Dal romanzo di Lansdale e dai tizi di Stake Land, un noir violento con Dexter e James Crockett
Ho conosciuto Lansdale ai tempi
dell’università, erano gli ultimi anni di quelle sincere scoperte narrative che
un po’ completano la formazione e l’ingresso in libreria non era ancora
cancerogeno. Era più o meno la preistoria perché non c’erano gli e-book, pensa
te che dinosauri, ma c’erano le costine arancioni dei tascabili Fanucci, era
bello vederla farle guerra a Einaudi per strapparsi a vicenda il buon texano a
suon di pubblicazioni ravvicinate, e credo ci fosse ancora un minimo di rispetto
verso il caro, vecchio, scemo lettore, probabilmente erano proprio le briciole
finali rimaste prima del bombardamento di ristampe, formattazioni in carattere
18 per avere più pagine e alzare il costo del libro, e boh, tutto il male che è
venuto dopo con Twilight e dintorni.
Non ricordo se sono arrivato tardi io o se
il boom italiano di Lansdale sia scoppiato proprio in quel periodo, ho bene in
mente però che non si faceva in tempo a finire un suo romanzo e se ne potevano
trovare almeno tre di nuovi sugli scaffali, e insomma, per un bel pezzo, tra il
ciclo di Hap & Leonard, i noir durissimi, gli horror fulminanti e le
raccolte, ho letto solo la sua sbruffoneria e il suo senso epico, quello stile
scanzonato ma molto intimo e profondo una volta scrostata la volgarità, e
quando le sue cose migliori sono finite mi sono buttato giocoforza su quelle che
magari, a leggere la sinossi, colpivano meno ma mostravano in fondo il vero
tocco e la genuinità dello scrittore texano, quella potenza diretta e micidiale
con cui inquadrare i buoni e metterli contri dei cattivi così bastardi da
potersi meritare soltanto una pistolettata in mezzo agli occhi.
Lato sinistro per voi |
Mi piace pensare che, quando hanno deciso
di trarre un film da Freddo a luglio, Jim Mickle e Nick Damici (che ci hanno
preso gusto e sono al lavoro su una serie tv tratta da Hap & Leonard) abbiano
proprio cercato questo taglio preciso e inevitabile, questa filosofia secca e
anche terribile, una giustizia divina necessaria per chi abbraccia il lato
oscuro. La coppia regista-sceneggiatore lavora insieme ormai da anni e nel
genere si è fatta conoscere per lavori tutto sommato onesti, sono sempre stati
nella media e magari, soprattutto con Stake Land, hanno anche provato a
fare i furbetti seguendo la moda, ma del discreto mestiere lo sanno fare e
questo probabilmente è solo ciò che vogliono/possono offrire. A me sta bene,
preferisco questo modus operandi ad ambizioni impossibili e a sfoggi masturbatori,
li ho sempre seguiti con piacere e credo che Cold in July non sia una sorta
di sviluppo o di crescita nella loro filmografia, bensì una fidata conferma di
cinema di genere grezzo e migliorabile ma sicuramente confortevole.
L’estetica lansdaleiana è molto più intelligente
e complessa di quello che può trasparire dal suo stile maleducato, la figura
femminile e l’onestà assumono caratteri che raramente si trovano in narrativa,
ed è un po’ inevitabile che Mickle e Damici ne colgano soltanto un aspetto più
superficiale e in qualche maniera letterale: la vendetta di cui si fanno carico
i loro tre protagonisti non è così forte e legittima come la motiverebbe
Lansdale, i buoni sono buoni perché questo è il ruolo assegnato loro mentre i
cattivi sono tali perché serve qualcuno da ammazzare nella sparatoria gore che
deflagra nel segmento finale. Viene quindi a mancare qualcosa di importante
nella caratterizzazione e nella struttura del film, non è cosa da poco ma ciò
non toglie che l’esperienza sciolta e rapidissima che si inspira nel leggere
anche il Lansdale più scapigliato sia in fondo ricreata col giusto spirito.
The Mullet Man |
Ma il merito va più che altro a un
perfetto Michael C. Hall che, dopo otto stagioni di Dexter e un
immaginario difficile da scardinare, si arma di mullet e baffoni, si carica
l’intero film sulle spalle e giustifica ogni azione con una prova eccellente
nell’ansia, nell’indecisione e nell’onestà di Richard, un uomo qualunque,
cresciuto nell’ignoranza rurale del sud statunitense e accentuato
dall’ambientazione in pieni eighties, che uccide un ladro entrato in casa sua
per poi scoprire che, dietro, c’è del consueto contorsionismo alla Lansdale
fatto di poliziotti corrotti, disonestà mascherata da buone parole, criminali
guidati da irremovibili codici d’onore, eroi tamarri ma dal carisma
irresistibile e, ovviamente, un branco di violenti figlidiputtana protonazisiti
autori di snuff con protagoniste ignare ragazzine. Quello che Mickle e Damici
non riescono a dare a un gruppo di bad guys che appaiono, nelle loro crudeltà
in VHS, troppo schematici a causa di una sceneggiatura troppo lineare e scontata,
è reso invece pulsante proprio dalla comprensibile ma determinata debolezza di
un Michael C. Hall in gran forma, tanto che né il fascino eccentrico del Jim
Bob Luke di un Don Johnson che pare nato per una parte come questa, né l’onestà
forse non lucidissima di un bravo Sam Shepard, riescono a imprimere quella
marcia ironica nel contrasto caratteriale che viene a crearsi.
Ci sono buone intenzioni e momenti di
ottima tensione, l’esperienza cinematografica si sente e confeziona sequenze
con taglio elegante e ritmo rapidissimo, magari inciampa in qualche ralenti che
osanna in misura eccessiva la giustizia ricercata dai tre companeros, ma tra
piani fissi, un notevole dinamismo e dialoghi, questo sì, essenziali e perfetti,
descrive con mestiere le scene clou: i diverbi tra marito e moglie dopo la
morte del ladro (fantastico lo scambio sul divano), la visione della VHS e ciò
che ne consegue, il momentaneo allontanamento e il subitaneo ritorno di
Richard, l’ingresso nella videoteca e naturalmente la sparatoria finale
trasudano quella bella prosa lansdaleiana che è lecito attendersi nonostante si
tratti di uno dei suoi lavori minori.
Film solido e ben riuscito, anche se non all'altezza del romanzo.
RispondiEliminaE ora tutti ad aspettare la serie dedicata a Hap e Leonard! :)
Quella sì, attesa a mille!
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