Taiwan, 112 minuti
Regia: Chung Mong-hong
Sceneggiatura: Chung Mong-hong
Jimmy Wang Yu è uno dei più grandi nomi
del cinema di Hong Kong degli anni d’oro, stella della Shaw Brothers,
recentemente tornato a recitare dopo una pausa di quasi vent’anni, viene
colpito da un ictus poco prima delle riprese di Soul, e la difficoltà
nell’espressione facciale diventa forse arma aggiunta nella resa finale di un
personaggio meraviglioso, terribile nella sua fermezza orientale ma immenso nel
significato dietro i gesti con cui salvaguarda ciò che rimane dopo il collasso
fulmineo e brutale della propria famiglia. Vecchio solitario, abita ai confini
del mondo in boschi fitti e ripidi che dipingono scenari di immacolata bellezza,
cura le sue orchidee fino a quando non riceve la visita del figlio, Ah-Chuan,
vittima di un’improvvisa ricaduta fisica e psicologica che sembra averlo
trasformato in un’altra persona.
Chung Mong-hong non spiegherà mai cosa è
realmente successo ad Ah-Chuan, Soul è un film cerebrale e complesso
dove non vengono fornite risposte ma si lascia molto all’interpretazione, senza
che questa diventi espediente necessario per poter apprezzare un’opera
sfaccettata e difficile, ricca di suggestione e di cambi di stile, che dice tuttavia
moltissimo attraverso immagini di grande potenza e silenzi apocalittici. C’è un
bel peregrinare horror, in questo film, si potrebbe parlare di possessioni
demoniache che accentuano un suo carattere soprannaturale, oppure di follia
omicida che in molti segmenti pare inquadrarlo in uno slasher sporco e
allucinante, di certo rimangono due caratteri a primeggiare in un tour de force
alieno e disorientante: la violenza, molto cruda e realistica, che spiazza sia
per scelta visiva che per uso e consumo dei personaggi che passano per la casa
del vecchio Wang, e un particolare uso del grottesco, ben visibile in
protagonisti dal forte accento ironico (l’ingenuità del poliziotto Piccolo Wu
su tutte) e in improvvisi sprazzi di humor che stemperano la pesante e ricercatissima
atmosfera (il sogno di Vecchio Wang sull’auto, il primo incontro con il
poliziotto).
Ne esce qualcosa di indefinibile e strambo
ma raffinato tanto nelle intenzioni quanto nella cura per amalgamare aspetti
così contrastanti: ci saranno sbavature nei dialoghi, che non trovano mai un buon equilibrio e
paiono spesso sbrigativi o poco attenti, ma d’altro canto c’è molta, molta
tecnica nella regia di Chung – a volte appare eccessivo il continuo uso di
fade-in e fade-out o le botte di bianchi e neri con cui spezza la narrazione,
ma ogni inquadratura è scelta e pensata per sottolineare stati d’animo,
sciogliere la tensione o accrescerla a dismisura (l’infinita, bellissima
soggettiva per l’uso della fionda, o i primi piani sulla pulitura dei pesci),
alternando lunghi momenti di stasi silenziosa a esplosioni di violenza
scioccante e brutale con cui costruire un bel puzzle che si compone lentamente
pur lasciando, volutamente e con gusto, parecchi buchi nella psiche del gelido
Ah-Chuan, inespressivo, glaciale, primitivo, mosso apparentemente soltanto dal
male più puro.
E mi hai fatto venire voglia di recuperarlo e vederlo...
RispondiEliminaNon so se si trovi già, io l'ho visto al FEFF, comunque poi fammi sapere, eh! :)
EliminaBeh, sembra nelle mie corde. potrei dargli una possibilità sempre ammesso che riesca a trovarlo.
RispondiEliminaImmagino sia solo questione di tempo, giusto un po' di pazienza poi arriverà dove sappiamo tutti. :-)
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