Tra Metallica e Pantera, il ritorno di Sean Byrne è il film più metal
dell’anno. Per un po’ di sano headbanging soprannaturale.
Abbiamo atteso così tanto il ritorno di Sean Byrne dopo l’exploit di The Loved Ones,
che credo un po’ tutti si aspettassero un film mastodontico come il precedente,
in grado di affrontare con le stesse profondità e imponenza il significato di
torture e violenze. E invece The Devil’s Candy è un lavoro di una semplicità incredibile, una storia che risponde a
una struttura così essenziale in un modo del tutto sconosciuto dai tanti
colleghi, così impegnati in rese visive e sovrastrutture da dimenticare
l’efficacia della più fondamentale genuinità. Non è una questione di
immobilismo, di refrattarietà o di quell’aspetto rudimentale che può spaventare
molta gente, io per primo, di fronte a film che proprio sull’essenzialità
costruiscono una complessità e uno spessore incomparabili: The Devil’s Candy è chiaro, snello, va da un punto A a un punto B
mettendo subito in evidenza personaggi, vicende e motivazioni, senza richiamare
misteri o colpi di scena che sarebbero potuti apparire superflui o, peggio
ancora, artificiosi.
Non che questa limpidezza trasformi il film in
qualcosa di innovativo, ma gestire una materia così basica e saperla rendere
comunque interessante è un’operazione risolvibile solo con grande sicurezza e
piena gestione dei mezzi a disposizione. Primo fra tutti, l’utilizzo dell’heavy
metal in una sua espressione, per una volta tanto, che non serve a disegnare
determinate atmosfere o precisi personaggi, facendo leva su quell’aspetto
musicale che diventi giustificazione della storia, ma che invece fa parte della
quotidianità di una famiglia normalissima che, a differenza di ciò che si può
oggigiorno ritenere normale, trova nel metallo un normalissimo piacere
culturale. E se quindi papà Jesse mette su un disco dei Pantera, non lo farà
per evidenziare una particolare scena o per suggerire determinate emozioni
(cosa che comunque succede lo stesso, è inevitabile ma prezioso allo stesso
tempo), ma perché questo è un aspetto fondamentale del legame con sua figlia Astrid,
fatto di headbanging, air guitar e salti sul letto, e proprio su questo legame
si basa il fulcro del film.
L’affetto che li incatena l’uno all’altra è
schietto e leale (e metal), Ethan Embry e Shiri Appleby lo esprimono
sinceramente, di pancia, e c’è così tanto amore in ogni abbraccio che nei
casini combinati da Jesse è facile rimanerci davvero male, come se il torto
fosse stato commesso personalmente. Credo che Byrne abbia fatto uno splendido
lavoro nel ritrarre il vincolo padre-figlia in una maniera buona e autentica,
pur nella sua singolarità. Anche qui, un passaggio semplice sulla carta, ma
difficile da costruire, perché si basa su facili sorrisi e improvvise,
terribili sottrazioni.
Le mancanze di Jesse non dipendono da suoi
problemi o da quei traumi che inevitabilmente colpiscono sempre le famiglie
cinematografiche perbene, è l’elemento soprannaturale che lo ferisce e gli
ottura il cervello confondendogli il presente. È una sensazione malvagia,
un’essenza impalpabile, che forse scaturisce da Ray, villain memorabile, tanto
puro quanto abominevole (ancora semplicità, difficile da gestire), che ha preso
di mira Astrid e nessuno può mettersi sulla sua strada. O forse viene colta da
Jesse stesso, che la trasmette ai suoi dipinti, con pennellate oscure e feroci
che disegnano scenari infernali di bambini che piangono avvolti tra le fiamme,
disintegrando progressivamente non solo il legame con la figlia ma anche un
rapporto di coppia, anche qui, che non si basa mai su problemi insormontabili,
scontri e lesioni, ma su una semplice ordinarietà dove le vere difficoltà della
vita normale possano emergere.
Un killer spietato che vuole sacrificare una
ragazzina, e un padre disperato che deve fermarlo: tolto il bell’aspetto umano,
The Devil’s Candy è in fondo tutto
qua. Con una grande colonna sonora metallica che parte dagli Slayer e arriva ai
primi Metallica, passando per il drone dei Sunn0))). Chitarre grintose, voci
aspre e ambient spettrale, perfette contusioni per dipingere un film da vedere.
Semplice ma potente, diretto come un pugno in pancia: il bel cinema horror deve essere anche questo, non solo cervellotici giri intorno al mondo. Un'adorabile perlina oscura, fatta di attori bravissimi e un ottimo regista :)
RispondiEliminaVero. Un film come questo dovrebbe avere spazio nelle sale e la possibilità di abbracciare un grande pubblico, la sua sarebbe una formula perfetta. :)
EliminaPer me il finale è la giusta conclusione: è semplice, pulita e molto, molto azzeccata, perché anche se banale è fatta così bene, nei tempi e nello svolgimento, non c'era bisogno di altro.
RispondiEliminaE speriamo sì di non dover aspettare altri otto anni per il prossimo film di Byrne!
Scusa l'intromissione, ma premio per te sul mio blog!
RispondiEliminaGrazie per il pensiero! :)
Eliminavisto, mi è piaciuto... mi è piaciuto tanto ^_^
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