Due killer si incontrano al bar, o di come
il nuovo film dei Mo Brothers sia una barzelletta
Dopo una bomba atomica come The Raid 2,
mi sembra che l’Indonesia sia, be’, obbligata a filmare grosse sequenze di
botte. Una semplice discussione tra marito e moglie, una cena al ristorante o
una cliccata sul web, non importa, adesso trovo che ogni straccio scenico sia
più che valido per far partire una rullata di calci, spezzare qualche colonna
vertebrale sul corrimano di una scala o stampare il cranio di qualcuno contro
una parete. Limito mio, probabilmente svanirà assieme all’adrenalina di due
visioni ravvicinate del capolavoro di Gareth Evans, resta però la brutta,
brutta sensazione che a Killers, attesissimo ritorno di Timo Tjahjanto,
assieme a Kimo Stamboel nei Mo Brothers, manchi parecchio nonostante una durata
pestilenziale di 137 minuti, e che magari al posto di, boh, non so davvero
cos’abbiano usato per arrivare a un minutaggio del genere, qualche ginocchiata
che sfondava una cassa toracica ci sarebbe stata bene.
Dunque, Tjahjanto e il suo finto fratello
Mo già nel 2009 lo stomaco per mettere in piedi una discreta baracconata gore
ce l’avevano, Macabre non era proprio niente di che, prendeva tutti gli
scarti che il cinema splatter francese aveva avanzato da anni ma mostrava
comunque un minimo di preparazione e un’apprezzabile costruzione che
dall’Indonesia non era così facile pretendere. Il botto arriva
qualche anno dopo, Tjahjanto vola in America solo soletto per ruttare in faccia
a tutti con l’unico motivo per cui guardare il primo The ABC’s of Death
(l’incredibile segmento ultragore L is for Libido), e replica l’anno
dopo, guarda caso in compagnia di Gareth Evans (com’è che in una recensione di
un film che, toh, produce Gareth Evans, sto parlando solo di Gareth Evans?) nel
brutale found footage Safe Heaven, ottimo corto nel più che interessante
V/H/S 2.
La domanda a questo punto diventa
inevitabile: abbiamo visto tutti che Timo Tjahjanto ha fatto cose buone ma di
breve durata, riuscirà a cavarsela bene con un film intero? Okay, la risposta è
no, ma sarebbe bello proseguire dicendo come Killers abbia i suoi pregi,
come in fondo si tratti di un film comunque consigliabile, fatto con un certo
amore e che nonostante i difetti possa ancora bruciare vivi molti colleghi. E
invece niente, Killers è davvero una roba terribile, che mostra tutti i
limiti che poteva avere una produzione indonesiana qualche anno fa quando
inseguiva tanto il cinema orientale quanto quello occidentale, ma in alta
definizione. Il problema in verità sarebbe molto semplice, facilmente
individuabile e tutto sommato anche sopportabile, ma l’essere protratto per due
ore e diciassette minuti frantuma qualsiasi granello di pazienza rimasto dopo la
prima mezz’ora, tempo più o meno limite oltre il quale è difficile sperare che
il film possa ancora funzionare.
Un duello tra serial killer, uno giapponese
che lo fa di professione mentre l’altro, indonesiano, che si ritrova a
scoprirlo all’improvviso, che si sfidano a chi uccide di più e meglio, può
avere senso solo se, 1) il tasso di violenza raggiunge cose allucinanti e
gorebuilding nelle scene di morte (scelta più probabile considerando gli
autori), o 2) si poggia su una sceneggiatura di ferro in grado di intagliare
psicologie di devastante finezza e dialoghi memorabili tra il filosofico e lo
schizofrenico (ehm). Scegliere di stare in mezzo è cosa quasi sempre sbagliata
e poco dignitosa, mantenere un equilibrio sarebbe comunque difficile e
richiederebbe una sensibilità che autori così giovani evidentemente ancora non
padroneggiano, e quello che ne esce è una porcata interminabile costruita su
dialoghi infantili e situazioni al limite del ridicolo.
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Ma tipo, perché a un certo punto non arriva lui? |
Da una parte le caratterizzazioni dei due
protagonisti, un amante della squisita violenza il primo e un giornalista
represso il secondo, del tutto inadeguate per sorreggere il film sulla lunga
durata nella staticità straripante e nella completa mancanza di dignità
nell’approfondimento individuale (il primo alle prese con tremendi problemi di
cuore tardo-adolescenziali mentre inganna e sbudella una ragazza dietro
l’altra, il secondo che cerca di ricucire un matrimonio fallito ammazzando
chiunque si opponga a lui). Dall’altra troviamo invece la sconsolante scarsità
narrativa, con una selezione di momenti clou che sembra arrivare direttamente
dal più becero bignami sul torture porn (adescamento di una prostituta,
equivoco con gli sbirri durante un controllo stradale), tanto che anche nei
momenti in cui si scava in un orrore più disturbante non si riesce mai ad
andare oltre a una superficiale adozione del cliché (l’avvocato pedofilo, il
faccia a faccia tra i due killer). E con tanta passività c’è molto, molto poco
che i due registi possano trarre esteticamente: il sangue è contenuto, la violenza
è fisica ma derivativa, l’atmosfera degradante è sempre plasticosa e finta per
sembrare vera, il body count è assurdamente basso e privo di qualsiasi
creatività che forse anche nel più inutile sequel di Halloween/Venerdi 13,
frugando bene, è possibile trovare.
E fa quasi un po’ sorridere, ma in realtà
dispiace moltissimo, che Kazuki Kitamura e soprattutto Oka Antara offrano ottime
prove, molto controllate e davvero efficaci quando liberano il mostro. Purtroppo
si salva solo questo.
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