Regia: Chris Kentis, Laura Lau
Sceneggiatura: Laura Lau
Nel 2010 esce La casa muda, un piccolo
prodotto uruguaiano, patria di certo poca avvezza all’horror, gira i festival e
fa parlare di sé non tanto per la sua originalità, niente più che una classica storia
di fantasmi in una haunted mansion, bensì per la soluzione registica di un
unico piano sequenza con cui incollare gli ottanta minuti di durata. L’anno
dopo viene dato ovviamente il via per un istant remake yankee, di cui si
occupano i registi di un altro film minuscolo che una manciata d’anni fa aveva
raccolto giustamente parecchio, Open Water. Okay, allora, un minimo di
sicurezza sulla bontà del risultato finale posso aspettarmela, ho adorato Open
Water per il disperato realismo evocato, vedere Chris Kentis e Laura Lau alle
prese con 90 minuti di piano sequenza mi interessava parecchio nonostante la
solita, noiosa genesi del loro lavoro, così skippo il film uruguaiano e passo
direttamente a questo Silent House.
È difficile, in simili casi, rendere
davvero onore agli artefici di quello che, in definitiva, è comunque un buon
horror, una solida pellicola di paura con una trovata visiva che dona originale
immersione nell’atmosfera, tuttavia Silent House risulta film efficace che va
naturalmente gustato a patto di non aver visto il predecessore uruguaiano, e
non si potrebbe negare tale qualità. L’infinito piano sequenza, immagino non
vero e proprio ma comunque architettato efficacemente, permette un’esperienza
claustrofobica che forse una regia più tradizionale avrebbe negato – i limiti
della trama, cliché o classicità horror comunque funzionali, vengono infatti superati
dai riusciti movimenti di macchina che, complice il buio e/o la scarsa
illuminazione, espandono i muri della casa trasformandola in un labirinto di
stanze e porte dalle quali non c’è mai uscita, ed è proprio questo il pregio
notevole di Silent House: ansia e
inquietudine risalgono in superficie con il progressivo disorientamento di
Sarah, che sembra fuggire e nascondersi dalla telecamera stessa, un segugio che
la insegue incessantemente come la presenza maligna che dimora nell’edificio.
Certo, non è difficile indovinare cosa si
nasconda dietro all’evocazione del terrore, ci sono indizi che portano
tranquillamente a una conclusione comunque adeguata, ma la sceneggiatura,
seppur semplice, è scritta e organizzata con una cura sopra la media,
attenzione riscontrabile nei dialoghi concisi, nell’equilibrio strutturale e
nel discreto crescendo d’orrore. Ecco, vengono forse a mancare i momenti de
paura, gli sbalzi improvvisi di suoni e immagini con cui stordire lo
spettatore, ma l’atmosfera inquieta è diluita in tutti gli 86 minuti della
pellicola e non passa un istante senza che ci si senta un po’ a disagio nel
seguire la corsa senza meta di Sarah.
Chiaro che piacerebbe una maggiore onestà
dall’horror yankee, ma di questi tempi è bene accontentarsi.
Non ho ancora visto ne questo ne l'originale. Ma vedrò di recuperare almeno questo.
RispondiEliminaRecupera, recupera, è una buona visione. :)
Eliminaio l'ho trovato ottimo.
RispondiEliminapoi ho scoperto che era un remake spudorato e l'entusiasmo mi è sceso un po'...
Infatti. Io sapevo che si trattava di un remake, e in fondo ho preferito questo perché ero curioso verso la nuova prova dei registi di Open Water, ma data la sua natura mi è proprio impossibile apprezzarlo appieno. :)
Eliminaio ho visto l'originale e pur non essendo un caposaldo non mi è proprio dispiaciuto...
RispondiEliminaMagari me lo vedrò prossimamente, quando sparirà pian piano il ricordo del remake :)
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