UK, 84 minuti
Regia: Terry McDonough
Sceneggiatura: Mark Gatiss
Secondo tassello importante del cinquantennale di Doctor Who è un vero e proprio viaggio nel tempo, un omaggio semidocumentaristico a quello che fu il primo Dottore nel lontano 1963, un vecchietto burbero e scontroso ma dal tipico cuore tenero, che ormai prossimo alla fine della sua carriera accetta malvolentieri di interpretare questo pazzo alieno innamorandosi un po' alla volta del personaggio e diventando vero e proprio idolo dei bambini, target verso cui era rivolto a quei tempi lo show.
William Hartnell viene reso vivo, nei gesti, nella voce e nel modo in cui diventava il Dottore da un meraviglioso David Bradley, e proprio nella sua abilità sta il pregio più grande di questo film per la tv non brillante né particolarmente riuscito: la sceneggiatura di Mark Gatiss (già sceneggiatore di molti episodi per Doctor Who, nonché co-creatore di Sherlock e interprete di Mycroft Holmes) è sbrigativa e accessoria, si limita a narrare gli avvenimenti accaduti inserendoli in una sequenza didascalica che non prova mai ad aggiungere mordente e profondità, e complice una regia non molto significativa, non in grado di dare giusto risalto a momenti clou e di mitologica nostalgia (un esempio è la creazione della sigla, un'altra il modo in cui viene pensata la scenografia del TARDIS), ne esce quindi un prodotto abbastanza veloce e disimpegnato, una sorta di riassunto poco impegnato di questa precisa parentesi di un attore di carattere e molto stimato alle prese con quello che sarebbe divenuto addirittura uno dei simboli del Regno Unito.
Chiaro che la creazione a uso quasi esclusivo del fandom argina in qualche maniera la sveltezza narrativa, vedere come sono nati amici, nemici, il TARDIS o lo stesso Dottore genera un sorriso nostalgico verso quell'ingenuità e, ancora prima, quella mancanza di mezzi, che hanno fortificato la genesi della serie tv più longeva di tutti i tempi, così come il già citato sentimento profuso da Bradley in un'interpretazione davvero magistrale porta una certa commozione nella citazione di diverse frasi divenute immortali (it's bigger on the inside, I don't want to go), aprendo la strada verso un finale molto sentito dove una lacrimuccia credo sia scesa a tutti, ma alla fine rimane la sensazione di aver visto niente più che un rapido documentario fatto film che, dati certi elementi (Verity Lambert è stata la prima produttrice donna a ricoprire un ruolo così importante in uno show televisivo, Sydeny Newman ha rivoluzionato molti concetti del fare televisione anche solamente introducendo un certo modo di intendere la fantascienza) poteva sicuramente mostrarsi più solido e forte nel raccontare questa storia.
No, questo omaggio non l'ho visto però in compenso ho visto la prima stagione della serie classica (tranne ovviamente gli episodi andati perduti).
RispondiEliminaGuardalo, perché ha un effetto nostalgico veramente notevole anche per chi, penso a me, non ha visto nulla della prima stagione :-)
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