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Synchronicity (2015)

By Simone Corà | martedì 1 marzo 2016 | 08:30

Back in the eighties once again, and again, and again, and again                                          

Time travel e anni Ottanta sono un connubio pazzesco e mi stupisco che nessuno, in questo revival di sintetizzatori e culture passate, non ci avesse seriamente pensato. E non parlo, come a proposito di Turbo Kid, di parodie, scherzoni e divertimento a lungo andare poco interessante, bensì di una riproposizione di atmosfere, ambienti e scelte visive che facciano sembrare un film del 2015 come se realmente provenisse dagli indimenticabili Ottanta, senza per forza riderci sopra.
E tutto, in Synchronicity, grida “ridateci gli Eighties” perché, proprio come accadeva in Lost After Dark e ovviamente nel piccolo capolavoro neozelandese, ci sono soluzioni e idee che mai si spingono oltre, come se l’era successiva non fosse mai avvenuta.

L’enorme macchina del tempo a cui lavorano i tre scienziati protagonisti è un colosso di ferro e fili che sbuffa fumo ogni qualvolta si muova un pistone o un ingranaggio, l’ambientazione è una citta in una notte perenne dove aloni di luce sbiadita entrano dalle finestre di qualsiasi appartamento, c’è una megacorporazione malvagia per il gusto di essere malvagia con a capo Michael Ironside, ovviamente ci sono i synth che scorrazzano avanti e indietro senza limiti…
Insomma, non c’è elemento che non provenga da quella fonte infinita di spunti che è la fantascienza di trent’anni fa, e il modo in cui viene costruita la storia ricalca non solo gli stessi schemi visivi ma impiega anche le medesima strutture concettuali, vuoi un po’ ingenue, vuoi un po’ semplici, eppure perfettamente integrate nell’atmosfera disegnata e per questo mai invasive o sgradevoli.
La mancanza di CG o comunque la povertà tecnica e in generale economica non impediscono infatti di espandere la potenza fisica della macchina di tempo, così come la miseria di ambienti, limitata a pochi interni tra cui un immancabile attico disordinato, non compromette lo svolgersi di un classico paradosso.
Quello che piace è quindi la cura nostalgica di una serie di elementi cardine che, paradossalmente, non sono la vera forza del film, perché a risaltare sono due aspetti garantiti da un autore che già da qualche anno si muove bene nel genere, Jacob Gentry: il ritmo forsennato e i dettagli chirurgici.

1) Il primo scoppia con un bombardamento di scene efficaci, rapidissime, dove i dialoghi si rincorrono sottolineando con un lessico discreto tutto ciò che serve sapere senza dire o spiegare troppo, e rimane inalterato fino alla fine, senza alcuna sosta, anzi, con un boost improvviso quando il protagonista deve farsi una certa sniffata per tirare avanti: certo, la storia è scarna, il paradosso è piacevole ma visto molte volte e non cerca alcuna soluzione innovativa o diversa dalla sci-fi tradizionale (come per esempio si cercava di fare in Time Lapse), eppure regge perché
2) i dettagli permettono di dare valore a una storia d’amore in apparenza stramba e poco credibile, e invece è proprio in questi aspetti che Synchronicity mostra una cura che va più in là della semplice nostalgia, perché il modo in cui si dipana l’intreccio sentimentale è molto più spesso e attento di quello che può sembrare e di informazione in informazione il film ne guadagna in profondità e coinvolgimento.


È un peccato che vengano a mancare certe solidità con cui dare più risalto all’intero lavoro, elementi come il mancato approfondimento di personaggi potenzialmente interessanti come i due amici del protagonista, o il ricorrere a spiegazioni un poco bislacche quando non serviva giocare queste carte per dare forza all’intreccio, o ancora un vago senso di comodità nello scambio verbale tra personaggi e soprattutto in certi loro incontri, ma è in un insieme di mancanze che in fondo non ha molto peso nell’economia complessiva e per chi si sa accontentare c’è del buon materiale.

Come contorno bene la colonna sonora, vivace, sincera e vera come poteva esserla quella di Turbo Kid, simpatiche le scelte scenografiche che stampano il film in un futuro indefinibile che però conosciamo tutti, grande Michael Ironside alle prese con un cattivo senza scrupoli come non ne fanno più. 

10 commenti:

  1. Nonostante la nota finale, voglio recuperarlo

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    1. Magari è solo cosa mia, ma su certe pecche per me è facile soprassedere se gli intenti e le aspirazioni sono buoni e validi. :)

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  2. Sembra davvero interessante, poi oh insomma, viaggi nel tempo! Lo recupero now. L'unico dubbio è la reperibilità con almeno i sub in ita, dato che spesso parli di roba introvabile con i suddetti...maledetto!
    :)

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    1. Eh, lo so, ma coi sub eng non ce la fai? Questo ce li ha, ita non mi pare. Comunque alla fine non ci sono grandi dialoghi, non bastano grandi conoscenze... :-)

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  3. Mah non so dovrei provare, è che qualcosa lo perderei sicuro e la cosa non mi garba molto..proverò. Per lo stesso discorso non ho potuto ancora guardare Howl, e sono incazzatissimo.
    :)

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  4. Io ragazzi non ci ho capito un piffero sull'intreccio temporale, qualche hint?

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    1. Non mi sembrava troppo complesso, il problema era forse un po' di confusione nella parte finale, che metteva qualche cosa di troppo in gioco. Qui qualche spiegazione, credo: http://taylorholmes.com/2016/01/24/synchronicity-time-travel-reviewed-and-explained/

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