2008, USA, colore, 98 minuti
Regia: Ryuhei Kitamura
Sceneggiatura: Jeff Buhler
Leon è un fotografo frustrato per non essere in grado di afferrare uno scatto vincente, quello scatto capace di dare uno scossone alla sua carriera ormai stantia. L’occasione la trova quando, aiutata una fotomodella aggredita da tre criminali, scopre che la ragazza è scomparsa dopo essere salita in metropolitana. Indagando, si rende conto che non è l’unica a non aver fatto più ritorno dopo essere entrata in quel particolare treno, e che tutto sembra collegarsi con un mastodontico macellaio, silenzioso e ostile. Cosa sta succedendo?
Tra i migliori racconti di Clive Barker, inserito nell’esalogia dei Libri di sangue, che ha fatto la storia e continua a farla nella narrativa dell’orrore, Macelleria mobile di mezzanotte è superlativo bignami di sangue e terrore, tra i picchi mai più raggiunti dallo scrittore inglese, soprattutto dopo aver votato una carriera a tomi chilometrici e alquanto tediosi. Oasi di brutalità sconcertante e intuizioni soprannaturali, era brano dall’altissimo potenziale cinematografico, perfetto per diventare film, ma ancora una volta dobbiamo piangere per la disorganizzazione e la mancata riuscita.
A dirigerne questa mediocre trasposizione è un sopravvalutato regista nipponico, quel Ryuhei Kitamura noto ai più per il noioso Versus ma che in pochi anni ha già raggiunto lo status di autore cult. Ma se dal punto di vista prettamente visivo Kitamura non deve effettivamente prendere lezioni da nessuno (inusuali angoli di inquadratura, movimenti di camera lenti e circolari), e da quello di coordinamento sembra aver acquisito una maggior limpidezza, è nella struttura generale di Prossima fermata: l’Inferno, complice un debole script di Jeff Buhler, che vengono a mancare stabilità, compattezza e quel guizzo di imprevedibilità necessario per svecchiare queste pellicole fatte con lo stampo.
Tra sequenze di soporifera attesa e improvvisi sbalzi emoglobinici, Prossima fermata: l’Inferno annoia più che altro per la consueta ricorrenza ai soliti cliché dell’orrore che, oltretutto, appaiono incollati col nastro adesivo, come fosse indispensabile passare per questi momenti anche quando non serviva. Serve il facile spavento con la figura misteriosa che schizza davanti alla telecamera, serve la stupidaggine che fa arrabbiare il mostro, e ovviamente serve la fuga inseguiti dal bestio di turno. Nient’altro.
Non serve certo dire che la pellicola di Kitamura si rianima nelle frequenti virate splatter, piuttosto insistite, generose e abbondanti, ma non c’è passione nel dirigere l’indagine di Leon, né sentimento orrorifico nel mostrare una progressione horror fredda, didascalica e curiosamente soltanto accennata in una parte finale molto brusca, che crolla e viene calpestata di fronte al crescendo di tensione e mostruosità con cui Barker aveva concluso il racconto originario.
Piace comunque lo scontro finale tra Leon e il complessivamente borioso mad butcher, sequenza in cui, bisogna dirlo, Prossima fermata: l’Inferno addirittura brilla per gusto morboso e ferocia visiva nel mostrare un ring formato da decine di cadaveri che vengono mutilati di colpo in colpo, così come piace l’immersione in atmosfere lugubri e salmastre, perennemente dipinte di buio opprimente e gelido, antartico blu.
Ennesimo film dal potenziale smisurato che viene maltrattato in fase di sceneggiatura e consegnato a un regista di per sé mediocre e futilmente ambizioso. Da vedere per completezza morale, ma da evitare anche solo per il titolo italiano, questo Prossima fermata: l’Inferno che nulla ha a che vedere con il delizioso The Midnight Meat Train e che appare invece sciaguratamente appiccicato da incompetenti profani del genere che meriterebbero soltanto l’esclusione dal genere umano.
Regia: Ryuhei Kitamura
Sceneggiatura: Jeff Buhler
Leon è un fotografo frustrato per non essere in grado di afferrare uno scatto vincente, quello scatto capace di dare uno scossone alla sua carriera ormai stantia. L’occasione la trova quando, aiutata una fotomodella aggredita da tre criminali, scopre che la ragazza è scomparsa dopo essere salita in metropolitana. Indagando, si rende conto che non è l’unica a non aver fatto più ritorno dopo essere entrata in quel particolare treno, e che tutto sembra collegarsi con un mastodontico macellaio, silenzioso e ostile. Cosa sta succedendo?
Tra i migliori racconti di Clive Barker, inserito nell’esalogia dei Libri di sangue, che ha fatto la storia e continua a farla nella narrativa dell’orrore, Macelleria mobile di mezzanotte è superlativo bignami di sangue e terrore, tra i picchi mai più raggiunti dallo scrittore inglese, soprattutto dopo aver votato una carriera a tomi chilometrici e alquanto tediosi. Oasi di brutalità sconcertante e intuizioni soprannaturali, era brano dall’altissimo potenziale cinematografico, perfetto per diventare film, ma ancora una volta dobbiamo piangere per la disorganizzazione e la mancata riuscita.
A dirigerne questa mediocre trasposizione è un sopravvalutato regista nipponico, quel Ryuhei Kitamura noto ai più per il noioso Versus ma che in pochi anni ha già raggiunto lo status di autore cult. Ma se dal punto di vista prettamente visivo Kitamura non deve effettivamente prendere lezioni da nessuno (inusuali angoli di inquadratura, movimenti di camera lenti e circolari), e da quello di coordinamento sembra aver acquisito una maggior limpidezza, è nella struttura generale di Prossima fermata: l’Inferno, complice un debole script di Jeff Buhler, che vengono a mancare stabilità, compattezza e quel guizzo di imprevedibilità necessario per svecchiare queste pellicole fatte con lo stampo.
Tra sequenze di soporifera attesa e improvvisi sbalzi emoglobinici, Prossima fermata: l’Inferno annoia più che altro per la consueta ricorrenza ai soliti cliché dell’orrore che, oltretutto, appaiono incollati col nastro adesivo, come fosse indispensabile passare per questi momenti anche quando non serviva. Serve il facile spavento con la figura misteriosa che schizza davanti alla telecamera, serve la stupidaggine che fa arrabbiare il mostro, e ovviamente serve la fuga inseguiti dal bestio di turno. Nient’altro.
Non serve certo dire che la pellicola di Kitamura si rianima nelle frequenti virate splatter, piuttosto insistite, generose e abbondanti, ma non c’è passione nel dirigere l’indagine di Leon, né sentimento orrorifico nel mostrare una progressione horror fredda, didascalica e curiosamente soltanto accennata in una parte finale molto brusca, che crolla e viene calpestata di fronte al crescendo di tensione e mostruosità con cui Barker aveva concluso il racconto originario.
Piace comunque lo scontro finale tra Leon e il complessivamente borioso mad butcher, sequenza in cui, bisogna dirlo, Prossima fermata: l’Inferno addirittura brilla per gusto morboso e ferocia visiva nel mostrare un ring formato da decine di cadaveri che vengono mutilati di colpo in colpo, così come piace l’immersione in atmosfere lugubri e salmastre, perennemente dipinte di buio opprimente e gelido, antartico blu.
Ennesimo film dal potenziale smisurato che viene maltrattato in fase di sceneggiatura e consegnato a un regista di per sé mediocre e futilmente ambizioso. Da vedere per completezza morale, ma da evitare anche solo per il titolo italiano, questo Prossima fermata: l’Inferno che nulla ha a che vedere con il delizioso The Midnight Meat Train e che appare invece sciaguratamente appiccicato da incompetenti profani del genere che meriterebbero soltanto l’esclusione dal genere umano.
Anche a me Versus ha annoiato a morte. Inoltre era troppo "buffonesco". Ma Midnight Meat Train l'ho trovato buono, con un atmosfera superba e un ottima fotografia. Concordo che il ritmo a volte scemi vistosamente ma le prodezze registiche di Kitamura le ho assolutamente adorate. Sarà sopravvalutato ma ha un gusto per il dinamismo innegabile. Su tutte, spicca l'improbabile soggettiva della testa mozzata... un cult!
RispondiEliminaIo penso che a Kitamura serve più che altro un bravo sceneggiatore, che gli dia una storia non per forza originale o chissà quanto innovativa, ma bella solida, in modo che lui ci possa ricamare sopra tutti i suoi favolosi tecnicismi - e qui ovviamente concordo sulla loro bellezza.
RispondiEliminaQui su MMT, sì, è tutto bello da vedere, ma la trama è così piena di cliché gratuiti che non sono mai riuscito a godermelo appieno, tolto il combattimento finale, che è davvero fichissimo.
E Versus, madonna, ho dovuto vederlo in tre sessioni prima di arrivare alla fine! :)