Wallander

By Simone Corà | venerdì 24 luglio 2009 | 13:21

Diretto da: Philip Martin, Niall McCormick
Scritto da: Richard Cottan, Richard McBrien
Serie: 1 (in continuazione)
Episodi: 3
Durata: 90 minuti cad
Anno: 2008
Produzione: UK/Svezia

Kurt Wallander è un commissario di polizia svedese, ed è un uomo onesto, tenace, fortemente attaccato al suo lavoro, troppo, tanto da metterlo davanti alla sua famiglia.
La serie esplora tre casi, che partono da spunti semplici per poi sfociare in eventi che potrebbero mettere in pericolo il mondo in tero: una ragazzina che si è suicidata dandosi fuoco in un campo di grano, due giovani che accoltellano un tassista e infine una serie di omicidi rituali, effettuati da un killer che uccide persone in costume.


Da una manciata di anni a questa parte, il divario abissale che divideva cinema e televisione (per mezzi, capacità, intenti) è stato a poco a poco colmato, tanto che certi prodotti televisivi, per quanto diversi e pur fedeli a determinati schemi, non hanno nulla da invidiare ai colossi milionari partoriti per la grande sala.
Regia, sceneggiatura, cast. Basterebbe citare la sola serie The Wire, forse il picco massimo raggiunto in tv, per evidenziare quanto, per complessità e coralità strutturale, non sia seconda a nessun prodotto cinematografico di qualità.

È il caso anche di Wallander, mini-serie inglese di tre episodi da circa 90 minuti l’uno, prodotta dalla BBC, tratta da altrettante opere del maestro del thriller Henning Mankell. Ognuno dei tre film – questa, a conti fatti, è la natura degli episodi – è gestito con cura particolare, e mostra una ricchezza spaventosa in fase di sceneggiatura.

Gli script, complessi, ponderati, donano ai vari personaggi una tridimensionalità che nulla toglie, ma anzi, per certi versi molto aggiunge agli scritti del novelliere svedese. C’è attenzione e oculatezza nella stesura dei dialoghi e nella definizione delle psicologie, e il meccanismo narrativo, che si sporca ora di giallo puro ora di thriller, arpiona la mente dello spettatore.

Rispetto ai romanzi, è il ritmo a venire modificato e rallentato a dismisura. Laddove Mankell aggancia gli occhi del lettore con frasi brevi e supersoniche, che creano momenti di grande e costante adrenalina, Philip Martin dona al suo Wallander uno scenario lento, lentissimo, dove le scene d’azione sono rare parentesi, più che altro necessarie alla trama.

L’atmosfera è così densa, piena, carica di emozione e sofferenza, e viene resa ancora più credibile grazie alla prova straordinaria, davvero straordinaria, di un Kenneth Branagh che sembra nato per interpretare Kurt Wallander. I suoi sguardi, le sue espressioni, i suoi cenni, i suoi stupori, i suoi affanni, i suoi dolori corrispondono a momenti di spiccata intensità, che torce lo stomaco per la genuinità della prova dell’attore/regista inglese.

Dei tre film, mediamente ottimi per idee, resa visiva, recitazione e musiche, forse Muro di Fuoco si adagia un gradino sotto gli altri due per una concessione maggiore, a livello di trama, all’esagerazione hollywoodiana (troppe coincidenze, troppi incastri, troppe forzature). Ma questo non guasta comunque l’omogeneità della serie, che in La Falsa Pista e soprattutto in Delitto di Mezza Estate mostra personaggi pregevoli, macchinazioni ottimamente congegnate e sempre un superbo, strabiliante Kenneth Branagh, vero trascinatore di questi 270 minuti.

Da vedere, per lasciarsi ammaliare e, per chi possedesse questa lacuna, aver la possibilità di incuriosirsi e conoscere così uno dei più grandi e prolifici scrittori degli ultimi anni.

3 commenti:

  1. Ok. Ma costume in che senso?
    Da bagno?
    O tipo il killer c'ha un'ossessione per Arlecchino, Balanzone e compagnia bella?

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  2. Costume da bagno femminile intero, chiaramente. Non ha tutti i torti. Lo aiuterei anch'io.

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  3. Kenneth Branagh e' nato per interpretare Wallander...poi io ho una passione veramente smodata per Branagh e credo sia uno degli attori piu' splendidi che siano mai esistiti!!!!

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