Emelie (2015)

By Simone Corà | venerdì 6 maggio 2016 | 08:00

Un home invasion al contrario, o qualcosa del genere                                                 

Di fronte a certi generi vedo difficile un’operazione che ne sdogani la struttura-tipo e provi strade nuove e anticonvenzionali, o meglio, apprezzo molto che un autore si confronti con determinati approcci narrativi e offra una sua interpretazione anche senza staccarsi da modelli preconfezionati: l’originalità, o la sua ricerca, diventa efficace, più che bella, solo se piena e completa, solo se possiede quell’idea capace di sradicare ogni pensiero razionale costringendo a resettare la mente per riavviare il sistema centrico del pensiero-horror (mi sembra di aver sentito nominare ItFollows…), altrimenti si accettano molto volentieri quei progetti che omaggiano o che in qualche modo mettono le mani avanti spargendo umiltà e devozione.
Emelie non appartiene né a una categoria né all’altra, ma si inquadra in stato medio dove, allo schema classico dell’home invasion, subentra un aspetto per certi versi innovativo e sorprendente che pur non demolendo le fondamenta è in grado di fornire due scosse di assestamento niente male.

La prima riguarda l’inevitabile figura dell’invasore, in questo caso una babysitter che apparentemente per nessuna motivazione si sbarazza della ragazza incaricata e ne prende il posto portando caos in casa nello stesso modo in cui il villain, mascherato o meno, decide di entrare in scena solo per la soddisfazione di un gioco personale che non è dato sapere.
Perversa, geometrica, dominata da intenzioni complesse e oscure, Emilie distrugge la ruotine quotidiana dei tre fratellini che deve accudire nel giro di pochi istanti e di pochi atteggiamenti: un accenno, un sorriso, un permesso, e la tranquillità si sgretola in favore di interrogativi e imbarazzi che aumentano con una progressione micidiale.


La seconda scossa è quella più legata alla semplice buona scrittura, quella che permette a una storia non fondamentale di ergersi a qualcosa d’altro, o che almeno possiede i semi per farlo.
In questo caso la penna di Michael Thelin (che arriva dai videoclip e dall'universo musicale) modella tre bambini meravigliosi che in tre modi diversi incarnano lo spirito incontenibilmente ludico e sovraeccitato tipico delle loro età, dal mondo rosa della piccola Sally al gioco innocente e pieno di sorrisi di Christopher, passando naturalmente per una certa ostruzione nella pre-adolescenza di Jacob.
Sguardi, comportamenti, incomprensioni, intralci, opposizioni: l’ampio spettro comportamentale della tenera età viene filtrato e rimescolato attraverso le regole weird di Emelie, tutto viene disconnesso e riattivato per trovarsi compatto di fronte alla condotta incomprensibile della babysitter, che pare appoggiare atteggiamenti sbagliati, preferire principi bizzarri e consigliare metodi indecifrabili.
Concentrandosi su questi due aspetti, o comunque intagliandoli fino a dare loro forma sinuosa e profonda, Emelie raggiunge un livello notevole e impensato che, per esempio, un film per certi versi simile come Hush non sfiora neanche: se l’ultimo lavoro di Flanagan si limita (volutamente e giustamente, perché no) a una serie di dettagli superficiali per sagomare il suo l’home invasion (stile di sopravvivenza della protagonista, uso e non-uso delle armi), Thelin scava molto più in profondità agendo prima sui personaggi e solo di conseguenza sulle modalità di attacco. Infatti è solo grazie alla varietà emozionale dei tre bambini (più amico d’avventure e con il riflesso della coppia di genitori) se le iniezioni di anormalità della babysitter colpiscono duro rivestendo il malessere generale di panico e angoscia.

Il film gira bene e Thelin lo compatta con una rapidità esemplare che taglia ogni tempo morto in favore di sequenze veloci che, anche nei momenti più spiegati (da un certo punto in poi diventa necessario dare una determinata informazione per andare avanti senza un qualche effetto ping pong), mantengono alta la tensione e soprattutto il disagio fino all’inevitabile battaglia finale di intelligenze e furbizie. 
Qualche colpo basso inaspettato cuce alla narrazione buone batoste finali, si tratta di ottime estensioni del plot che, ancora, non gli permettono di svettare (poche le vere ambizioni, fin troppo statico l’intreccio generale, le motivazioni di Emelie non raggiungono lo shock tentato) ma contribuiscono a un’immersione soffocante e dalla quale è difficile risalire.  

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