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The Triangle (2016)

By Simone Corà | venerdì 4 agosto 2017 | 00:01

The Triangle ci ricorda che anche nel 2017 c’è ancora spazio per i mockumentary. Imbracciate la telecamera e partiamo per il deserto     

Non ho mai nascosto di come, in casa Corà, i mockumentary siano sempre stati i benvenuti, nonostante gli spaventi cheap, le telecamere traballanti e le narrazioni inconsistenti abbiano in pochi anni ribaltato un fenomeno schizzato alle vette del cinema horror per poi moltiplicarsi senza ritegno fino a un’inevitabile, progressiva rimozione dalla scena. Forse è un po’ strano incrociarne ancora qualcuno e attendersi un approccio serioso, una sorta di autorevolezza applicata a un genere che è man mano diventato simbolo dell’horror più dozzinale, quello che tutti possono fare con pochi soldi e ancora meno esperienza, ma The Triangle è un bell’esempio della bontà che si può ottenere nella realizzazione di un finto documentario se ci si applica con un po’ di cura. Temo manchi ancora un gradino, in realtà, per rendere davvero completa l’evoluzione (o involuzione, a seconda dei punti di vista) dei mockumentary, e il film del collettivo di registi, sceneggiatori e attori (ben cinque) capitanato da David Blair casca proprio in quegli errori sciocchini, o meglio, in quelle comodità ormai spremute fino all’ultima goccia che, nel 2017, sarebbe quanto meno gradevole non vedere più, ma ciò non toglie nulla al piacere dell’esperienza e alla compattezza di un progetto piuttosto interessante.

Sono dieci anni che i cinque collaborano l’uno con l’altro in varie forme, c'è già un altro film low budget sul curriculum di molti di loro (The Sighting, che mi manca ma non ispira granché), ma è solo con The Triangle che il collettivo raggiunge un traguardo significativo. La storia è quella di una troupe chiamata a dirigere un documentario sul gruppo Ragnarok, una comune di hippie che vive nel deserto e sopravvive con un mix di allevamento, agricoltura, vendita di piccolo artigianato e potentissimi rave con cui illuminare le notti gelide. È il più classico dei prologhi, mentre è decisamente meno lineare quanto segue perché, a una prevedibile mal sopportazione dei registi che frugano nel privato della comune, il collettivo di autori filma un’accoglienza genuina, fredda per alcuni ma positiva per altri, dando così l’idea che il documentario costruito giorno dopo giorno sia un qualcosa di tangibile e non solo una mera scusa. Si susseguono interviste, riflessioni, domande, chiarimenti, ma anche incomprensioni, discussioni, dubbi: il materiale raccolto è valido e credibile, la comune ha una sua tridimensionalità e anche la troupe, seppur non disponga di grandi profili dietro i personaggi, gronda un certo realismo nel modo in cui investe nella quotidianità di Ragnarok. Il lavoro nel deserto è una follia a cui tutti si prestano ben volentieri, mentre la condivisione di tutto ciò che possiedono trasmette rapidamente i valori che guidano il leader Rizzo e i suoi compagni. Ci sono persone in grado di abbandonare ogni cosa pur di seguire un ideale, e nel suo piccolo The Triangle mette sulla lista alcune origini di pensiero che cercano di andare oltre il rifiuto del mondo moderno e protoveganesimi vari: ci sono coerenza e passione, ma soprattutto una serietà nello stile di vita che viene trasmessa anche con una certa delicatezza, prima che entrino in corpo liquori allucinogeni e trip mentali.


Non si può parlare di quello che succede nel terzo atto, perché verrebbe meno la costruzione del film e la notevole impostazione rilassata che, nella prima metà, aiuta a inserirsi in una seconda gradualmente irrespirabile e disturbante che prepara il terreno all’esplosione finale. L’argomento esplorato è un pezzo forte dell’horror e mette in scena tutti gli elementi necessari per un’atmosfera sofferente, ci sono tentazioni cosmiche e studi universali che rilanciano il concetto della vita comune e del legame sincero, affrontato in tutta la prima parte dai membri di Ragnarok, rigenerando un approccio tematico che, senza un’adeguata spinta, poteva risultare forse fine a sé stesso. Ci sono orrore e meraviglia, naturalmente tutto ridimensionato secondo i canoni economici di un muckumentary indipendente, ma in fondo non serve aggiungere altro all’intervento soprannaturale che macchia all’improvviso il film.
Quello che purtroppo manca, e che in più occasioni in passato si è soltanto sfiorato senza mai riuscire a concretizzare (se non forse nel bellissimo e insuperabile Lake Mungo), è la possibilità di realizzare un vero documentario fake con cui incrementare la dose di inquietudine e tensione. Per consistenti porzioni dei sui 98 minuti, The Triangle si avvicina molto a questa concezione, con una sequenza di colloqui, scritte in sovraimpressione e improvvise difficoltà che ostacolano la documentazione in grado di smerciare, sebbene si sappia benissimo come stiano le cose, la finzione per realtà. Ma poi tornano sempre in gioco le corse, le telecamere traballanti e i respiri concitati, grandi classici che sarebbe stato delizioso, per una volta, non incrociare. È quanto meno lodabile la scelta di evitare gli sciocchi sbalzi per accendere paure meccaniche qui proprio non richieste, il collettivo di autori lavora sui personaggi e sulla forza con cui lottano contro la loro disgregazione e preferisce non appiccicare toppe sconclusionate laddove non sarebbero servite. 

The Triangle si avvicina a certa letteratura weird, lo fa con i piedi ben saldi e gioca sempre con ciò che ha a disposizione in una visione modesta e sincera. Da non perdere i titoli di coda.

6 commenti:

  1. La mockumentary è un formato che mi sfizia, ero curioso di vederlo, quasi quasi me lo sparo uno di questi giorni di caldo torrido che aiuta l’immedesimazione con i protagonisti ;-) Cheers

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    1. Io li guardo tutti. I mockumentary sono da sempre uno dei miei guilty pleasure, nonostante critiche oggettive innegabili, e anche se in questi ultimi anni la qualità generale è calata parecchio io ci credo sempre.

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  2. Questo è uno di quei film che mi riprometto di guardare da un po' ma che poi accantono sempre. Forse perché da un certo punto di vista mi ricorda The Sacrament di Ti West che mi sconfinferò poco. C'è da dire che io amo/odio il mockumentary.

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    1. Sì, lo ricorda in effetti, anche se manca del tutto quel senso tremendo di oppressione e di catastrofe incombente. Qui è molto più posato e tranquillo e per tre quarti di film sembra davvero di guardare un documentario, o quasi, su una comune di fricchettoni. Non è male.

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  3. Mah... mica ho trovato tutta sta beltà.
    Ho dormito per 3/4 di film. A parte il dinosauro dal dente luminoso e un paio di trovate, l'ho trovato noiosetto.
    Bellino invece ho trovato quello prodotto da Ridley Scott: Phoenix Forgotten (http://www.imdb.com/title/tt6574272/). Qui ci trovi quello anche un pò di Lake Mungo

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    1. Visto e piaciuto, ne parlo settimana prossima, anche se devo dire che ho preferito The Triangle perché Phoenix Forgotten è fin troppo comodo e semplice nel raccontare una storia che si sa già dall'inizio come proseguirà. Questo l'ho trovato un pelino sopra la media perché cerca di costruire qualche dialogo interessante e di dare l'idea che sia un vero documentario su un gruppo di gente un po' fuori dal comune. In fondo la parte soprannaturale non è niente di che, ma è stata inserita così bene che mi ha preso parecchio. :)

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