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Chiaro di Lama, di Stefano Borghi e Gaia Conventi

By Simone Corà | lunedì 30 giugno 2008 | 17:22

EdiGio’
84 pag
7 €

A poco tempo dal precedente Sulfureo, Racconti in Giallo e Nero, la premiata ditta Borghi & Conventi si ripresenta con una nuova raccolta, contenente quattordici racconti, brevi o brevissimi, che spaziano agilmente dal noir all’horror (e senza alcun taglio ironico, come invece dice la bio a fine volume).

Se si dovesse ricorrere a un aggettivo per dare una descrizione sintetica dell’opera, sarebbe facile scegliere ‘velocità’ o qualche sinonimo dello stesso peso. Perché 84 pagine, specie se formate da una serie di raccontini semplici e lineari, si leggono rapidamente in un’oretta. Lettura di puro intrattenimento, quindi, senza sbandirementi psicologici o introspezioni chirurgicamente sociali.

Le trame, quasi tutte raccontate in prima persona, puntano molto sul copo di scena finale, con relativo ribaltamento della situazione iniziale. Alcuni racconti riescono a brillare per l’idea, abilmente sconvolta dalla conclusione, efficace e puntuale, mentre altri non sempre riescono a centrare il bersaglio, a causa anche di una certa prevedibilità dovuta, man mano che si avanza nella lettura, all’attesa della rivelazione finale che cambierà le carte in tavola.
La Donna Perfetta, La mia Passione per Claudia e Voodoo sono sicuramente i racconti migliori, dove l’intreccio viene presentato a poco a poco e sfocia in un ottimo capovolgimento finale, ben costruito e inaspettato. In altri, invece (Caro Sig. Franco, La Foto sul Giornale, Un Faro nel Vuoto), la trama appare poco incisiva, e l’effetto sorpresa, che dovrebbe polverizzare l’ordinarietà iniziale, mostra esattamente ciò che ci si aspettava.

Piace la scorrevolezza e la fluidità, sintomo di schiettezza (che in fondo alla narrativa fa sempre bene); un po’ meno un certo libero futurismo nell’uso della punteggiatura. Sarebbe stato necessario un editing molto più graffiante e incisivo, che spazzasse via indecisioni e frasi sbilenche (a volte si ha l’impressione che l’antologia sia stata scritta nello stesso tempo che si impiega a leggerla). Editing che comunque dovrebbe già nascere dal lavoro di coppia, ma che invece non sempre sembra essere presente.

Dispiace infine per la poca cura riposta nell’impaginazione: Edigio’ avrebbe dovuto fare molta più attenzione a questo particolare, onde evitare aspetti sgradevoli alla vista (come i rientri, che vanno e vengono, caratteristica che, ahimè, si può constatare, con tanto di caratteri grandi, anche sul retro del volume).

A ogni modo, la lettura è comunque piacevole, specie nella prima parte della raccolta, ed è giusto dar loro una chance e un sei d’incoraggiamento. Ora li aspettiamo per la terza manche, magari con qualcosa di più lungo e personale, che mostri un vero affiatamento in fase di stesura.

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