Battle Royale

By Simone Corà | mercoledì 2 settembre 2009 | 12:47

di Koushun Takami
Mondadori, 2009
663 pagine
12 euro

Repubblica della Grande Asia dell’Est, 1997. La terza B della scuola media Shiroiwa viene scelta per far parte del Programma: i quarantadue ragazzi della classe, intrappolati su un’isola deserta, sono così costretti a partecipare a un gioco, una sfida che li mette uno contro l’altro, il cui unico scopo è quello di uccidersi a vicenda. Ma Shuya Nanahara non ci sta, e assieme a Noriko, Shogo, Shinji e alcuni altri, tenta di ribellarsi alla crudeltà del governo.

Battle Royale
è il bestseller più venduto in Giappone.
Battle Royale ha ispirato due film.
Battle Royale ha dato vita a manga e videogiochi.
Battle Royale è ormai un classico.
Battle Royale arriva in Italia con dieci anni di ritardo.

Il problema, più che altro, non risiede neanche nell’attesa inspiegabile, visto che chiunque sia rimasto folgorato dall’idea truculenta e controversa di Koushun Takami ha sicuramente potuto saziare la curiosità con il manga edito da Panini (e proprio in questo periodo nel mentre di una ristampa) o con i due film (danon molto editi nel Belpaese, ma il dvd import dispone comunque di sottotitoli nella nostra lingua, per quanto sgraziati e frustranti), ma dalla cura riservata a un romanzo che necessitava di massima attenzione e, a conti fatti, da quello che il romanzo è.

Tanta è l’amarezza che si fa largo tra i sentimenti man mano che si avanza nella lettura, tanta è la delusione e il dispiacere, che rabbia e volgarità potrebbero prendere il sopravvento, costringendo semplicemente a dire che la versione italiana di Battle Royale fa cagare quanto un treno di Guttalax.
Ma anche ponendo un freno all’indignazione e del nastro adesivo sulla bocca, diventa piuttosto problematico raccogliere i pensieri e dare un giudizio a un romanzo che, a conti fatti, è illeggibile.

Per due motivi.

Il primo è che Takami è tutt’altro che un abile narratore.
Il suo stile è elementare, povero, ripetitivo, un contenitore di infodump che continuano a spezzare il ritmo, rallentandolo a dismisura. Battle Royale è infatti zeppo di fastidiose parentesi psicologiche che poco o nulla servono all’economia del romanzo, proprio perché ripetute fino allo sfinimento (l’amore di Shuya per il rock e lo zio di Shinji, giusto per citare i due più grossi avvitamenti di testicoli). E a queste si aggiungono flashback, riflessioni e discussioni irritanti come una piantagione di ortiche, perché continuano, inesorabili, lenti, lentissimi, a ripetere gli stessi concetti con le stesse parole, senza alcuna pietà per il lettore.
A chiudere il girone delle atrocità ci pensa infine la componente sentimentale, fattore ampiamente criticato sia nei film che nel manga, perché, per quanto tenero e ingenuo possa essere l’amore a quattordici anni, si sfiora il ridicolo in ogni occasione in cui quel ragazzo dichiara la sua cotta per quella ragazza o viceversa. Manca la giusta sensibilità per affrontare l’argomento, quella delicatezza fondamentale per sottolineare certi stati d’animo che, in una situazione disperata come quella raccontata dal romanzo, impazziscono uccisione dopo uccisione.

Il secondo motivo che fa affondare la barca è la traduzione.
Probabilmente tradotto dall’inglese e non dal giapponese, sacrificando la fedeltà a chissà quali dèi monetari, Battle Royale è un tremendo, irritante, fastidioso, seccante ricettacolo di avverbi e ripetizioni, che impedisce una lettura fluida e scorrevole, sostituendola invece con una serie di dolorose testate al muro.
Il disneyano Tito Faraci non usa vocabolari provvisti di pronomi e sinonimi, ma innalza invece un altare alla divinità del suffisso in –mente, portando alla distruzione di qualsiasi buona volontà di cui possa disporre un lettore.
Volete un esempio?

Hirono aveva finito l’intera scorta di acqua. Dopo che aveva ucciso Kaori era corsa via da Shuya allontanandosi approssimativamente di duecento metri, e si era nascosta nel boschetto, ma aveva finito per usare molta acqua, oltre che per bere, nel tentativo di pulire la ferita (rimpiangeva amaramente di averlo fatto). Da allora erano passate quasi due ore. Per un po’ di tempo aveva sudato abbondantemente, ma ormai dai suoi pori non fuorisuciva più nulla. Molto probabilmente si stava avvicinando alla disidratazione. A differenza di Noriko Nakagawa, Hirono aveva davvero sviluppato la setticemia. E dato che non aveva disinfettato la ferita, il suo stato si era aggravato velocemente. Ovviamente non aveva modo di sapere niente di tutto ciò.

Oppure:

Noriko aprì gli occhi improvvisamente. I loro sguardi si incontrarono. Poi Noriko con calma disse:
«Che c’è che non va?»
«Niente… be’, stavo pensando.»
Shuya era in imbarazzo perché stava fissando Noriko, così cercò di dire qualcosa: «So che suona strano, ma spero solo che tu non stia pensando di suicidarti.»
Noriko guardò in basso…

Cose del genere si trovano in ogni dannatissima cartella.
Non si scrive così. Non si può. È sconcertante. E non riesco a capire se devo piangere o ridere di fronte a una simile, imbarazzante lezione di italiano. Frasi sgraziate, pesanti, indigeste, semplicemente mal scritte, semplicemente orribili. Non ci sono né agilità né un minimo tentativo di rendere scorrevole il malloppo, tutto è inutilmente complesso, involuto, frustrante.
Chiaro quindi che torture come chiodi sotto le unghie diventano piacevoli passatempi di fronte a quasi 700 cartelle colme di cotanto spregio verso la lingua tricolore, e ci si chiede come sia possibile approvare e poi mandare un stampa un volume del genere.

Battle Royale si regge su’idea splendida, originale, disturbante, perfida, metaforica, e questo è l’unico elemento di valore del romanzo. Per il resto, sfido chiunque ad arrivare in fondo al libro. Anzi, sfido chiunque a leggerlo.

Da cestinare senza rimorsi.

23 commenti:

  1. Ero lì che mi domandavo chi mi avesse rubato lo Stronziario 2009/2010, poi ho letto questo post...

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  2. Ma se avevi detto che me lo regalavi! :P

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  3. Non ci sono mecha, ecco perchè fa così schifo.
    God

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  4. Non ci sono mecha, ecco perchè fa così schifo.
    God

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  5. Più o meno è la stessa sensazione che ho avuto con tutti i romanzi giapponesi, quelli di Mishima a parte...

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  6. In fatto di narrativa jappo, devo ammettere di essere ignorante. Ho visto quintalate di anime e film e letto bei pacchi di manga, ma in fatto di romanzi Battle Royale è il primo in cui mi sono avventurato.

    Spero sia solo una sfortunata coincidenza.

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  7. Gran peccato... beh, rispiarmerò 'sti soldi e comprerò un porno.

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  8. ..un treno di guttalax... bel paragone bravo cugino

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  9. se ne parli così male tu dev'essere figherrimo ahahah
    ma non lo leggo, perchè in questi giorni ho tutti i capelli scarruffati e temo che mi si stralcino tutti i vestiti... ecco!

    Eel Vek Yo ti punirà, comunque!

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  10. No no, leggilo, ché io lo so, per la legge dei capolavori che a me piacciono e a te no questa robaccia schifosa l'adoreari, essì! :P

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  11. Chiunque abbia fatto questa (ultra-pessima) recensione è un coglione.
    Battle Royale è un libro cult in Giappone. Ne hanno pubbliacto anche un manga e girato due film. E, secondo questo critico-maiale, E' UN LIBRO DA CESTINARE??? Ma cestinati tu, chiavica!
    La letteratura giapponese è una di quelle più critiche del mondo, e per loro questo libro è un capolavoro, quindi tu non ci servi a niente con le tue stroncature e lo stile da Giampiero "Coglionazzo" Mughini.
    Ma chi cazzo credi di essere?
    Ragazzi, questo libro è un gioiello, è scritto bene e non è affatto pesante. Anzi, faccio i miei complimenti al traduttore, da qualsiasi lingua ce l'abbia reso in italiano.
    P.S.: SONO UN TRADUTTORE ANCHE IO!!!
    Capito, coglione di recensore che non capisci un cazzo?

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  12. Ma vai a casa, Mistè! XD

    Però è bello vedere confermato ancora una volta che, nella blogosfera italica, quando si parla male di qualcuno\qualcosa l’educazione sparisce, il confronto di opinioni si smaterializza e la possibilità di una discussione interessante sui motivi per cui l’edizione italiana di Battle Royale è piaciuta al signor anonimo (sia mai che qualcuno metta la faccia davanti agli insulti, sia mai) viene così disintegrata da quello che nella scena editoriale italiana si sa far meglio: offendere, minacciare e mille altre qualità dei lettori/scrittor… ah, no, scaricatori di porto.

    Non so però se riuscirò ancora a dormire sapendo che un traduttore, visto che così dice di essere il signor anonimo, approva una tale traduzione (in una lingua che però non è italiano, diavolo, sfido chiunque a dire il contrario, e quindi, chissà, sarà colpa mia che non conosco questo linguaggio primitivo e incomprensibile).

    Però critico-maiale è un’offesa geniale. Te la ruberò.

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  13. A me è sembrata un'onesta critica costruttiva.

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  14. Innanzitutto devo complimentarmi col signor anonimo che nemmeno ha avuto la decenza di firmarsi e che sostiene di essere un traduttore...mmm, vocabolario un po' misero (volgarità a gogo) per essere uno che lavora con le parole. Ciò detto, ritengo che le recensioni siano da prendere per come sono, cioè l'opinione soggetiva di una persona e non la verità assoluta. Personalmente non ho letto il libro, ma essendo una mediatrice linguistica, posso dire che sulla traduzione posso anche fidarmi del parere qui espresso. Molto spesso persone che sanno una lingua a livello scolastico si spacciano come presunti traduttori, invece di lasciare il posto a chi ha gli strumenti e le competenze per esercitare questo mestiere. La traduzione in sè è una "barbarie" (cito una prof. di Teoria della traduzione, ottima conoscitrice e traduttrice simultanea dal russo), se poi si mette in conto che chi se ne occupa non è sempre un professionista, si arriva a capire come, talvolta, dei testi che possono essere piacevoli da leggere, vengano rovinati da scribacchini che nemmeno hanno una buona conoscenza dell'italiano.

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  15. anchio senza dubbio d'accordo con l'anonimo perché io daccordo con lui che è uno intelligente e che ha spiegato benissimo perché devo leggere questo libro mandorlato

    e poi si
    tu sei un maialone peggio che spider pork!

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  16. De gustibus non est disputandum.

    Sinceramente l'ho trovato un libro eccezionale.

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  17. Non dubito che lo possa essere, ma la, ehm, traduzione italiana non mi ha permesso di capirlo. :)

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  18. Per non dimenticare il profeta anonimo!

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