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Nello spazio nessuno può sentirti abbaiare: Gravity (2013)

By Simone Corà | mercoledì 9 ottobre 2013 | 09:20


USA/UK, 90 minuti
Regia: Alfonso Cuaron
Sceneggiatura: Alfonso Cuaron, Jonas Cuaron

A circa metà film, mi sembra, quando siamo in un qualche tipo di limbo vertiginoso/allucinatorio che stupisce e confonde allo stesso tempo e in fondo permette ancora di ben sperare per la riuscita finale di un film così chiacchierato, Sandra Bullock inizia ad abbaiare, dico davvero, sente un cane cinese guaire via radio e, boh, la solitudine spaziale e l’abisso che la circonda le sfasciano del tutto il cervello e si mette a ululare come una scema. A questo punto è chiaro che Gravity non ha più speranze di risollevarsi, e tutto quello che segue, come se non bastasse l’epocale senso di ridicolo involontario creato con questo abominevole spartiacque, è solo una sequenza di dialoghi a caso che pescano a caso da sceneggiature a caso del blockbuster medio-basso tipico di questi ultimi anni.


Ma torniamo pure indietro, parto con calma per provare a spiegare perché Gravity sia un brutto, brutto film, uno dei peggiori esempi possibili del crollo progressivo del cinema occidentale e di come massa e autorialità vengano mischiate privando l’una dell’altra senza una vera, reale capacità di osservare e gestire un prodotto nella sua completezza. Perché sì, Cuaron ha un talento della madonna, già aveva dimostrato tutto con i mega piano sequenza de I figli degli uomini, e in Gravity ci sono scene di una bellezza assurda, momenti di straordinaria tecnica che innesca meravigliosa inventiva, creando paure viscerali nel vagabondaggio siderale (e qui parlo in prima persona, soffro in maniera terribile le vertigini ché anche a salire troppo le scale mi gira la testa), nel vuoto assoluto che imprigiona e soffoca, nel cataclisma di sfighe che colpisce i personaggi, nel devastante senso d’altitudine e di caduta nel vedere la Terra dallo spazio: pochissimi stacchi, lunghi e articolati piano sequenza, improvvisi sprazzi in prima persona che mozzano il fiato, Cuaron cura una regia impressionante che fa proprio della sua personalità e della sua lenta autorialità la sua personale spettacolarizzazione.

Peccato che, oltre a tutto questo, ci siano anche dei personaggi, e che questi personaggi debbano anche parlare – una sceneggiatura evidentemente serviva a tutti i costi per poter vendere un film, il perché l’abbiano scritta lo stesso Cuaron, in compagnia del figlio Jonas, invece di dedicarsi totalmente alla regia rimane un grosso punto di domanda. E allora si torna sempre sui soliti discorsi, sulla potenza visiva che surclassa la narrazione, sulla storia da raccontare che è solo futile orpello nei confronti della maestosa messa in scena, ma per me è proprio impossibile perdonare a un film del genere, una pellicola con un potenziale scioccante che il novanta per cento del cinema mondiale non possiede neanche nei suoi sogni più bagnati, una cazzo di sceneggiatura che non solo fa schifo nel delineare personaggi e dialoghi, ma che tenta anche di ambire a significati e simbolismi che affondano del tutto, ma proprio in fondo, dove non è più possibile tirarlo fuori, il film di Cuaron. Sia il Kowalski di George Clooney, petulante e insopportabile nella sua impossibile sicurezza e nel suo irrealistico sorriso perenne, che la Ryan di Sandra Bullock, che ha un nome maschile perché ehi il papà voleva un maschio, appaiono come pallidi schizzi, personalità appena tratteggiate con una buona dose di rassicurante machismo male espresso da una parte e di traumi da superare dall’altra con dell’ovvia femminilità da ritrovare e riscoprire, niente più che un insieme di cliché del tutto inutili allo scopo generale del film (ehm, ma robe come la bellezza della Terra dallo spazio, il riflesso del sole sul Gange and shit like that). Così come inutili sono le metafore (il feto con il cavo/cordone ombelicale strappa ben più di una risata o, non so, forse è peggio, una faccia del tutto basita), le scene con la bussola persa e la mente a zonzo nell’iperspazio (tutti i cazzo di problemi di Ryan che emergono senza alcun perché, o meglio, senza una sola motivazione valida perché esistano all’interno della storia creata), e il finale insignificante dove dovrebbe risplendere poesia e blablabla artistico.


Come sempre, nella macchina cinematografica 2.0, il come si racconta una storia non è fonte di preoccupazione, l’importante è pompare le immagini, è creare visività, la trama dev’essere non solo accessorio (che comunque ci sta, e la semplicità non è mai, mai elemento negativo) ma del tutto superficiale, pensata tanto per, l’intreccio è semplice, stupida questione da risolvere in un secondo momento, da aggiungere senza troppo pensarci, scritta senza motivazione perché, ehi, bisogna bombardare gli occhi dello spettatore – il bello è che non importa neanche il cosa si racconta, a che serve in fondo? Siamo ovviamente dalle parti di un Pacific Rim per squilibrio folle tra sceneggiatura e regia, ma forse Gravity è addirittura un gradino più in basso per l'abisso che si crea tra queste due componenti, e allora penso a cosa sarebbe potuto essere senza dialoghi, davvero, cosa avrebbe potuto esprimere se i suoi personaggi avessero solo agito, solo pensato, solo sofferto senza per forza tirare in ballo i traumi a stelle e strisce senza i quali il cinema pare crollare, eh, quale cazzo di livello supersayan avrebbe potuto raggiungere Cuaron con il coraggio che comunque già mostra attraverso questa regia sbalorditiva che, però, alla fine è soltanto quello che nelle intenzioni originali ovviamente non vorrebbe essere, e cioè inutile, superficiale accessorio di un film stupido di cui bisognerebbe dimenticarsi subito per non starci troppo male.

48 commenti:

  1. "allora penso a cosa sarebbe potuto essere senza dialoghi, davvero, cosa avrebbe potuto esprimere se i suoi personaggi avessero solo agito, solo pensato, solo sofferto senza per forza tirare in ballo i traumi a stelle e strisce senza i quali il cinema pare crollare" - Hai vinto :)

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    1. Madò, se fosse stato così capolavoro assoluto degli ultimi mille anni...

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  2. Sinceramente, la critica ai personaggi mi sfugge... nel senso, il film è un parziale della vita di costoro. Non sono sagome, devono avere un passato.
    Poi, sulla qualità del passato se ne può discutere, ma a me non ha disturbato più di tanto, nemmeno il fatto che abbai.

    Quando è morto mio padre, io pensai alla batteria della macchina scarica. Senza un perché, senza una motivazione alcuna. Gli eventi traumatici fanno sorgere pensieri strani, senza giustificazione. Questo come esempio personale. Visto che poi ci lamentiamo, viceversa, che la narrativa non è realistica. ;)

    E sulla "americanità" del loro substrato di ricordi, ambizioni, traumi, etc... be', so' americani, che devono ricordare? Paolo Nespoli, quand'era in orbita, twittava immagini dell'Italia notturna. Lui cos'era, troppo italiano?

    Cioè, mi spiego meglio, fare un film silenzioso, coi personaggi senza passato non credo sarebbe stata una gran differenza, forse mi sarebbe piaciuto lo stesso, ma la differenza? Per me nessuna. ;)

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    1. Mah, sai, è proprio la qualità di questo vissuto, come dici tu. A te non ha dato fastidio, okay, meglio per te che sei riuscito a goderti il film, per me è stato a tratti una vera sofferenza, perché quello che non capisco è il motivo per cui bisogna ricorrere sempre ai soliti fatti, sempre alle solite motivazioni, sempre ai soliti luoghi comuni che, lo dici anche tu, nella complessività del progetto non hanno alcun motivo di esserci. Li abbiamo già visti mille e mille volte, perché ancora?

      Perché la Bullock deve aver avuto per forza un padre così? Perché bisogna ricorrere alla metafora della rinascita? Perché tutto quel dialogo sulla tragica scarpetta rossa? Perché Clooney deve fare le riflessioni sulla bellezza della Terra? Perché l'uomo dev'essere così rassicurante e tranquillo come andasse a trovare gli amici? Non potevano, e scusami se ti cito so che mi capisci, parlare della batteria della macchina scarica? :)

      C'è modo e modo sia nello scegliere gli elementi sia nel gestirli, cosa che Cuaron EVITA del tutto, a lui non interessa raccontare una storia, a lui interessa solo mostrare piano sequenza incredibili, e a me questo non va bene. :)

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    2. Ho capito quello che intendi. Forse ho una soglia di sopportazione della retorica superiore alla tua. :D

      Ricordo Battle: LA, che proprio mi fece vomitare in quanto a retorica, e peggio ancora, retorica americana. Era ridondante.

      Qui non m'ha colpito, non so perché, forse ero più impegnato a guardare il resto che ad ascoltare. Al punto che non mi sembra così grave come la descrivi tu. :D

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    3. Ma non credo sia questione di retorica, certo se Battle LA allora sì, ma è anche prevedibile visto che si parla di esercito yankee dei giorni nostri. Io parlo semplicemente di narrazione, che non vuol dire trama complessa o lineare, non vuol dire profondità o semplicità, vuole solo dire capacità di raccontare una storia, e se un film non è in grado di raccontare una storia allora è un brutto film. :)

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  3. Nonostante tutto, spero davvero di riuscire a infilarmi in un cinema e vederlo.
    Poi ti dico.

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  4. Oh belin, questa dev'essere la prima critica negativa che leggo. A questi punti vado al cinema, stasera, con meno ansia: non dovesse piacermi non me ne vergognerò più! XD

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  5. Stasera è il giorno del giudizio, poi magari ci risentiamo

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  6. Già dal trailer (che ha sfracassato i coglioni) mi puzzava di stantio... insomma, senza averlo visto avevo le sensazioni che adesso confermi in queste righe... dovevo fare il medium :)

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    1. Be', no, secondo me il trailer era enorme MA faceva il furbo e mostrava solo scene roboanti niente cose di dialoghi e riflessioni ;)

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  7. Sono perfettamente d'accordo con Hell: gli eventi traumatici sono esperienze totalmente soggettive. Ad uno viene in mente di abbaiare come un cane, a un altro un prato d'autunno bagnato di pioggia, a un altro biscotto secco. Poi il fatto che Kovalski sia così sereno, forse dipende che ha semplicemente più esperienza di volo nello spazio della Stone. Comunque non sono d'accordo su quanto scrivi di questo film, sebbene sia vero che la sceneggiatura è sbilanciata soprattutto nella seconda parte. Poi perchè il "visivo" debba essere secondo al "linguistico" della sceneggiatura non l'ho proprio capito, tanto quanto non ho capito il parallelo con Pacific Rim, che è tutta un'altra cosa.

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    1. Non sono proprio d'accordo. Il visivo non è secondo al linguistico, dev'essere uguale, sceneggiatura e regia devono essere in sinergia, questi due piani non possono essere in disequilibrio, soprattutto in questo caso, o come in Pacific Rim, dove il visivo distrugge ogni cosa.

      La narrazione è e rimane FONDAMENTALE in un film, e il parallelo con Pacific Rim è dato proprio dall'incapacità di scrivere una storia, dall'incapacità di mettere insieme dei personaggi dotati di personalità, dall'incapacità di costruire qualcosa che non sia solo vuoto. A me alla fine non interessa niente se un film è diretto in maniera strabiliante, se è scritto col culo (e ancora, distinguo benissimo una storia semplice ma ben scritta da una scema e male assemblata) rimane un film brutto. :)

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  8. P.S. Scusate gli strafalcioni sintattici nel mio commento precedente, dovuti semplicemente alla fretta. Perdonatemi :)

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  9. Questa è la recensione che sto scoprendo che molti avrebbero voluto scrivere, ma non hanno avuto la voglia di farlo solo al timore di orde di fanatici assuefatti a un cinema che non ha nulla da comunicare o che suscita emozioni solo in persone assuefatte. Non troverò mai le parole adatte per descrivere la miscela di noia, fastidio e imbarazzo che questo film mi ha procurato. Come hai scritto tu, da dimenticare. Subito e per sempre.

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    1. Oddio, a dire il vero non l'ho ancora mai pensata così, sarà che ci ho sempre quell'ottimismo che mi fa ben sperare, tanto per chi fa i film quanto per chi li guarda (e recensisce). Anche se, dopo Pacific Rim e questo, non so davvero più cosa pensare di certo cinema occidentale...

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    2. Premessa: divido il commento in due, sennò non me lo posta perchè troppo lungo.
      Molto interessante e ricca di spunti questa discussione che sta nascendo tra noi sulla base della recensione di Simone. Vorrei qui riprendere alcuni punti, ribaditi in modo incisivo anche da Lenny Nero, e che mi pare il caso di approfondire, almeno dalla mia prospettiva che è piuttosto psicoanaliticamente orientata, come ben sapete (penso). Partiamo dall'antinomia visivo vs narrativo. A me sembra che nella recensione di Simone, tanto quanto nel commento di Lenny Nero domini uno stereotipo culturale implicito, cioè non esplicitato ma comunque operante che occorre svelare, stereotipo che dal mio vertice di osservazione coincide con la sopravvalutazione del Simbolico sull'Immaginario, se applichiamo un paradigma lacaniano. Ritengo che molti recensori, come Lenny ad esempio, ma anche Elvezio Sciallis (dei quali peraltro nutro grande stima) incorrano in una sorta di idealizzazione di stampo lacaniano del Logos rispetto all'Immaginario (il visivo, l'intrattenitivo, il "disneyano"...), per cui tendono ad entrare inconsapevolmente in contraddizione con il fatto che, certo, il Simbolico coincide con l'Occidentale, con l'Aristotelico, con il Logos, mentre (e qui sta la contraddizione) il cinema occidentale è troppo intossicato dall'Immaginario. Tale discorso riflette le considerazioni che Slavoj Zizek conduce ad esempio nel suo libro “Psicoanalisi e mondo contemporaneo”, nel quale porta una critica serrata ad altre concezioni psicoanalitiche contemporanee, come quelle ad esmpio di Antonino Ferro, insigne analista della Società Psicoanalitica Italiana e dell'Ipa, il quale si allontana da Lacan e sposa una concezione più bioniana e fondata sul visivo, sul sensoriale come base dell'esperienza psichica, più che sulla “parola interpretante” della scuola lacaniana. Per Zizek anche Ferro è “disneyano”, che è un po' come dire che Godard non fa film, ma fumetti. In realtà Ferro (come Ogden e Grotstein) è uno dei maggiori studiosi del funzionamento mentale inconscio attualmente viventi, e definirlo “disneyano”, come fa Zizek, a me personalmente fa un po' ridere, con tutto il rispetto per Lacan, naturalmente.

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  10. Segue dal commento precedente:
    Ma aldilà di queste quisquilie psicoanalitiche che non interessano a nessuno, e che usavo in senso solo metaforico, citavo Godard non a caso, poiché infatti, seguendo il discorso critico di Simone, Godard sarebbe uno per cui la narrazione, cioè la sceneggiatura, non è affatto fondamentale, mentre parlano molto di più le immagini (vedansi le lunghissime, estenuanti sequenze dell'acqua corrente in “Je Vous salue, Marie”,1985). E' un “assuefatto” all'Immaginario anche Godard? Ma parliamo anche di Terrence Malick, allora. “La sottile linea rossa”, fonda forse la sua potenza sul racconto? E “The New World”? Non è che la storia Pokaontas in fondo, storia trita e ritrita che non credo interessasse particolarmente in sè a Malick. Per non parlare di “The Tree of Life”, sontuosa opera dedicata all'immagine pura, dove la sceneggiatura viene letteralmente risucchiata via dal percettivo. Non sto, attenzione, paragonando “Gravity” a “The Tree of Life”. Sarei matto. Anche nella mia recensione ho parlato di squilibrio e debolezza dello script, sto solo dicendo che questa critica all'immaginario visivo come roba vecchia da rottamare, come romanticume superfluo, è un errore metodologico-critico che si può spiegare solo facendo ricorso ad una epistemologia di origine ortodossamente lacaniana, cioè logo-centrica, nella quale è il Linguaggio che struttura l'Inconscio, e la Realtà, e non altro. Se permettete tale episteme di fondo è quantomeno discutibile, e non sto qui ad aprire dibattiti filosofici o psicoanalitici a riguardo, ma è comunque un'episteme a mio avviso anche pericolosa (“Da dimenticare.Subito e per sempre” scrive Nero), poiché getta nell'oblio tutto ciò che devia da tale assunto di Verità. E ben sappiamo che la Verità è un concetto sulla base del quale in passato si sono accesi roghi e cose anche peggiori...Scusate la lunghezza del commento, ma ci tenevo ad esprimerlo.

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  11. A scanso di equivoci: io sono uno zotico, non un intellettuale. Ho il mio dignitoso background culturale cinematografico, ma ho anche una "pancia". Tanto per dire, per me Malick è l'Anticristo, è in cima alla scala della noia, del nulla, l'apoteosi dei biscotti della fortuna che si fanno film (se vogliamo chiamare film una serie di screen-saver per Windows 95). Con tutto il rispetto per la tua cultura, sbagli bersaglio e o approccio. Cioè un approccio iperstrutturato per un film che di strutturato ha ben poco. E' come giudicare un Vanzina con i parametri che applicheresti a un Bergman. Inoltre io, se proprio pecco, è proprio nel preferire un cinema che si fonda sull'immaginario visivo (per dire, amo Lynch e i film muti!). Gravity sarebbe stato un piccolo capolavoro se solo non avessero aperto quella fottuta bocca e non ci avessero versato addosso il solito liquame life-coaching a stelle e strisce. A 37 anni, mi perdonerai, anche basta e mi arrogo il diritto di annoiarmi. Raramente ho odiato tanto un film per la sua pochezza e sono uno pronto a perdonare l'imperdonabile se vedo un barlume, e sottolineo un barlume, di cinema. Per cui posso anche apprezzare ed esaltare un paio di sequenze, ma il resto è un polpettone, per altro al di sotto della media delle polpette avvelenate degli yankee, che può emozionarti se sei uno di loro, hai 12 anni o se sei assuefatto.

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    1. Se c'è una cosa che non sopporto di me stesso è quando commetto l'errore di apparire saccente di fronte a qualsiasi interlocutore, quindi mi scuso con Lenny Nero e con tutti per aver piazzato qui questa sbrodolata psicologistica che probabilmente ci sta come i cavoli a merenda. Tuttavia in un blog in cui si può commentare, io sono tentato di commentare, cioè mi vengono in mente delle cose, e le dico. Mi permetto solo di sottolineare a Lenny (di cui leggo spesso le ottime, ottime recensioni) che usare come strumenti critici la “pancia” e la “noia”, a cui molto pubblico sarebbe secondo lui invece assuefatto, mi sembra andare nella direzione di quel tipo di cultura yankee che ci invade da mane a sera, e che vorrebbe, quella cultura sì, ridurre la nostra esperienza polimorfa in un “mi piace”, “non mi piace” su Facebook, pensando che i nostri neuroni funzionino in modo bidimensionale. Voglio dire con questo che altri sono i bersagli da colpire, se si vuole fare una critica a certi trend culturali (cinematografici, letterari, musicali, etc.), e “Pacific Rim” o “Gravity” non sono i bersagli migliori. P.S. Su Malick non aggiungo niente, perché lo ritengo uno dei registi più importanti della storia del Cinema. Ma qui si aprirebbe un altro lungo, “noioso” capitolo che non so se è il caso di aprire. Ciao e grazie del commento.

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    2. Be', psiche, innanzitutto grazie per il tuo mega-commento, che sì, mi aiuta a capire di più il tuo pensiero, ma che continua a non trovarmi d'accordo per nulla.

      La questione, per me, ma anche per Lenny, Elvezio, ecc, è molto semplice, e non credo si possa arrivare a un qualche punto d'accordo tra chi come noi ha disprezzato Gravity e chi invece l'ha amato, e questo perché, ripeto, un film non è bello/interessante/rivoluzionario se non ha un'adeguata impalcatura narrativa che lo possa sostenere.

      Per me non esiste, soprattutto in queste occasioni, chiudere un occhio di fronte ai difetti perché l'impatto visivo è devastante, per me non esiste accettare la pochezza della trama (e con trama non intendo solo la storia, ma la personalità dei personaggi, i dialoghi che offrono, le situazioni presenti, ecc) se questa è solo misera, inutile cornice che NULLA offre al prodotto complessivo.

      La qualità di un film va giudicata sempre nella sua interezza, non suddividendolo negli elementi che lo compongono - cosa che comporta il crollo totale se uno non è in grado di sorreggere gli altri. Un simile script non è neanche lontanamente presentabile, nel 2013, perché dimostra la stanchezza, la superficialità, lo scrollare le spalle con cui il cinema occidentale si rivolge al RACCONTARE una storia, e Pacific Rim e Gravity sono invece proprio i bersagli migliori, perché tanto potenti dal punto di vista visivo quanto tragici da quello narrativo, cosa che per me non è più ammessa, non è più concepibile. :)

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  12. Ti rispondo quanto prima da me, che sono uscito dal cinema piangendo per aver buttato 8,5€.

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  13. Ma solo io al sentire il nome Kovalski mi aspetto che compaiano anche Skipper, Soldato e Rico??? Pessima scelta del nome
    Jester

    ps: scusate la non profondità del commento

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    1. No tranquillo, il nome Kovalski fa sempre quell'effetto ;)

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  14. Devo ancora vederlo.
    Ma succederà presto.
    E ho come l'impressione che lo patirò.

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  15. ottima recensione ma non condivido quasi niente.

    Credo sia inutile che dica qualcosa, uno perchè l'hanno fatto ottimamente sia Hell che Psichetechne (anche se devo ancora leggere i suoi commenti più lunghi, ora non posso), due perchè sebbene in maniera molto più semplice e banale ho già scritto da Eddy che ne penso.

    Al limite incollo:

    Eddy, recensione come sempre perfetta ma lo continuo a dire, non sono d'accordo su queste critiche alla sceneggiatura, per niente.
    E non solo per i motivi che ha detto ottimamente Psichetechne, ma anche perchè quando si analizza una sceneggiatura bisognerebbe anche analizzare i contesti spaziali (ehm, intesi come spazio, non Spazio) e temporali in cui la sceneggiatura si muove.

    Il film è ambientato in un luogo non luogo fatto di nulla e in sole 4 ore.
    La sceneggiatura è perfetta, anzi, non solo secondo me non doveva aggiungere altro ma semmai togliere.
    E una lotta alla sopravvivenza, un'esperienza non solo visiva ma pure profondamente umana.
    E aver aggiunto intrecci, alieni, maggiori caratterizzazioni (diamine, in 4 ore nello spazio che caratterizzazioni devono venir fuori?) avrebbe solo nuociuto.

    No, sono una mosca bianca ma questo tiro al piccione verso la sceneggiatura di Cuaron mi sembra solo il classico bilanciamento con gli effetti speciali.
    Più sono buoni i secondi più si tende a distruggere la prima.
    Non ci sto.


    comunque ottima recensione Simone

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    1. Ma non è solo questione di bilanciamento verso gli f/x, è solo richiedere un po' di capacità di scrittura per dare forma e colore a due personaggi che, appunto per quattro ore della loro vita, deve essere resi interessanti allo spettatore.

      Cosa che invece non succede.

      E se ho quindi uno squarcio di vita di due personaggi banale e scontato (e non parlo della serie di vicissitudini che accadono nel film, la narrazione NON E' SOLO QUESTA), allora difficilmente avrò tra le mani un buon film, tutto qua. :)

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  16. il bello è che ho scritto quelle 10 righe da cani e l'ho addirittura copia-incollate.

    vebbeh, controllarle dopo due pubblicazioni è proprio da pirla...

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  17. Ringrazio Oh dae-soo il cui parere mi fa sentire meno solo, e approfitto del suo commento (che condivido in pieno) per rispondere qui alla risposta di Simone, col quale invece continuo a non trovarmi d'accordo, perché a mio avviso tale risposta appalesa ancora di più la visione critica che avevo cercato di individuare nel mio commento precedente: una visione che secondo me idealizza "lacanianamente", come dicevo più sopra, il Linguaggio e la sua supposta "coerenza" contenitiva, come struttura fondativa di tutto, ma, come tutti gli Ideali (platonici?) poi tende a mettere in ombra altri aspetti che servono certamente a valutare complessivamente un film. Tale Ideale, quasi feticistico, del "racconto", nel caso di "Gravity" a mio avviso offusca l'occhio dei suoi detrattori non facendo loro vedere, come scrive giustamente Oh dae-soo, che qui invece una sceneggiatura c'è eccome. Vorrei infatti capire meglio perché Simone sostiene che non c'è racconto. Forse occorre prima intenderci, sul piano estetico su cos'è un racconto, cioè quali sono gli aspetti che lo caratterizzano, e poi vedere, nel caso di un racconto filmico, se c'è equilibrio tra le parti dell'impalcatura. Però bisogna vederle le parti dell'impalcatura, cioè non offuscarle attraverso Ideali non esplicitati. Se torniamo al film, a “Gravity”, e per esempio gli applichiamo un'analisi narrativa secondo lo schema di Propp, vediamo che il “racconto” c'è eccome. Il noto antropolgo e linguista russo ha studiato la struttura narrativa delle fiabe ricercandone l'origine storica, e ne ha ricavato una struttura che indicò come modello di tutte le narrazioni possibili. Lo schema generale di Propp è più o meno il seguente: 1. Equilibrio iniziale (esordio); 2. Rottura dell'equilibrio iniziale (movente o complicazione); 3. Peripezie dell'eroe; 4. Ristabilimento dell'equilibrio (conclusione). Tale schema diventa un po' diverso per quanto riguarda il Cinema Horror, nel quale, come si sa, il terzo atto si apre usualmente verso un non-ristabilimento dell'equilibro, ma al contrario verso un finale insieme aperto e propulsore di nuove turbolenze. Se seguiamo Propp mi sembra che la sceneggiatura di Gravity contenga tutti i parametri di una “narrazione”, certamente ambientata in un contesto siderale e vuoto come lo spazio, e che non si conclude in modo negativo-perturbante come un film horror perché non lo è. E' vero, come dicevo che siamo di fronte ad un disequilibrio dello script perché la prima parte è più venata di angoscia esistenziale, e quindi più efficace, mentre la seconda si appiattisce su stereotipi fantascientifici facilmente individuabili, ma accusarlo di “superficialità” e di non avere un'impalcatura narrativa non mi sembra oggettivo. Tornando all'Ideale che intravedevo nel commento di Simone (come in quelli di Eddy, Lenny Nero ed Elvezio), poi vorrei chiedergli: “superficialità” e “scrollare di spalle” del cinema occidentale, rispetto a quali altri esempi più, appunto ideali, apprezzabili? Se vogliamo fare paragoni che a mio avviso diventerebbero migliori bersagli critici, allora mi permetto anch'io di paragonare “Gravity” a certe orride prove di Catherine Hardwicke, oppure per esempio di David Slade, che è passato da “Hard Candy” a dirigere “Twilight- Eclipse”, e nei cui film il “racconto” è ben presente e a volte anche coerente, ma l'intento è bassamente consumistico e seduttivo.

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    1. amen

      comunque anche da me quasi tutti quelli che hanno commentato, anche in maniera molto positiva, hanno trovato molto difettosa la sceneggiatura.
      Di molti mi fido ma credo che in genere ci sia questa sbagliata tendenza di colpire a prescindere lo script in un'opera che (in questo caso suo malgrado) eccelle nella spettacolarità.
      Gravity subisce e subirà critiche per colpa del contenitore in cui viene messo.
      Poi, lo ripeto, in 4 ore di tempo diegetico e in 5,6 dialoghi tra soli due personaggi forse c'è anche troppa carne al fuoco.
      E parlare di nulla o del più e del meno in quei casi non lo trovo inverosimile.
      Siamo noi che dobbiamo ricavare semmai un senso ultimo dal film, non i protagonisti a dovercelo suggerire troppo nelle loro parole.

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    2. Ma allora perché Cuaron non ha scelto di NON far parlare i suoi personaggi? Se fosse stato così allora sì, Gravity probabilmente capolavoro incredibile e inarrivabile. Ma se sceglie di farli parlare deve AVERE qualcosa da RACCONTARE sulle loro VITE, non mi importa se si tratta soltanto di un brevissimo squarcio di tempo, se non c'è SOSTANZA allora falli stare zitti.

      Che vorrebbe anche dire che se Cuaron NON SA SCRIVERE, che faccia a meno e pensi solo a dirigere. :)

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  18. Il bello di Internet (e della blogsfera) è scopri nuovi siti di cinema in continuazione... in cui puoi perderti a leggere. E il tuo è davvero bello, e se penso che l'ho scoperto grazie a questa opinione (sulla quale sono in totale disaccordo :) ma non ha importanza) mi scappa da ridere. A me Gravity è piaciuto. L'ho visto alla 'prima' di Venezia e alla fine nessuno parlava: con la mente e con la testa eravamo tutti ancora nello spazio, sospesi nel vuoto. 'Nello spazio non si può vivere' recita la didascalia iniziale, e tutto quello che viene dopo è la cronaca di un'angoscia. La materializzazione della paura, dell'istinto di sopravvivenza dell'uomo. E' un film (con tanti difetti, lo riconosco) che ti fa riflettere sulla natura umana e sull'inevitabile solitudine di fronte alla morte. A me non sembra poco, davvero.
    Complimenti comunque al tuo blog. Da oggi ti seguirò con attenzione.

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    1. Scusa se ti rispondo in po' in ritardo, e grazie per i complimenti (anche il tuo blog non è male eh)

      Per il resto, però, sono sempre più convinto di quello che scrivo, per me un film di questo calibro e di simili ambizioni (sarebbe ovviamente ben diverso se parlassimo di un b-movie, e ci mancherebbe) non può essere privo di un lavoro di scrittura altrettanto sopraffino, attento e completo. Tutto crolla, e a me non lascia niente di niente :)

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  19. Film orrendo, ogni scena chiave si basa sul presupposto che il pubblico sia ignorante e che si beva meglio scemenze e superficialità rispettto a qualcosa di realistico o un minimo profondo. Si è quindi costretti a bere un sacco di scemenze che vanno contro le più banali leggi della fisica (in un film che si chiama gravity non mi pare neanche poco), rendendo il tutto insulso, nonostante le innegabili potenzialità che vanno così disattese nel peggiore dei modi.

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    1. Il discorso del realismo e dell'aderenza alla fisica va trattato secondo me con i guanti di gomma, in quanto se c'è credibilità nella finzione ci possono anche stare errori, disattenzioni e mancanze varie. Per dirti, che la Bullock fosse senza pannolone non me n'ero manco accorto data l'ottima costruzione visiva/atmosferica. Certo, se non c'è profondità quella è tutt'altra cosa, il film crolla dopo pochissimo e il resto è solo inutile sovrastruttura :)

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  20. Che bello che c'è gente come te! Leggendo in giro non ne ho trovato uno solo a cui non fosse piaciuto il film! In casi come questi ti senti veramente nello spazio aperto.
    Battute a parte, non hai accennato alla recitazione della Bullock? Io l'ho trovata penosa, ha una sola espressione per tutto il film: quando è felice, quando è triste, quando sta per morire... quanto cazzo di botox c'ha in faccia?? Poi sono d'accordissimo sulle squallide retoriche pseudo-artistiche, e la scena dell'abbaio alla radio è tragicomica.
    Penso sia un film che ha motivo di esistere solo perchè esiste il 3D.
    E' chiaro sin dalla primissima scena che il film è stato pensato tutto attorno al 3D, la sceneggiatura è un riempitivo per giustificare tutta "la roba che esce dallo schermo".

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    1. Ma non è neanche questione di "riempitivo", ben vengano i riempitivi se sono fatti con un minimo di coscienza, non si può parlare di riempitivo se la sceneggiatura è zeppa di simbolismi e vuole essere "alta". Qui si può solo dire che papà e figlio Cuaron sono davvero asini, non sanno scrivere e prima di tutto non sanno COSA voler scrivere, per sono errori allucinanti, rovinano un film potenzialmente bellissimo e rivoluzionario. :)

      E sulla Bullock, be', sono molto d'accordo con te :)

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  21. ma andate meno fieri...fosse per voi critici saremmo tutti fermi ai tempi di Arancia Meccanica( Dio benedica Kubrik!)
    l'unica cosa retorica e pesantemente scontata in tutto questo è il pregiudizio ( e il tronfismo) con cui voi ''critici'' giudicate quello che avete capito di un film senza avere capito in realta' un beneamato fallo.
    Fravity E' e RESTA un capolavoro

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    1. Saresti allora così gentile da spiegarmi cosa non ho capito e i motivi per cui Gravity è e resta un capolavoro? Così almeno prendo appunti, sai

      PS: Non capisco perché dovremmo essere tutti fermi ad Arancia meccanica, mi piacciono un sacco di film moderni.

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  22. veramente brutto....un film totalmente inutile,mal scritto e mal recitato.
    Non vedo grosse differenze nella Bullock tra quando abbaia e quando recita e Clooney è il clone americano di Raul Bova in quanto ad espressivita'.Sul finale stendo un velo pietoso,al di la' delle assurdita'varie sparse qua e la',quante possibilita' aveva di precipitare a terra ed atterrare in un fiume?Stagno?Lago?Laghetto del mio giardino?In acqua dolce insomma(vedi rana gigante, una, che staziona sul fondale? e fugge spaventata (e ci mancherebbe gli è caduto in testa un modulo spaziale senza neanche intorbidire l'acqua tra l'altro),ma non subito mentre la bell...Bullock esce dal modulo!!!!E pensare che "i figli degli uomini" mi era pure piaciuto....!!!Poi magari mi è sfuggito "il messaggio" del regista,ma a me questo film è sembrato "una cagata gigantesca".Meno male che ho risparmiato i soldi del biglietto quando è uscito(e non mi rispondete che in 3D è un'altra cosa,un film brutto è brutto anche in 3D)

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    1. Ma no, infatti, e io non so più cosa dire su questo film, a livello di narrazione e struttura non ha una sola cosa che si possa salvare, è solo un insieme di idee penose che sarebbero state stroncate senza pietà in qualsiasi altro film, mentre qui c'è la mega regia e allora bello...

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  23. Irrealismo allo stato puro, dai dialoghi comico sarcastico grotteschi agli eventi ed azioni improbabili.
    La bullock sfugge da incendi spaziali, si destreggia sul modulo di rientro con la facilità di avvio di una utilitaria ed indossa tute spaziali russe come fossero abiti di Zara.
    Mi chiedo come ci si possa bere un tale concentrato di scemenze sebbene condite, va detto da una fotografia mozzafiato.

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    1. Ma è tutto mozzafiato, in questo film. Visto in 3D al cinema è stata anche un'esperienza. Ma la parte visiva crolla subito. Un film davvero demente XD

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