente l’opera più importante di un regista di talento che, pur avendo fatto dell’estremo (Ichi the Killer), del caos d’autore (Gozu, Izo) e di una certa provocazione (Visitor Q) i suoi punti forti, in quest’occasione ha sparso semi di grande, grandissimo cinema.

Non ci sono voti, qui su Midian, trovo inutile riassumere centinaia di parole in un singolo valore numerico che poco aiuta nell’analisi di un’opera, ma se di numeri, stellette o teschietti che dir si voglia si dovesse parlare, per The Bird People in China, senza tanti mezzi termini, sarebbe appropriata solo la valutazione massima.

8 commenti:

  1. Eh, se me la metti giù così non posso far altro che fidarmi ciecamente e guardare il film al più presto.
    Oltrettutto Miike è una voragine aperta che non ho mai avuto voglia di riempire (ho visto solo il famigerato Ichi the Killer), direi che questo potrebbe essere un buon punto di partenza.

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  2. E' un film anomalo, per Miike, perché non c'è violenza né qualche strana bizzarria visiva, ma è una fiaba, o quasi, molto sentita e drammatica.

    In ogni caso, con Miike ogni film è un buon punto di partenza. :)

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  3. Bella recensione, cattura la curiosità.
    Tocca dirlo.

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  4. Troppo buona.
    E non hai detto neanche una parolaccia!

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