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Motivational Growth (2013)

By Simone Corà | martedì 8 agosto 2017 | 11:03

Un uomo segregato in casa e la sua muffa parlante nel bagno. Tra follie e allucinazioni, un film per stordirsi di brutto                  

In un’epoca dominata dalla nostalgia cinematografica, un film come Motivational Growth è un po’ una mosca bianca. Nel suo frullato di cultura pop e nerd anni Ottanta, ricco di tentazioni mostruose e con una colonna sonora interamente a 8 bit, sembra invece del tutto indifferente alla riproposizione di schemi preferendo un approccio esageratamente virtuosistico, estremamente personale e meravigliosamente caotico allo studio di una mente emarginata. L’esordio di Dan Thacker, che scrive, dirige e monta tutto da solo, è un lunghissimo, spossante ed estremo viaggio nel cervello febbricitante di un solitario, un uomo depresso e solitario che vive di televisione e junk food, e tutta la sovrastruttura eighties diventa strumento per un bombardamento di immagini e colori che forse nessun altro periodo storico avrebbe potuto sganciare con questa intensità. Ian (o forse Jack, non sapremo mai il suo vero nome/personalità perché anche lui dubita di sé stesso) è lo stereotipo maschile del reietto, un puzzone che non si lava né esce di casa da anni, e quando la tv si rompe la sua razionalità inizia a vacillare. O forse si rende conto per la prima volta che nella sua testa c'è qualcosa che non va.
Una muffa senziente (con Jeffrey Combs a darle voce) gli dà istruzioni su come vivere meglio (o forse peggio?) la vita, gli fornisce cibo attraverso spore e funghi che a sua volta Ian (o forse Jack) rigetta per nutrire la muffa stessa, e gli disgrega lentamente ogni tassello del reale.

Un film ostico, eccessivamente parlato con deliri farciti di dialoghi ricchissimi e complessi e jibber jabber sconclusionati, pieno di filosofia e interrogativi esistenziali ma anche colmo di schizofrenetiche baggianate, sicuramente compiaciuto e lessicalmente esagerato ma che proprio nella sua pesantezza (voglio credere appositamente costruita) sfibra chi guarda attraverso immagini pop che martellano il cranio, sprazzi d'animazione, parentesi pubblicitarie e molti altri mezzi furiosi utili a destabilizzare e friggere lentamente il cervello, mentre Ian (o forse Jack) scambia il reale con il sogno in un'incessante allucinazione.
L’unico scenario è un appartamento disgustoso e marcio, e la muffa senziente vive in un angolo del bagno, forando le parete e allungando i suoi tentacoli per controllare il territorio. Nei suoi scambi con Ian (o forse Jack) non manca una generosa, davvero generosa componente gore e nauseante, tra improvvise mutilazioni, getti di sangue, cadaveri putrescenti, brufoli enormi e secchiate di vomito. Questo non è un monster movie, sebbene ne abbia tutte le caratteristiche, ed è abbastanza chiaro come la dissociazione mentale di Ian (o forse Jack) renda tutto il film un abbaglio viscerale e stomachevole, dove l’unica concretezza è la totale follia, ma è in grado di spiazzare in ben più di un’occasione con poderose concessioni prettamente horror da appalusi, tra omicidi, arti che esplodono, tentacoli affamati e parecchie oscenità deformi.


Purtroppo un film potenzialmente indigesto, che aveva bisogno di qualche taglio e una maggior concessione al raziocinio per abbracciare un pubblico maggiore, anche per semplice curiosità. Rimane una chicca indie, destinata al facile dimenticatoio, ma un film-esperienza difficile da dimenticare per chi avrà il coraggio di provare. 

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