Dall'Irlanda i folletti più cattivi e feroci mai visti
Della scorpacciata di Halloween credo
rimarrò con un ricordo particolare di The Hallow, forse perché arrivato silenzioso, inatteso, di certo senza alcun
strascico pubblicitario o di rimbalzo blogosferico come accaduto per tanti
colleghi (anche un po’ immeritevoli, come l’insignificante Tales of Halloween, che
immagino essere stato l’unico ad
aver profondamente odiato, ma va bene, è giusto anche così), per di più spinto,
come unica arma, da una locandina terribile che ne appiattisce la potenza
orrorifica e la traveste da qualche tono fiabesco e vagamente infantile.
In realtà il trailer è una botta feroce e
di grande atmosfera, e pur sapendo come una prima idea possa facilmente essere
scardinata, si intuiscono già la
robustezza e la solidità dell’esordio di Corin Hardy, che piomba dal nulla e si
guadagna, per quello che può valere, uno dei primi posti nei miei preferiti di
quest’anno abbondante e ancora succoso.
Perché le sue molle sono uno spunto
iniziale tanto semplice quanto perfetto, gestito con grande esperienza nel
dosare informazioni e spiegazioni, e un ritmo forsennato in quella che, a conti
fatti, è la parte più rocciosa e prorompente del film.
Per almeno 50 minuti i due poveri
protagonisti corrono, scappano, si rifugiano, combattono come possono e quindi
tornano di nuovo a correre e a scappare dalla minaccia del bosco, situazione
che spiegata in questi termini forse incuriosisce poco o comunque non trasmette
lo stesso influsso esercitato da Hardy, ma che si può percepire al volo non
appena la vicenda arriva al suo punto di svolta.
Sarebbe comprensibile un timore circa una
struttura portante e l’intelaiatura della narrazione, premere l’acceleratore
può essere d’aiuto ma non salverebbe un film mediocre – ma che Hardy sia
all’esordio non compromette in alcuna maniera il risultato finale, le ingenuità
che appaiono svaniscono subito dopo grazie al motore disperato che muove Adam e
Claire, momenti di improvvisa imbecillità come le cellule tentacolari che
aggrediscono l’ospite in real time al microscopio (davvero, in quel momento ho
temuto il peggio ma poi il film si assesta e ingrana la marcia giusta), o anche
la banale e insensata chiusura dei primi titoli di coda, vengono stritolati
dalla naturalezza e dalla intelligenza con cui è innescata la carica esplosiva.
Sarebbe infatti difficile per un film
americano caratterizzare in questa maniera i due protagonisti, isolarli dalla
società e sbatterli contro l’orrore necessiterebbe di traumi e problemi
personali che invece Adam e Claire tutto sommato non hanno, salvo l’ordinaria selva
di pensieri che ha qualsiasi famiglia: “dottore degli alberi” lui, neo mamma
lei, pensano a questa nuova casa al confine con i boschi irlandesi crescendo il
piccolo ancora in fasce ma senza per questo negarsi un po’ di relax fumoso con
una colonna sonora che, tra reggae e punk, è quanto di più anomalo abbia
sentito ultimamente nell’horror.
Insomma, la quotidianità ancora una volta
è la carta vincente da giocare, e quando l’orrore striscia nelle loro vite è
molto, molto più facile empatizzare e tifare per la loro sopravvivenza. E allo
stesso medo è parecchio più doloroso soffrire per le vicende che li travolgono,
con la stessa naturalezza che contraddistingue entrambi: gli eventi innescati dopo
il rapimento del piccolo sono amari ma permettono a marito e moglie di
esprimere con una sincerità commovente tutto l’amore che li lega.
D’altronde Hardy suggerisce l’orrore in
poche fasi ma molto ben distinte, una in particolare (gli avvertimenti del
vicino e in generale gli sguardi biechi dei paesani) è un punto fisso di certo
cinema del terrore ma la progressione di avvenimenti singolari è credibile ed
efficace, i fatti accadono puntuali e subito compromettono la stabilità
giornaliera causando ulteriori situazioni problematiche, ma la normalità è
sempre vicina ed è ancora facile aggrapparvisi per respingere il soprannaturale.
Che la marcia horror sia così elementare
alla fine non ha motivo di allarmare, pescare dalla tradizione e dal folklore è
cosa buona e giusta se al mito viene tolto lo smalto potenzialmente diseneyiano
in favore di un volto crudele e totale come invece è giusto presentarlo, e
infatti i folletti di The Hallow, se
così possiamo chiamarli, sono brutali, violenti, maligni, spietati, veri e
propri mostri che si muovono in branco con un unico scopo: portare a compimento
il rapimento del figlio degli Hitchens scambiandolo con un Changeling.
The
Hallow diventa così un horror pieno, un film di mostri, che dalla
tradizione prende solo quello di cui ha bisogno, quell’atmosfera perturbante
che rinvigorisca la crudeltà del popolo del bosco: gran parte della pellicola è
infatti dominata da mutazioni e trasformazioni, da liquidi viscosi che causano
alterazioni corporee, da artigli e articolazioni complessi, da volti deformati
e mostruosità carnose che non sarebbero dispiaciute a un Barker essenziale.
Al resto pensa uno scenario meraviglioso
fatto di boschi in notturna, fango ed erba bagnata, freddo e disperazione, e
credo non sia da sottovalutare la possibilità di una lacrima finale per l’intensità
delle ultime fasi della corsa.
Ne ho già letto bene da Frank, e la tua recensione alza l'hype a mille.
RispondiEliminaSpero di vederlo entro il weekend.
Vai sicuro, gran film, uno degli horror dell'anno :)
EliminaA me è piaciuto molto il richiamo alla fiaba, ma quella vera, quella malsana e cupa. E soprattutto il non perdere tempo, il proiettare subito personaggi e spettatori nella vicenda. Sicuramente uno dei film dell'anno, anche secondo me!
RispondiEliminaVero, il tema fiabesco c'è tutto ma è mostruoso, ripugnante e realmente orrorifico, è una cosa che colpisce molto perché non c'è un momento uno in cui questo aspetto abbia qualche cedimento :)
EliminaGrazie Simone, lo vedrò :)
RispondiEliminaDevi, perché questo merita davvero tanto :)
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