Un uomo segregato in casa e la sua muffa
parlante nel bagno. Tra follie e
allucinazioni, un film per stordirsi di brutto
In un’epoca dominata dalla nostalgia
cinematografica, un film come Motivational Growth è un po’ una mosca bianca. Nel suo frullato di cultura pop e nerd
anni Ottanta, ricco di tentazioni mostruose e con una colonna sonora
interamente a 8 bit, sembra invece del tutto indifferente alla riproposizione
di schemi preferendo un approccio esageratamente virtuosistico, estremamente
personale e meravigliosamente caotico allo studio di una mente emarginata.
L’esordio di Dan Thacker, che scrive, dirige e monta tutto da solo, è un
lunghissimo, spossante ed estremo viaggio nel cervello febbricitante di un
solitario, un uomo depresso e solitario che vive di televisione e junk food, e
tutta la sovrastruttura eighties diventa strumento per un bombardamento di
immagini e colori che forse nessun altro periodo storico avrebbe potuto sganciare
con questa intensità. Ian (o forse Jack, non sapremo mai il suo vero
nome/personalità perché anche lui dubita di sé stesso) è lo stereotipo maschile
del reietto, un puzzone che non si lava né esce di casa da anni, e quando la tv
si rompe la sua razionalità inizia a vacillare. O forse si rende conto per la prima volta che nella sua testa c'è
qualcosa che non va.
Una muffa senziente (con Jeffrey Combs a darle voce) gli dà istruzioni su come vivere meglio (o forse peggio?) la vita, gli fornisce cibo attraverso spore e funghi che a sua volta Ian (o forse Jack) rigetta per nutrire la muffa stessa, e gli disgrega lentamente ogni tassello del reale.
Una muffa senziente (con Jeffrey Combs a darle voce) gli dà istruzioni su come vivere meglio (o forse peggio?) la vita, gli fornisce cibo attraverso spore e funghi che a sua volta Ian (o forse Jack) rigetta per nutrire la muffa stessa, e gli disgrega lentamente ogni tassello del reale.
Un film ostico, eccessivamente parlato con deliri
farciti di dialoghi ricchissimi e complessi e jibber jabber sconclusionati,
pieno di filosofia e interrogativi esistenziali ma anche colmo di
schizofrenetiche baggianate, sicuramente compiaciuto e lessicalmente esagerato
ma che proprio nella sua pesantezza (voglio credere appositamente costruita)
sfibra chi guarda attraverso immagini pop che martellano il cranio, sprazzi
d'animazione, parentesi pubblicitarie e molti altri mezzi furiosi utili a
destabilizzare e friggere lentamente il cervello, mentre Ian (o forse Jack)
scambia il reale con il sogno in un'incessante allucinazione.
L’unico scenario è un appartamento
disgustoso e marcio, e la muffa senziente vive in un angolo del bagno, forando
le parete e allungando i suoi tentacoli per controllare il territorio. Nei suoi
scambi con Ian (o forse Jack) non manca una generosa, davvero generosa componente
gore e nauseante, tra improvvise mutilazioni, getti di sangue, cadaveri
putrescenti, brufoli enormi e secchiate di vomito. Questo non è un monster
movie, sebbene ne abbia tutte le caratteristiche, ed è abbastanza chiaro come
la dissociazione mentale di Ian (o forse Jack) renda tutto il film un abbaglio
viscerale e stomachevole, dove l’unica concretezza è la totale follia, ma è in
grado di spiazzare in ben più di un’occasione con poderose concessioni
prettamente horror da appalusi, tra omicidi, arti che esplodono, tentacoli
affamati e parecchie oscenità deformi.
Purtroppo un film potenzialmente indigesto, che aveva
bisogno di qualche taglio e una maggior concessione al raziocinio per
abbracciare un pubblico maggiore, anche per semplice curiosità. Rimane una
chicca indie, destinata al facile dimenticatoio, ma un film-esperienza difficile da dimenticare per chi avrà il coraggio di provare.
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