In cui finalmente anche Midian scrive del probabile meglio film del 2016
Ho un problema con i film di grosso calibro.
Mi è capitato per The Babadook, per Honeymoon,
per It Follows e per The Invitation, e ora succede ancora per
The Witch. Entro in uno stato
unicellulare che sgretola ogni pensiero logico e rilascia al massimo qualche
balbettio, perché di fronte a colossi che scardinano l’horror così come lo
conosciamo e lo reinventano, gli danno nuovo slancio, lo triturano per una
nuova riformulazione che possa fungere da carburante per mille altri progetti
innovati, le parole vengono meno ed più facile consigliare un “guardatelo” che
spendere tempo su frasi e costrutti in fondo già espressi da mezzo internet.
Ma è inutile nascondersi dietro lacune e
impreparazioni, un blog ftaghn come questo vive nell’attesa di film così
potenti e totali, e anche se si arriva tardi, quando ormai mezzo internet ne ha
già ampiamento discusso e metabolizzato, è importante scapocciarsi per
sottolineare le ovvietà di una bomba atomica come l’esordio di Robert Eggers.
Eggers viene dai costumi e ha quindi un
approccio ai dettagli diverso da un raccontastorie: la sua è un’arte che deve
far emergere sensazioni attraverso tessuti e colori, e The Witch è imbevuto da una parte di stoffe che trasudano
sporcizia, dolore, fatica e disgrazia, e dall’altra da colori grigi e mortiferi
che appesantiscono ancora di più ogni dispiacere.
Tutto è buio, nuvoloso, pallido, non ci sono
sprazzi di luci nel cielo o colori che possano spuntare tra le vesti di una
famiglia inglese che, nel lontano 1630, sceglie di allontanarsi dalla comunità
di pellegrini del New Egland e di provare a vivere in autonomia nei pressi di
un bosco.
Ma il bosco, si sa, è sinonimo di molte cose,
spesso maligne, è custode di segreti terribili e inquietudini innominabili, ed
Eggers non perde molto tempo (gli bastano più o meno cinque minuti di film) a
informare tutti che, sì, proprio in quel bosco vive una strega, una vecchia
fattucchiera in carne, pelle e ossa, lei e le sue magie, lei e i suoi incanti
demoniaci, lei e la sua fame di carni tenere.
Pochissimi istanti, quelli di un gioco innocuo,
e il fratellino di Thomasin, appena un infante, svanisce, scompare, è solo un
ricordo. Di lui abbiamo immagini feroci, coltelli che aprono la carne e sangue
usato per lavare un corpo scheletrico, spigoloso, malvagio. Poi, basta, rimane
il dolore.
Dunque, la strega è reale, la sua è una presenza
concreta, seppur avvolta da un fumo sulfureo sparge una soprannaturalità che
contagia come una malattia tutto quanto, eppure Eggers, invece di giocare su
toni più comodi e di facile presa orrorifica, utilizza mezzi molto sofisticati
per sottolineare l’orrore, un orrore che rimane costante dall’inizio alla fine
nonostante le sue forme più sottili e perturbanti.
A farne le spese è soprattutto Thomasin, la
figlia più grande, ancora adolescente ma già adulta per accogliere verbosità
religiose e insegnamenti rigorosi: la ferrea impostazione cristiana suggerisce
che, in quanto femmina, sia corpo ideale per accogliere il demonio, e su di lei
ricadono le prime accuse feroci. Ma Thomasin non ci sta e, seppur schiacciata
dalla meccanica religiosa, rilancia, reagisce, indaga, cerca prove che
l’ignoranza in cui cresce non può fornirle, ne trova altre, incastra tasselli,
lotta furibonda per inforcare il demonio con le sue stesse armi.
La bontà mefistofelica di The Witch risiede proprio nella combo di caratteri scolpiti da
regole divine severissime e nelle loro reazioni al serpente che si insinua nel
gregge.
Il bisogno di chiedere perdono del fratello più
piccolo nonostante la situazione in cui si trovi; il senso di colpa del padre
per aver permesso che l’amore per i figli e per la famiglia lo portasse a
mentire; la devastazione di Katherine, che non sa chi incolpare per la morte
del figlio; e il gioco infido dei giovanissimi Mercy e Jonas, che forse parlano
con gli animali o forse si inventano solo storie cattive.
Lo stremo con cui questa semplice famiglia
povera e devota coltiva personalmente il divino e vi si aggrappa nonostante le
risorse inesauribili del maligno, alimenta ancora di più l’esplosione viscerale
che subisce, una serie di scoppi interni che la demolisce istante dopo istante,
privandola di ogni appiglio reale.
Il male viene iniettato a inizio film e per
buona parte di quanto rimane si può assistere ai suoi effetti mostruosi: il
disagio causato dai litigi dei genitori (per una volta profondi e plasmati su
argomentazioni colme di sofferenza), le polemiche che si creano a causa dei battibecchi
tra bambini (insinuazioni fastidiose e stuzzicanti come solo quelle maliziosamente
pure dei più piccoli possono essere) e il tira e molla a cui soccombe il padre
nel tentativo di ascoltare tutti i componenti della sua famiglia, sono tutti
esempi del gran carattere del film, che non ha paura di osare su strati e
strati dialogici (lo sapevate che usano una terminologia antica?, forse lo
avete letto in qualche altra recensione, forse eh) per poi accoltellare con
irruzioni allo stesso tempo tempestose e di incredibile fascino.
Le scorribande del caprone, oppure l’invito
della strega nella sua forma più avvenente, o ancora il pasto nella stalla sono
sequenze che qualsiasi altro horror avrebbe trasformato in bordate sonore utili
ad accontentare il pubblico meno esigente, e invece Eggers gonfia ogni
atmosfera di grigiore e disperazione e tensione e paura, dando vita a
implosioni silenziose di fino, finissimo terrore.
L’orrore quindi viene trasformato e,
spogliandolo degli orpelli più superflui, smussandolo dagli spigoli più
bruschi, Robert Eggers lo ripropone in una forma primordiale che trabocca di
apprensione e angoscia.
Ancora presto per parlare di horror dell’anno o
meno, magari vediamo come vanno i prossimi mesi e cosa riserverà la
scorpacciata halloweeniana, ma per il momento ci sono ben pochi rivali.
Probabilmente non si tratta neppure di un horror come intendiamo il genere solitamente, è più una storia nera tradizionale che ha le proprie radici nei racconti popolari e nelle favole dei grimm, ma concordo, bella recensione :)
RispondiEliminaGrazie!
EliminaPerò, mmmh, no, io non sono d'accordo, per me è un horror pieno e puro, c'è il dimonio, le streghe, magia nera, culti, riti, possessioni, animali che fungono da manifestazione del maligno... insomma, per me è zeppo di elementi soprannaturali e legati alla cultura satanica. E per di più ha un'atmosfera pazzesca che crea una tensione e un'inquietudine terribili. :)
Troppi caproni per i miei gusti :)
RispondiEliminaMi ha messo abbastanza strizza
Sì, il capro ha il suo fascino malvagio e a capo della combriccola di animali mette molto malessere
EliminaPrima di parlarne anche io devo rivederlo, per ora ritengo sia uno dei migliori horror degli ultimi anni ma c'è qualcosa che mi mette a disagio, sia nel "giudicarlo" che nel parlarne... Ah, visto che lo nominavi mi sono letto anche la recensione di The Invitation e me lo guarderò sicuramente.
RispondiEliminaEhilà! :-D
EliminaCredo sia quella sensazione a renderlo un film così potente, è un malessere che rimane attaccato dall'inizio alla fine e poi fai fatica a lavarlo via.
Un film non perfetto, ma decisamente interessante, che rivitalizza alla grande il concetto di strega.
RispondiEliminaPromosso, per me.
Ford addirittura d'accordo su un horrorone di grosso calibro! Non accadeva dal '65! :-D
EliminaBellissimo, bellissimo film, che ho recensito con vero amore traboccante. Concordo con la tua recensione. Completamente. Alleluja :)
RispondiEliminaE nient'altro da aggiungere :)
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