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Zombie Strippers

By Simone Corà | martedì 14 ottobre 2008 | 00:38

2007, USA, colore, 91 minuti
Regia: Jay Lee
Sceneggiatura: Jay Lee
Cast: Robert Englund, Joey Medina, Jenna Jameson, Roxy Saint

In un futuro non troppo lontano, per far fronte alle numerose guerre, uno scienziato crea un siero che permette ai soldati morti di tornare in vita e continuare a combattere. Ma, a causa di un errore umano, nel centro di ricerca scoppia presto un’epidemia di zombie. Chiamati i marines per sistemare il problema, uno di loro viene morso accidentalmente e, una volta fuggito, si rifugerà in un locale di spogliarelli, contagiando le ballerine una dopo l’altra.

Coniugare l’horror e l’umorismo demenziale, in tempi recenti, comporta una serie di precauzioni necessarie al fine di evitare il rischio di contagi dei vari Scary-Hot-Epic-Whatthefuck-movie, a quanto pare le ultime, disastrose risorse del cinema deficiente. La paura di trovarsi di fronte a pellicole che usano la materia orrorifica solo come specchietto per le allodole (Maial Zombie) è una furberia che mi tormenta e mi conduce a sogni inquieti, e a ogni occasione temo di trovarmi di fronte a imbarazzanti momenti comici che al massimo possono far ridere quindicenni che si accontentano di puzzette e capezzoli.
Non parlo di pellicole culto come Shaun of the Dead, Una de Zombies, Slither e altri deliziosi momenti di humor-splatter, in quanto esempi di cinema raffinato e attento, ben distante dalla caciara demenziale a cui invece appartiene Zombie Strippers.
E lascio fuori dal pistolotto accusatorio anche la produzione Troma, in quanto considero la prole della fantasia di Lloyd Kaufman un mondo a parte, che non può essere inserito in nessun partiolare filone.
Boh.
Non è una questione di emo-nostalgia che riaffiora quando si parla del genere di appartenza di quello che, a parere di chi scrive, è il più bell’horror di tutti i tempi (il mai troppo osannato Splatters di mr King Kong Jackson), ma una semplice constatazione di quanto sia difficile, ai giorni nostri, rendere interessante un particolare modo di fare cinema.

Okay, prologo lungo.
Ma serviva. Perché Zombie Strippers è una meraviglia.
Non siamo di fronte a un film perfetto, anzi, i defetti sono tanti, grossolani ed evidenti. Ma in fondo è anche grazie a questi se può conservare una genuina aura demenzial-goliardica che brilla di luce propria a ogni centimetro di pellicola.

Jay Lee, one-man-messiah, oberato dalle troppe faccende su cui stampa un autografo (regia, sceneggiatura, produzione, fotografia, montaggio), non è in grado di far fronte a così tanti compiti, e, al di là di una magia narrativa strepitosa, sono inequivocabili molte lacune negli altri ruoli.
Abbiamo infatti a che fare con un montaggio traballante, una gestione di tempi e ritmi altalenante e insufficiente, e una fotografia che mischia tinte fredde e calde creando un’indigestione di colori abbastanza traumatica.

Eppure Zombie Strippers è una sorpresa in più di un’occasione, in virtù proprio di uno script folle e strampalato, ma soprattutto per merito di un campionario di dialoghi eccellenti, tanto cari all’umorismo inglese quanto a quello delirantemente demenziale d’oltreoceano.
I primi dieci minuti sono un incontenibile acquario di battute travolgenti e irresistibili, e devo scavare a fondo nella cameretta dei ricordi per rievocare momenti altrettanti burloni. Cose da mani sulla pancia e lacrime agli occhi, davvero. Il tg che elenca la politica dell’ennesima amministrazione Bush e la marine in gonnella («Gli zombi non ci fanno paura» dice il sergente, «abbiamo visto di peggio. Cos’abbiamo sconfitto, la scorsa volta?» e la marine: «L’Armageddon, signore») rappresentano, senz’ombra di dubbio, quanto di più esilarante abbia visto negli ultimi anni.

Certo, bisogna sopperire a una certa mancanza di logica per digerire tanti momenti dubbiosamente stupidi o tecnicamente impossibili, o anche solo per la zombificazione vista più che altro come vampirismo, ma la freschezza delle idee e l’ingegno con cui prendono vita (lo scontro finale tra le strippers è da antologia) è da premiare.
Così come da premiare è il carisma di un Robert Englund trascinante, tanto meschino e approfittatore quanto spassoso e perfettamente calato nella parte, e la prove sopra le righe di Joey Medina, spumeggiante messicano sfruttato.
Per il resto il cast si rivela di una caratura non particolarmente brillante, ma i personaggi nati dalla fantasia di Lee sono così effervescenti, che le recitazioni si dimenticano facilmente: le spogliarelliste sono infatti spledidamente caratterizzate, e si passa con naturalezza da una novizia fortemente cattolica a una depressa gothic lolita oscura e inaffidabile.

L’unico vero appunto che si può muovere al film è la drastica caduta di verve comica nella parte centrale, quando viene lasciato spazio agli interminaibli spogliarelli delle varie ballerine che lavorano al Rhino (tra le quali anche una certa Jenna Jameson). Per carità, visioni splendide e abbondanti, ma che alla lunga stancano in quanto eccessivamente gratuite e, tolte alcune particolari occasioni, totalmente inutili alla pellicola.

Zombie Strippers: rubatelo, copiatelo, scaricatelo. Fatelo! Bisogna diffondere il verbo.

They’re zombies.
No, they’re strippers.
Thery’re zombie strippers.

1 commenti:

  1. Si è vero!
    Il film è figo con qualche "strano" difetto (per esempio all'inizio ho quasi avuto sensazione di film amatoriale) qua e la.
    Fighi i personaggi che sono appunto il pezzo forte di questo film!
    Ciao!

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