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Message from the King (2016)

By Simone Corà | venerdì 22 settembre 2017 | 00:01

Il nuovo film di Du Weltz è un altro compromesso tra violenza artistica ed esigenze produttive. Che qualcuno dia soldi a questo regista!

Dopo la travagliata esperienza con Colt 45, con problemi di produzione, budget e un prodotto finale incompleto che viene abbandonato a sé stesso e nemmeno supportato all'uscita, Fabrice Du Weltz si ritrova negli USA (anche se tecnicamente è una co-produzione europea) a dirigere Message from the King, il suo primo film su commissione distribuito da Netflix. Strano pensare che un autore così personale come il belga non riesca a trovare fondi per plasmare le proprie visioni, eppure questa è la vita del cinema più estremo, anche se riconosciuto e d'autore come abbiamo visto in Calvaire, Vinyan e Allelulia
Come per il film precedente, anche qui si sente la mancanza di qualcosa, il cinema di Du Weltz è surreale e onirico e in questa storia di vendetta personale viene forse meno l'impatto indistinguibile dell'autore, nonostante vari trampolini da cui lanciare istanti di violenza poetica e terremotante. Un buon film, per carità, ma forse strizzato da troppe mani e compresso in una normalità narrativa dove Du Weltz non riesce a muoversi liberamente. Un peccato, ma andiamo con ordine. 

Abbiamo la storia di un sudafricano, Jacob, che vola negli USA per trovare la sorella dopo anni di lontananza. Lì scopre che la ragazza è stata brutalmente uccisa per una complessa situazione di criminalità, droga, schiavismo e molte altre faccende stomachevoli. La vendetta sarà inevitabile.
Jacob è un grandissimo personaggio, duro, tenace, sempre di pancia, interpretato da un Chadwick Boseman della madonna, che si muove alla cieca tra un colpo allo stomaco e l'altro. Zoppica, cade a terra, si rialza e ricomincia, come un automa che non può essere abbattuto. La scoperta della sorella, le prime indagini a vuoto, i personaggi loschi con cui si trova ad avere a che fare non minano mai il suo intento di scoprire la verità, lui persiste indomito, fino in fondo, irremovibile.
Proprio grazie a questo traino, Message from the King è un film duro e senza pietà, dal ritmo preciso, martellante, un incedere che non lascia mai spazio a pause o rallentamenti, sempre musicato da uno splendido pianoforte malinconico. Ci sono alcuni squarci di violenza improvvisa e inquadrature dolorose che lasciano il segno, concretizzando la perdita di Jacob in un abisso di nulla e che solo il nulla può riempire. La sua sete di vendetta è automatica ma non gli dà soddisfazione, lo deve fare e basta - quello che lo tiene ancorato alla realtà è la relazione con una ragazza madre, invischiata anche lei nelle stesse storia di bassa criminalità.
Questo aspetto, assieme alla poca consistenza dei villain, è quello che però in parte sgretola un film dall'incipit prorompente e dal cuore purissimo: la banalità da un lato (quante volte abbiamo visto una spogliarellista affiancarsi all'antieroe di turno?) e la superficialità dall'altro impediscono di tenere insieme una storia che, pur affrontata con il giusto spirito, non ha le credenziali per reggere con la stessa potenza e lo stesso sudore fino alla fine. Perché se il legame con Kelly preme con sensibilità e pacate attese i tasti più emoziali senza mai scadere nel più melenso romanticismo action, la mancanza di una vera figura cattiva contro cui concentrare l'odio di Jacob lascia un grosso amaro in bocca, nonostante nel finale si apra un abisso tremendo sull'inconsapevole malvagità umana. Vi è infatti una ramificazione del numero di nemici con uno spettro che abbraccia vari tipi di disgusto sociale, una scelta insolita che offre un buon crescendo tra rivalità interne, ripensamenti e orribili filosofie, ma che disorienta e non indirizza pienamente verso una vera estirpazione del male.  

Insomma, è il secondo film non del tutto riuscito di Du Weltz, bello ma trattenuto, potente ma sacrificato. Oh, è un film che consiglio lo stesso, la carne qui dentro rosola comunque e ha un gusto che pochi altri chef del disumano riescono a servire. Ma è anche vero che, se non ci fosse la sua firma, si tratterrebbe probabilmente di un prodotto con poco richiamo, destinato a perdersi nello sterminato catalogo Netflix, e anche qui, tra mostri sanguinari e soprannaturalità gore, difficilmente ne avrei scritto. Chiaro che il bravo regista paghi dazio al grande nome e alle enormi attese che si porta dietro, e senza la possibilità di dirigere personalmente e pienamente la sua visione, deve per forza scendere a compromessi. Ma in fondo siamo tutti ad aspettare che possa tornare con un progetto autentico per chiudere questa parentesi di incomprensioni, difficoltà e transazioni artistiche. Non abbiamo fretta, 

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