E fu così che Bustillo e Maury ritrovarono la violenza degli esordi. O così dicevano.
Dopo un pasticcio scentrato e senza direzione come Livide, Bustillo e Maury non devono aver perso troppo tempo dietro interrogativi e riflessioni, se arrivano in un paio d’anni a realizzare che l’unica cosa alla loro portata è un brusco dietrofront forse sono già a brutti ferri corti e, boh, per me una scelta del genere al terzo film è faccenda piuttosto seria.
Dopo un pasticcio scentrato e senza direzione come Livide, Bustillo e Maury non devono aver perso troppo tempo dietro interrogativi e riflessioni, se arrivano in un paio d’anni a realizzare che l’unica cosa alla loro portata è un brusco dietrofront forse sono già a brutti ferri corti e, boh, per me una scelta del genere al terzo film è faccenda piuttosto seria.
Lo shock viscerale di A L’interieur pulsa
ancora sangue francese come pochi altri prodotti, e pur trattandosi in fondo di
opera di poco valore e che, salvo ovvi tratti caratteristici, si dovrebbe
facilmente dimenticare, era naturale che i due, invece di esplorare nuovi
territori come avevano fatto proprio con quel pessimo, eppure molto coraggioso,
secondo lavoro, tornassero sui loro passi pur senza mettere da parte quei
piccoli risultati guadagnati.
Ma il racconto di formazione, così come
accadeva in Livide, non è proprio
alla loro portata: maneggiare caratteri giovani e imprimere sullo schermo
energia, entusiasmo, ingenua simpatia e impavido carisma non è palesemente cosa
per due macellai che sono e saranno sempre ricordati per quelli di una certa scena
con una donna incinta e una forbice. Certo, in Livide oltre ai personaggi mancava anche la storia (o era stata
scritta su uno scontrino che poi avevano sbriciolato e rimesso insieme con un
po’ di scotch, non saprei), e in Aux Yeus des Vivants, o Among the Living per essere un po' più internazionali, forse per fare prima e andare sul sicuro l'intreccio viene del
tutto estirpato per un gioco al massacro che però, sorpresa!, è così timido e
trattenuto che per molto tempo sembra di trovarsi di fronte a un innocuo PG13.
Voglio dire: violenza fuori campo, scene
che si interrompono al momento della morte, suoni su sfondo bianco! Da non
credere.
Tre ragazzini scoprono per caso il
nascondiglio di un umanoide violentissimo e ne pagano le conseguenze, e questo è
lo spunto che potrebbe essere funzionale e addirittura succoso pensando a
quanto feroci possano essere queste conseguenze, ma che in realtà non ha modo
di imprimersi né per questo falso ritorno splatter né tanto meno per una
necessaria struttura iniziale che dia qualche sostanza al film. Non basta
elencare un paio di problemi a scuola per costruire uno sfondo sociale a tre
protagonisti incolori, e il richiamo a Stand
by Me e simile ingegno generazionale ne esce calpestato per colpa di
categorizzazioni senza spina dorsale e cliché che potevano puzzare di vecchio
anche vent’anni fa.
Il sogno erotico della baby sitter, il
padre violento e ingombrante e la famiglia perbene sono punti di partenza
davvero poco interessati se tutto ciò che sappiamo di questi ragazzi è proprio questo: sogni, aspirazioni, passioni,
hobby, modi di fare, caratteristiche e caratteri sono appiattiti da una
schematicità iniziale che non dà speranze, non ci sono differenze, sono solo
tre adolescenti un po’ sfigati di cui uno è cattivo perché il papà gli dà le
botte. Nient’altro, davvero.
A dire il vero un’intuizione c’è, la strutturazione in tre segmenti differenti, ognuno con protagonista un ragazzo che se la deve vedere più o meno singolarmente con la creatura semi-immortale, è fattore indovinato e con una buona marcia: Bustillo e Maury hanno grande senso del ritmo e costruiscono tensione a strati, ma non è novità che la messa in scena sia tecnicamente brillante, e di certo non è sufficiente se l’unico appiglio è una già collaudata eleganza visiva che poggia su uno degli abissi peggiori mai visti.
A dire il vero un’intuizione c’è, la strutturazione in tre segmenti differenti, ognuno con protagonista un ragazzo che se la deve vedere più o meno singolarmente con la creatura semi-immortale, è fattore indovinato e con una buona marcia: Bustillo e Maury hanno grande senso del ritmo e costruiscono tensione a strati, ma non è novità che la messa in scena sia tecnicamente brillante, e di certo non è sufficiente se l’unico appiglio è una già collaudata eleganza visiva che poggia su uno degli abissi peggiori mai visti.
A tratti sembra che i due registi siano
stati pilotati e controllati per seguire una direzione di mediocre e inutile
finta cattiveria per accontentare quel pubblico medio che, tra tutti, è però quello
a cui meno può interessare un film di questo tipo. Non c'è dubbio che una spinta produttiva abbia annacquato e ammorbito certe intenzioni, anche il crowfounding fortunato istituito dai due registi fa pensare a una libertà artistica ben diversa.
Perché una volta innestata la quinta, con il survival che finalmente si fa pesante, appaiono le stangate sanguinarie che era lecito attendersi o che comunque la pellicola preannunciava dall’inizio. Non c’è molto, ma è un bel gruzzoletto di brutalità con braccia spezzate e crani spappolati che non farebbero grande differenza se non dipendessero dai movimenti sproporzionati e rapidissimi di un gigante albino: Fabien Jegoudez risplende malvagio nei colori bui della pellicola, nudo e inespressivo si muove con gesti imprevedibili e di una violenza disumana. Dura poco ma è un poco che almeno vitalizza un film vuoto, grossomodo imbarazzante, che potrebbe vantarsi solo di una stuzzicante OST, una sinusoide di pianoforte fiabesco e sferragliate di cello che pare però sprecata per tale pochezza narrativa.
Non trovo molto interessante parlare di film brutti, se lo faccio è perché c'erano buone intuizioni sfumate da problematiche di vario tipo o magari aspirazioni non raggiunte, di certo la cosa peggiore è avere aspettative tradite poi da mancanze che, in questo caso, iniziano a farsi gravi. Non so il vero motivo per cui continuo a seguire il duo francese, non mi è piaciuto niente della loro produzione eppure la potenza distruttiva di un A l'interieur e il drastico cambio di direzione con Livide sono irruzioni che si vedono poche volte al cinema. A questo punto era doverosa una presa di posizione ben più forte di quella meramente visiva, serviva un coraggio diverso, che mostrasse maturità nel mettere da parte le tante, tantissime lacune narrative per poter concentrarsi su una tecnicità che potrebbe, e dico potrebbe, non avere rivali nell'horror più viscerale e senza limiti, ma Aux Yeux des Vivants non ha scusanti, è una regressione involuta e irritante che nulla porta alla scena e che diventa terreno da cui sarà molto, molto difficile rialzarsi.
Perché una volta innestata la quinta, con il survival che finalmente si fa pesante, appaiono le stangate sanguinarie che era lecito attendersi o che comunque la pellicola preannunciava dall’inizio. Non c’è molto, ma è un bel gruzzoletto di brutalità con braccia spezzate e crani spappolati che non farebbero grande differenza se non dipendessero dai movimenti sproporzionati e rapidissimi di un gigante albino: Fabien Jegoudez risplende malvagio nei colori bui della pellicola, nudo e inespressivo si muove con gesti imprevedibili e di una violenza disumana. Dura poco ma è un poco che almeno vitalizza un film vuoto, grossomodo imbarazzante, che potrebbe vantarsi solo di una stuzzicante OST, una sinusoide di pianoforte fiabesco e sferragliate di cello che pare però sprecata per tale pochezza narrativa.
Non trovo molto interessante parlare di film brutti, se lo faccio è perché c'erano buone intuizioni sfumate da problematiche di vario tipo o magari aspirazioni non raggiunte, di certo la cosa peggiore è avere aspettative tradite poi da mancanze che, in questo caso, iniziano a farsi gravi. Non so il vero motivo per cui continuo a seguire il duo francese, non mi è piaciuto niente della loro produzione eppure la potenza distruttiva di un A l'interieur e il drastico cambio di direzione con Livide sono irruzioni che si vedono poche volte al cinema. A questo punto era doverosa una presa di posizione ben più forte di quella meramente visiva, serviva un coraggio diverso, che mostrasse maturità nel mettere da parte le tante, tantissime lacune narrative per poter concentrarsi su una tecnicità che potrebbe, e dico potrebbe, non avere rivali nell'horror più viscerale e senza limiti, ma Aux Yeux des Vivants non ha scusanti, è una regressione involuta e irritante che nulla porta alla scena e che diventa terreno da cui sarà molto, molto difficile rialzarsi.
Adoro A l'interieur e mi è piaciuto anche Livide, se non altro per il coraggio mostrato nel cercare fortuna in un altro genere....sono molto curioso di questo...piccola domanda tecnica...come lo hai trovato,...sono giorni che nuoto, capisci a me, ma non ho visto ancora nulla...
RispondiEliminaEh, a me son piaciute molto le intenzioni di quei due film, poi, boh, il primo pura pornografia della violenza, il secondo noiosissimo mi sono pure addormentato a tratti. Con questo speravo facessero qualcosa di strano e diverso, e invece una via di mezzo che è addirittura peggiore di entrambi messi insieme.
EliminaNe trovi solo un rip un po' scrauso da dvd, io non ho resistito e l'ho guardato lo stesso :)
Mh, grazie per la dritta. Ho risposto al tuo commento sul tuo (nostro) lavoro in "The Babadook".
RispondiEliminaA presto!